Le nomine del dopo-Renzi spostano il baricentro d'azione da Palazzo Chigi al Quirinale
Eni, Enel, Terna, Leonardo, Poste. E poi Agenzia delle Entrate, Agenzia del Demanio, tutto l’apparato di governo e sottogoverno. Aperta la crisi di governo, si spalanca il portone delle nomine future. Per vincere il gioco servono: il potere, le relazioni, i numeri di telefono giusti. In palio, centinaia di posti in enti e società quotate a partecipazione pubblica
Fonte tripla A, settore panza e sottopanza: “Il pane quotidiano? Le nomine. Quando stai a Palazzo Chigi, quello è lo sport più divertente, impegnativo e fondamentale per la gestione del potere”. Clic. Aperta la crisi di governo, si spalanca il portone delle nomine future, si squadernano l’agenda e il calendario – “questo scade, questo no” – un carciofo che si divora con calma, foglia dopo foglia. Per vincere il gioco servono i seguenti ingredienti: il potere, le relazioni, i numeri di telefono giusti. In palio, centinaia di posti in enti e società quotate a partecipazione pubblica. Il gruppo di testa è rappresentato dai titani: Eni, Enel, Terna, Leonardo (ex Finmeccanica), Poste. E poi Agenzia delle Entrate, Agenzia del Demanio, tutto l’apparato di governo e sottogoverno della Repubblica, vertici militari e piccole istituzioni che contano zero nel grande disegno delle leadership ma costituiscono la pista di decollo del consenso dei partiti, soprattutto di quelli piccoli, privi di immaginario ma con un altissimo senso della posizione e dell’occupazione della casella giusta. Cosa succede dopo la caduta di Renzi? Succede che qualcuno deve procedere alla sostituzione o al rinnovo di quelle cariche. Chi lo fa? Il governo in carica. Ma per conto di chi? Della maggioranza che esprime l’esecutivo, dunque ancora in larga parte per il Partito democratico.
Tutto fila? Non proprio, centomila aghi passano per le trame sottili della politica e un conto è dire il Pd, un altro è scrivere Renzi. Quello di via del Nazareno in questo momento è tornato ad essere un corpo allo stato gassoso, dove nuvolette vagano in ordine sparso e il Pd renziano in realtà è qualcosa di impalpabile e soprattutto volubile, con gli stati d’animo – e le carriere – in cerca di appoggio per il domani. Renzi è un segretario, ma senza scettro di governo. Ecco perché non bisogna perdere il contatto con le cose terrene, le nomine, occorre uno che vigili sul traffico, accende il semaforo verde e rosso, l’arancione quando qualcosa è a rischio. Un lavoro da Luca Lotti, la figura che ha interpretato Renzi sul piano della gestione del potere, non solo un esecutore. Resterà ancora come sottosegretario a Palazzo Chigi? Non impossibile, ma difficile sì, perché parliamo del renzismo nella sua applicazione pratica e in un governo volante che nasce dalle dimissioni del padre è hard sostenere la necessità del figlio come co-pilota con tutti i piani di volo segreti in tasca. In ogni caso, la soluzione migliore c’è già, si chiama Claudio De Vincenti, un capitano di lungo corso del governo che c’è, pesa, decide, influenza e si vede pochissimo, il necessario e sempre con un tocco di savoir faire impregnato d’esperienza. De Vincenti sembra l’uomo giusto al momento giusto nell’istante in cui ogni stormir di foglia potrebbe fare rumore, sembrare un eccesso, un rumore di stoviglie durante un concerto da camera. Perfetto per sbrigare al meglio la faccenda, profondo conoscitore delle persone, dei ruoli, dei pesi e contrappesi che in questa fase saranno decisivi, un orologiaio che sa sincronizzare il delicato meccanismo del governo. Se Lotti non passa, De Vincenti è la garanzia di continuità e tocco istituzionale che serve al caso e soprattutto a Renzi.
E i nomi? E l’agenda? Le scadenze? Chi alambicca sulle poltrone stia sereno. Non decide solo il governo. C’è il Quirinale e soprattutto per le quotate c’è uno scudo benefico che si chiama mercato e impedisce entrate a gamba tesa che potrebbero produrre danni agli azionisti e all’interesse nazionale. Eni, Enel, Leonardo e Poste sono potenti organizzazioni che tutelano la loro autonomia e gli azionisti. E poi ci sono i manager: Claudio De Scalzi, Mauro Moretti, Francesco Caio sono gli artefici di un cambiamento in corso. De Scalzi ha preso il timone di Eni nel momento di massimo stress per il mercato del petrolio ed è considerato uno dei migliori a livello mondiale sul mercato dell’Oil & Gas, dove gli altri gruppi tagliavano migliaia e migliaia di dipendenti (Exxon, Bp e altri) lui invece riorganizzava il business in chiave contemporanea, anticipando la trasformazione dello scenario; Moretti ha ridisegnato completamente la struttura dell’ex gruppo Finmeccanica fino a cambiarne il nome (Leonardo) operando in un settore delicatissimo – l’industria della Difesa – dove l’Italia deve difendersi con lo scudo spaziale dagli assalti degli altri paesi; Caio ha portato Poste alla quotazione in Borsa, ha in mano un dossier finanziario di prim’ordine con in testa il progetto per acquistare Pioneer, il gioiellino di Unicredit nel settore del risparmio gestito, è un manager dotato di grande visione e senso del futuro. Sostituirli? Fuori è pieno di ciarlatani, ma quelli bravi in questo caso sono già al posto giusto. Chi avrà il peso decisivo in questa tornata di nomine? Non sarà a Palazzo Chigi, ma al Quirinale. Ogni tanto il grigiore di Mattarella è una patina rassicurante. Nominate, nominate, ma qualcosa resterà.
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