La Milano europea che ha detto Sì è il punto di ripartenza
Perché il Sì della metropoli è adesso la miglior carta di Renzi. E perché Beppe Sala pesa di più
Milano. Il 51,13 per cento dei Sì contro il 48,87 dei No. In altre occasioni si sarebbe detta una vittoria contenuta, stavolta il risultato di Milano suona come un’affermazione piena di contenuti. Perché è l’unica città metropolitana ad aver promosso la riforma costituzionale, e anche l’unica in Lombardia, assieme a Bergamo. Che il Sì abbia prevalso nelle circoscrizioni del centro è un altro segnale. Una volta si sarebbe tirata in ballo la “sinistra da salotto”, oggi è evidente che la classe dirigente e la business community più informata hanno fatto una scelta di campo con vista sull’Europa. Non è bastato, ma Milano ha confermato la sua consapevolezza post politica: si vota ciò che funziona. In più, ha confermato che qui la sinistra delle riforme (si dirà ancora renzismo?) ha trovato una terra d’elezione. Nei suoi mille giorni a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ha puntato molto sulla città e sul suo essere modello per l’Italia: l’Expo, e ora il post Expo con il progetto Human Technopole pronto a decollare. Ma ha puntato anche sulla scommessa di fare di Milano un modello per la sinistra, per il Pd in particolare: ha voluto un sindaco “del fare”, ma esterno alla politica, in grado di superare i limiti della stagione arancione e di presentare alla città (all’Italia) una sinistra contemporanea, che parlasse al business e all’estero così come alle periferie e alla domanda di sicurezza. Nell’imbarcata di domenica, Milano e Beppe Sala sono due punti forti che hanno tenuto botta. Dissimulando qualche lieve preoccupazione, ieri il sindaco lo ha sottolineato: “Evidentemente il modello Milano sta funzionando e il segnale arrivato da qui è chiaro: dove la sinistra va tutta unita, si vince”. I soldi del Patto per Milano sono “cantierati” dal Cipe, su quelli del Patto per la Lombardia non dovrebbero esserci intralci. Ma un po’ d’ansia per il possibile arrivo di un nuovo premier meno appassionato al modello milanese va messa in conto. Ma Sala ha anche detto: “Per Milano non credo possa cambiare molto. Perché se è vero che Milano ha bisogno del governo – di un governo – per realizzare i grandi progetti che stiamo mettendo in campo, è altrettanto vero che qualunque governo avrà bisogno di Milano, della sua spinta innovativa, della sua attrattività anche sulla scena internazionale come motore del paese”.
Ma il risultato del Sì a Milano si offre soprattutto a letture politiche. Come insiste a ripetere Sala, oggi Milano è l’unica metropoli che si propone con una dimensione internazionale, attira investimenti, ha progetti di trasformazione. Per questo ha necessità di regole per gli investitori, di rapidità di decisione, di autonomia finanziaria. Tutto questo dopo il No si fa più difficile, e più urgente. Il modello Milano ha bisogno di autonomia come l’aria ma, come argomenta l’ex competitor di Sala, Stefano Parisi, ora impegnato nel suo progetto politico, avrebbe bisogno di un’autonomia fiscale e di bilancio che al momento non c’è, e che nemmeno il Sì avrebbe garantito. Così come ne avrebbe bisogno la Città metropolitana, in una misura che la legge attuale non prevede. La sfida è questa, e la sinistra delle riforme non può che continuare a scommettere su questo modello: anche perché il resto dell’Italia ha voltato le spalle a questa visione. Sul piano strettamente politico, Milano apre un altro scenario. Da qui parte la nuova fase di competizione nazionale, con Matteo Salvini lesto a intestarsi una vittoria che di fatto chiude la partita dentro il suo partito (le divergenze con Bossi) e toglie forza al No possibilista e trattativista (se è questo che aveva in mente) di Berlusconi. Mentre Parisi intende proprio prendere spunto dai limiti del modello Milano in chiave Sala: “Abbiamo perso sette mesi per una riforma inutile e dannosa. Con politiche radicali, chiare, efficaci. Chi ha votato No con spirito riformatore si deve candidare a governare”. Da ultimo, il Sì di Milano trasforma di fatto Beppe Sala in un leader nazionale, il più importante amministratore in carica della sinistra. Lui non ha intenzione di giocare questo ruolo, ma tutti sanno, come direbbe Kennedy, che ciò che fa Sala a Milano, fa bene alla sinistra.