Strafalcioni e ideologia nella politica energetica dei grillini
Prendere sul serio il programma di governo del comico, si può? Ci abbiamo provato col primo capitolo. I risultati
Quale potrebbe essere la politica energetica di un ipotetico governo a cinque stelle? A urne ancora calde, Beppe Grillo ha pubblicato sul blog un intervento che, nel tentativo di gettare luce su un tema tanto cruciale, rischia di lasciare il lettore a vagare tra le ombre, come l’Omero di Ugo Foscolo tra i sepolcri. Il ragionamento non è facile da decifrare (e non solo per le generose concessioni sintattiche allo sbobinamento non editato di un discorso a braccio). Mischia considerazioni più o meno populiste con stridenti contraddizioni. Un esempio delle prime: la constatazione retorica che “un barile di petrolio costa 50 dollari, un barile di Coca Cola costa 350 dollari” (si potrebbe aggiungere: un barile di Dom Perignon del 2006 circa 22 mila euro). Un esempio delle altre: la tirata contro le nostre case che consumano energia “anche quando spegni” ma anche “avremo tutte le nostre utenze collegate col WiFi”. Sarebbe utile sapere quale diavoleria domotica potrà mai coordinare elettrodomestici spenti e disalimentati. Oppure l’incrocio bizzarro tra pannello fotovoltaico e auto elettrica: “Tu accumuli nella batteria della tua auto elettrica la corrente di notte – dice Grillo – e se non la usi la rimetti in rete e te la pagano di giorno il triplo” (forse sulla collina di Sant’Ilario il sole splende anche dopo il tramonto).
Tutto ciò senza considerare che, tra l’altro, il rapporto tra i prezzi diurni e notturni dell’energia è ben lontano da tre (oggi, per dire, il picco di prezzo all’ingrosso è alle 18 con circa 66 euro / MWh, il minimo alle 5 di mattina con circa 50 euro). Poi c’è il capitolo delle incongruenze fattuali. Grillo esorta a “passare a un consumo medio di energia che è 6 kilowatt la media europea a 2, con l’efficienza e con le tecnologie”. Non è chiaro a cosa si riferisca: i kW (due o sei che siano) non misurano l’energia ma la potenza disponibile (come dire: confondere il diametro del tubo con la quantità d’acqua che ci passa). Ma in ogni caso, la famiglia media italiana (Sant’Ilario esclusa) non dispone di una connessione a 6 kW: su circa 29 milioni di clienti domestici, 26,5 hanno i canonici 3 kW, e solo 2,5 dispongono di una capacità superiore. Oltre tutto, il programma grillino punta sull’elettrificazione dei consumi. Ma se, nel lungo termine, le famiglie italiane lo faranno, allora verosimilmente dovranno dotarsi di più capacità, non di meno (ed è proprio in questa direzione che spinge la riforma tariffaria impostata dall’Autorità per l’energia).
Al netto della retorica, bisogna anzitutto guardare i dati. Nel 2014, col 17,1 per cento di energia rinnovabile sul totale, l’Italia era tra i paesi più “green”, sopra la media Ue (16 per cento) e sopra i paesi a noi direttamente comparabili, come Spagna (16,2 per cento), Francia (14,3 per cento) e Germania (13,8 per cento). Sotto la media sono invece le emissioni pro capite (7,04 tonnellate di CO2 equivalenti, contro 8,72 per l’Ue e 11,45 per la Germania). Questi risultati sono stati resi possibili non solo dalla generosa erogazione di sussidi nello scorso decennio, ma anche dal ruolo centrale che nella generazione elettrica e negli usi industriali ha assunto il vituperato (da Grillo) gas. Partendo da qui, si può esaminare un altro documento elaborato dal M5s, ossia il Programma energetico del movimento presentato il 21 aprile alla Camera dei deputati. Il piano ruota attorno all’obiettivo di eliminare totalmente i combustibili fossili dalla nostra economia entro il 2050, sostituendoli con rinnovabili e autoconsumo. Se consideriamo che già oggi i consumatori spendono circa 12,5 miliardi di euro all’anno in sussidi, pur tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e delle conseguenti riduzioni di costi, è difficile dire quanti fantastiliardi potrebbe costare il sogno del “tutto rinnovabili”.
Un conto è dire che le fonti verdi devono crescere: sta scritto in tutte le direttive Ue. Altra cosa però è pensare di decidere a tavolino che tutto il resto deve sparire. Ciò implica pure una discussione sul metodo. E qui, i pentastellati non assegnano alcun ruolo al mercato: per loro le preferenze dei consumatori, le convenienze relative delle diverse fonti, e il sistema dei prezzi in generale sono del tutto irrilevanti. L’unica variabile rilevante (e indipendente) è il mix delle fonti, come se una realtà tanto complessa e ramificata qual è il sistema energetico di un paese potesse essere minuziosamente pianificato top down per decisione politica. Per i grillini, i consumi sono dati (e quindi possono essere avviati su un sentiero di progressiva riduzione, a prescindere dagli utilizzi sottostnati), le modalità produttive possono essere stabilite ex ante e i prezzi non sono altro che un orpello redistributivo. Tutto ciò non è solo in netto contrasto con le regole europee che invece presuppongo la libera interazione tra domanda e offerta, pur sotto una serie di vincoli e target ambientali. E’ anche una capriola all’indietro verso forme hard di regolamentazione e pianificazione, a dispetto di tutte le evidenze sui suoi fallimenti passati.
Un sottofondo da èra pre industriale
L’unica differenza è che, per il M5s, il “braccio armato” dello stato non sono più imprese pubbliche ma la piena decentralizzazione di produzione e consumo, la cui funzione obiettivo non è la soddisfazione dei bisogni degli individui, ma la loro autosufficienza. Grillo parla di “paleolitico” in riferimento all’economia fossile, ma ha in mente un’organizzazione sociale di tipo fondamentalmente pre-industriale, dove non c’è spazio per la specializzazione del lavoro e la “mano invisibile”: tant’è che i suoi “portavoce” si battono contro ogni forma di liberalizzazione del settore. L’universo di riferimento dei Cinque stelle non è neppure quello pragmatico del “socialismo con caratteristiche cinesi” di Deng, che restituiva spazio alla proprietà privata e alle relazioni di mercato, ma quello ideologico del grande balzo in avanti di Mao. Con la differenza che, in questo caso, il piano quinquennale dovrebbe durare 35 anni. Buona fortuna.