Punti di forza e di debolezza che Renzi lascia in eredità a Gentiloni
Ok su tassazione alle imprese e deficit, non ok su spesa e concorrenza. Cosa ci dicono i risultati dell’esecutivo uscente messi in relazione con le previsioni del Def rilasciate prima del suo arrivo
Gli autori del testo che leggerete sono Carlo Stagnaro e Marco Leonardi. Carlo Stagnaro (1977), storico collaboratore del Foglio e già direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni, è stato capo della segreteria tecnica del ministro dello Sviluppo economico durante il governo Renzi. Marco Leonardi (1972) è stato consigliere economico del presidente del Consiglio durante il governo Renzi ed è professore associato di Economia politica presso l’Università di Milano. Sono entrambi due osservatori di parte, ma la loro analisi merita di essere letta per provare a capire a mente fredda cosa ha funzionato e cosa non ha funzionato nei mille giorni del governo Renzi. Stagnaro e Leonardi hanno scelto alcuni punti precisi sui quali soffermarsi (non troverete nulla sulla riforma della Giustizia penale, vero punto debole del governo Renzi) e tutti i confronti che leggerete sono stati argomentati partendo da ciò che era stato previsto per il 2016 dal governo che ha preceduto Renzi (Enrico Letta) e ciò che poi si è verificato nel bene e nel male nel 2016 al termine dell’esperienza di Renzi. Buona lettura.
Matteo Renzi è entrato a Palazzo Chigi il 21 febbraio 2014 e ne è uscito il 12 dicembre 2016. In questo “triennio breve” ha firmato tre leggi di bilancio (relative agli anni 2015, 2016 e 2017) e svariati altri provvedimenti di impatto economico. Per valutare compiutamente le conseguenze economiche del governo Renzi occorrerà attendere ancora qualche anno, sia perché parte delle sue policies diverranno efficaci solo a partire dal 1 gennaio (per esempio il taglio dell’Ires), sia perché altre misure richiedono tempo prima di generare effetti (è il caso della riforma delle Camere di commercio).
E’ tuttavia possibile fare una valutazione preliminare. Dove possibile, e cioè per le variabili di finanza pubblica, cercheremo di verificare non solo se il governo Renzi abbia lasciato un’Italia migliore o peggiore rispetto a quella che aveva preso in mano, ma anche rispetto a quello che, col “senno di prima”, ci si aspettava sarebbe successo. Per farlo, confronteremo i risultati economici del governo con le previsioni contenute nell’ultimo documento di programmazione rilasciato prima del suo arrivo, ossia la Nota di aggiornamento al Def 2013 firmata dal presidente Enrico Letta e dal Ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni. Per quanto riguarda l’anno 2016, non essendo ovviamente disponibili dati a consuntivo, assumeremo come corrette le previsioni contenute nella Nota di aggiornamento al Def per l’anno in corso.
1) Pressione fiscale
La pressione fiscale è scesa dal 43,4 per cento del 2014 al 42,6 per cento del 2016 (42,1 per cento al netto degli 80 euro che, ai fini della contabilità nazionale, figurano come spesa fiscale pur essendo a tutti gli effetti una riduzione di imposta). La Nota di aggiornamento al Def 2013 prevedeva, per il 2016, una pressione fiscale del 43,7 per cento, principalmente a causa delle clausole di salvaguardia che sono state di anno in anno neutralizzate.
Fonte: elaborazione su dati Istat, Mef
2) Tassazione sulle imprese
L’orizzonte logico della politica fiscale del governo Renzi era quello di una progressiva riduzione delle imposte: Irap e 80 euro nel 2015, Imu sulla prima casa, sugli imbullonati e Imu agricola nel 2016, Ires nel 2017 e infine Irpef nel 2018 (ovviamente quest’ultima misura non è stata adottata a causa della prematura fine del governo). E’ chiaro che uno degli obiettivi strategici era quello di alleviare l’imposizione sulle imprese. Altri provvedimenti adottati a tal fine sono l’introduzione del superammortamento nel 2016 (prorogato nel 2017) e l’iperammortamento per gli investimenti in beni 4.0 a partire dall’anno prossimo.
Una misura dell’effettiva tassazione sulle imprese è il “total tax rate” stimato dalla Banca mondiale nell’ambito del suo rapporto annuale Doing Business. Tale indicatore, che stima l’ammontare complessivo delle imposte pagate da un’impresa rappresentativa in rapporto ai suoi profitti commerciali, è sceso dal 65,2 per cento del 2014 al 62 per cento del 2016.
