Diciamo la verità: si è chiusa una fase per la sinistra
Abbiamo solo un modo per rialzarci in piedi: niente proporzionale, Mattarellum, elezioni subito. Ci scrive Alfredo Bazoli, deputato del Pd
Io credo che, con la vittoria dei No al referendum costituzionale, una fase politica sia finita. È al capolinea questa legislatura, che nacque nel 2013 sotto una cattiva stella, dopo elezioni che consegnarono un Parlamento ingovernabile, e che trovò la sua ragion d'essere, e si consolidò piano piano, su un grande obiettivo, quello di tentare di raggiungere le riforme istituzionali tanto agognate e perseguite nel trentennio precedente.
Ci dicemmo allora, in quella convulsa fase di inizio legislatura, che non potevamo condannare al fallimento la nostra esperienza senza provare a trasformare quella crisi politica in una occasione, senza provare cioè a condividere con i nostri avversari, per lo stato di necessità che ci obbligava a sederci al tavolo insieme, le riforme e i nodi di sistema che la politica non era mai riuscita a sciogliere. Un obiettivo su cui nacque il governo Letta, e che proseguì con Matteo Renzi. Questi tre anni e mezzo di legislatura sono stati possibili perché quello è stato il traguardo al quale tendere. E oggi che il traguardo non è stato raggiunto, la legislatura obiettivamente si è indebolita.
Ma queste considerazioni valgono anche, in qualche modo, per la segreteria e il governo Renzi. Il quale ha speso pressoché tutta intera la sua leadership del Partito democratico dentro una esperienza di governo assorbente e totalizzante, ma pur sempre condotta in una fase politica di emergenza, dopo essere giunto alla guida del paese senza un previo passaggio elettorale, in una condizione di difficoltà che lo ha costretto ad una rincorsa continua, ricca di risultati positivi ma anche inevitabilmente affannosa. Questa fase politica si è conclusa, e la prossima si aprirà entro pochi mesi con le elezioni politiche generali che ci obbligheranno, direi finalmente, a strutturare una proposta politica solida, di lungo respiro, non dettata dall'emergenza, che faccia i conti con la condizione complicata della società italiana. Ma come gireremo la pagina, dipende dalle scelte che faremo oggi.
Non possiamo pensare di arrivare alle prossime elezioni come se fossimo ai supplementari di questa legislatura, come se dovessimo giocare la rivincita di una partita perduta all'andata. Non possiamo attardarci al rimpianto, non possiamo guardare indietro. Occorre essere consapevoli che ora si gioca la nostra capacità di visione del futuro di questo paese, che questo è il momento della costruzione, dell'edificazione di un progetto per l'Italia dei prossimi dieci, quindici anni.
Lo possiamo fare al riparo di un governo che tenterà di portare a termine, ordinatamente, la legislatura, che si occuperà di portare a compimento le tante cose avviate dal governo Renzi e che aspettano solo il loro completamento (penso alla riforma della Giustizia, penso alle tante deleghe in gestazione, dal terzo settore alla povertà). E il luogo meglio indicato per illustrare la nostra idea di futuro non può che essere un Congresso, nel quale si faccia una discussione serena e se possibile alta, dallo sguardo lungo, che non sia una mera conta interna, che non sia una semplice resa dei conti, che affronti certamente il modo di stare insieme in una grande comunità, perché ciò che è accaduto in questi ultimi mesi credo non sia tollerabile, ma che soprattuto faccia i conti con il futuro del nostro paese, con il futuro che ci riguarda.
Una discussione che può essere una occasione anche per Matteo Renzi, che io continuo a pensare abbia le migliori idee per fare uscire l'Italia dal declino, e che finalmente al riparo dalle urgenze del governo, facendo un passo di lato, può rimettersi in sintonia con le esigenze profonde degli italiani, può aggiornare priorità e visione del paese sulla base del messaggio che i popoli di tutte le democrazie stanno consegnando a chi li governa: il messaggio di una società impaurita e incupita, di una società che è passata dai due terzi inclusi ai due terzi che si sentono esclusi e privi di speranza, e che reagiscono dando consenso a chi promette di ribaltare il sistema. E può essere anche una occasione di riflessione vera e autentica, per Renzi e per la maggioranza che ha governato il partito in questi anni, non solo sui cospicui risultati raggiunti, ma anche su errori, limiti e difetti da correggere. Prendiamoci dunque il tempo che serve per costruire e ricostruire, senza tentennamenti e ritardi, ma anche senza una fretta malconsigliata. E nel frattempo aiutiamo questo governo di transizione a completare le riforme in attesa.
Senza far finta di non sapere, però, che la questione della legge elettorale è dirimente. Io non credo che dobbiamo rassegnarci alla restaurazione della prima Repubblica, attraverso il ripristino di una legge proporzionale. Che ci farebbe fare una capitombolo di vent'anni, riprecipitandoci nei vizi e nei difetti dei governi fatti e disfatti dai partiti, sotto ricatto continuo e permanente dei piccoli gruppi, senza alcuna scelta degli elettori, con la fine dell'esperienza, comune a tutte le democrazie europee, della coincidenza tra il leader del partito e il candidato premier. Su questo dunque barra dritta, sapendo che esiste la rapida via di uscita da uno stallo possibile e prolungato: il ripristino del Mattarellum.