Fonte: elaborazione su dati World Bank
3) Spesa pubblica
La spesa pubblica in rapporto al Pil è calata dal 50,9 per cento del 2014 al 49,5 per cento del 2016. Nel valutare questo dato, però, occorre tenere conto degli effetti del Quantitative Easing praticato dalla Banca centrale europea, che ha tenuto sotto controllo i tassi di interesse e di conseguenza ridotto in modo significativo il costo del servizio al debito: la spesa per interessi è infatti scesa dal 4,6 per cento del Pil nel 2014 al 4 per cento atteso nel 2016. Di conseguenza, per esprimere un giudizio più preciso sui risultati del Governo Renzi, appare ragionevole concentrarsi sulla spesa primaria, ossia la spesa al netto del servizio al debito: quest’ultima è scesa da 46,3 per cento del Pil nel 2014 al 45,5 per cento nel 2016. La Nota di aggiornamento al Def 2013 prevedeva, nel 2016, una spesa primaria pari al 43,6 per cento.
Sotto questo profilo quindi la performance del Governo è in chiaroscuro: Renzi ha ridotto la spesa pubblica ma meno di quanto avrebbe potuto fare. Va tuttavia sottolineato che, simmetricamente alla discussione sulla pressione fiscale, sulla determinazione della spesa incide la contabilizzazione degli 80 euro. Se vengono considerati come minore imposizione fiscale, essi comportano una correzione al ribasso della spesa 2016 pari a 0,5 punti di Pil, al 45 per cento.
Fonte: elaborazione su dati Istat, Mef
4) Deficit
In un paese ad alto debito pubblico quale è l’Italia, è cruciale la capacità di un esecutivo di tenere sotto controllo i saldi di finanza pubblica: sia al lordo, sia al netto del servizio al debito. Per quanto riguarda l’indebitamento netto, sotto Renzi esso è calato dal 3 per cento del Pil nel 2014 al 2,4 per cento nel 2016. Come detto, però, questa dinamica riflette in parte la riduzione dei tassi che non dipende da scelte di politica interna. Il saldo primario, ossia la differenza tra entrate e uscite al netto della spesa per interessi, è restato stabile nel triennio. Questo risultato è coerente con quanto emerso dall’analisi della spesa pubblica: il governo Renzi, che pure ha tagliato diverse voci di spesa, ha utilizzato i risparmi principalmente per finanziare altre spese (inclusa la “spesa fiscale” degli 80 euro che, come visto, coincide con un sostanziale abbassamento di imposte) o riduzione di imposte. Pertanto il miglioramento dei saldi di finanza pubblica è principalmente riconducibile alla minore spesa per interessi. Va tuttavia detto che, in altri periodi, la riduzione della spesa per il servizio al debito si è tradotta in un peggioramento, e non nell’invarianza, dei saldi di finanza pubblica.
Fonte: elaborazione su dati Istat, Mef
5) Debito pubblico
Negli anni del governo Renzi, il debito pubblico si è sostanzialmente stabilizzato: il suo rapporto col pil è salito di 0,8 punti, passando dal 131,9 per cento nel 2014 al 132,8 per cento nel 2016. Si tratta di una traiettoria di crescita modesta, che segna però la scelta dell’esecutivo di concentrare le risorse su interventi immediati di spesa o di minore tassazione, rimandando de facto la riduzione del debito – sia attraverso il pareggio di bilancio, sia attraverso una massiccia campagna di privatizzazioni – a momenti futuri caratterizzati da una congiuntura economica più favorevole. E’ qui che si vede la principale deviazione rispetto alle previsioni pre-Renzi: la Nota di aggiornamento al Def 2013, infatti, prevedeva una contrazione pari al 127,1 per cento del Pil. Tuttavia, le previsioni del governo Letta sull’andamento del Pil erano assai più ottimistiche di quanto poi si è verificato (+1,7 per cento nel 2015 e +1,8 per cento nel 2016, contro dati reali significativamente inferiori). E’ proprio la dinamica del pil, in buona parte spiegabile da fattori esogeni internazionali, a giustificare la scelta dell’esecutivo di adottare una politica di bilancio relativamente più espansiva di quanto previsto, pur mantenendo sotto controllo il deficit e di conseguenza l’evoluzione del debito stesso.
Fonte: elaborazione su dati Istat, Mef
6) Concorrenza
La stagnazione della produttività totale dei fattori, che è il principale driver della crisi italiana, richiede di intervenire con profondità per rendere contendibili i mercati e assetti proprietari. Molto spesso, questa condizione è infatti consolidata da precise disposizioni normative. Il governo Renzi aveva dedicato alla questione della concorrenza un apposito disegno di legge, che tuttavia non è ancora stato approvato in via definitiva, anche per le oggettive resistenze politiche che ha incontrato durante il suo travagliato percorso parlamentare. In molti ambiti, però, l’esecutivo ha promosso interventi che, per quanto apparentemente marginali, hanno consentito di allargare gli spazi competitivi: per fare solo alcuni esempi, la piena portabilità dei conti correnti, la liberalizzazione della finanza d’impresa, il superamento della discriminazione degli operatori postali privati ai fini Iva, la possibilità di costituire startup innovative online e senza l’assistenza del notaio, e soprattutto la riforma delle banche popolari. Una misura del grado di liberalizzazione dell’economia è l’Indice delle liberalizzazioni dell’Istituto Bruno Leoni, che dal 2014 segna un piccolo ma costante miglioramento.
Fonte: elaborazione su dati IBL
7) Spesa energetica delle Pmi
Uno dei primi impegni assunti da Renzi è stato quello di adottare provvedimenti per ridurre in misura significativa il costo dell’energia per le piccole e medie imprese italiane. Il principale strumento in tal senso è un pacchetto di misure varate nell’arco del 2014 sotto il titolo di “taglia bollette”, che vanno da una revisione degli incentivi per le fonti rinnovabili a una riduzione dei sussidi incrociati tra categorie di consumatori non domestici. La maggior parte di tali misure ha avuto effetto a partire dal 1 gennaio 2015. La discontinuità di prezzo che si osserva proprio nei primi due trimestri del 2015 può essere in buona parte attribuita al taglia bollette.
Fonte: elaborazione su dati Confartigianato
8) Efficientamento del sistema giudiziario
In Italia la scarsa performance del sistema della giustizia è responsabile di ritardi e inefficienze del sistema produttivo e imprenditoriale nel Paese. Nello specifico, una lenta e farraginosa giustizia civile mina la credibilità delle istituzioni e delle regole di funzionamento dell’economia e introduce incentivi perversi che impattano negativamente sulla competitività delle imprese, la loro struttura dei costi ma anche sull’allocazione del credito e degli investimenti. Negli ultimi anni il lavoro svolto dal Governo ha permesso una sensibile riduzione dei procedimenti civili pendenti. Il totale nazionale degli affari civili aperti al 30 settembre 2016 per tutti gli Uffici e per tutte le materie trattate, a eccezione dell’attività del Giudice tutelare, per loro natura di durata pluriennale, e degli Accertamenti Tecnici Preventivi (ATP) in tema di previdenza, registra una diminuzione dell’11,5 per cento rispetto al 2014, attestandosi a 3,8 milioni. Parallelamente dalla metà del 2014 è stato introdotto a regime il processo civile telematico con significativi risparmi (oltre 130 milioni di euro dal 2013) e la riduzione dei tempi di emissione degli atti (-50 per cento per l’emissione di un decreto ingiuntivo).
Infine, il nuovo tribunale delle imprese, nato nel 2012, ha registrato performance significative nell’ultimo triennio con l’80 per cento di definizione dei processi di primo grato entro un anno e con i quattro quinti delle sentenze di primo grado confermate in appello.
Fonte: elaborazione su dati Ministero della Giustizia
9) Mercato del lavoro
La riforma del mercato del lavoro è stata al centro dell’azione di Governo e si è composta di due pilastri fondanti: il Jobs Act che ha introdotto in modo strutturale il contratto unico a tutele crescenti e un intervento congiunturale che favorisse l’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato attraverso la decontribuzione per i neoassunti dal 1 gennaio 2015.
I dati del periodo di Governo dimostrano come l’occupazione totale sia cresciuta di oltre 570 mila unità da febbraio 2014 a ottobre 2016 (ultimo dato disponibile) e contemporaneamente gli inattivi siano calati di circa 540 mila unità, indice del fatto che anche i cosiddetti “scoraggiati” ora risultano alla ricerca di un lavoro. Nello stesso periodo è diminuita di circa il 5,9 per cento la disoccupazione giovanile e il ricorso alla cassa integrazione (1.101 milioni di ore nel 2013 vs. 682 nel 2015).
Fonte: elaborazione su dati Istat, Mef
10) Procedure d’infrazione Ue a carico dell’Italia
In Europa il governo Renzi ha saputo interagire con le istituzioni attivando canali di collaborazione proficua. L’ultima decisione della Commissione europea dell’8 dicembre 2016 conferma i miglioramenti fatti negli ultimi anni dall’Italia in materia di procedure di infrazione, calate sensibilmente nell’arco dell’ultimo triennio.
Elaborazione su dati Dipartimento politiche europee - presidenza del Consiglio dei ministri
Conclusione
Nel complesso, il quadro che emerge dai dati – e che potrà nei prossimi mesi essere completato man mano che arriveranno informazioni definitive per il 2016 e cominceranno ad affluire quelle relative al 2017 – è quello di un Governo che ha perseguito con una certa coerenza una politica di promozione della crescita economica. Sarebbe ingenuo ignorare i numerosi vincoli a cui l’esecutivo è stato soggetto – a partire da quelli politici derivanti dalla natura della maggioranza che lo sosteneva – ma sarebbe ingeneroso negare che siano stati compiuti dei passi importanti nella giusta direzione. In particolare, Renzi è riuscito ad avviare un percorso di riduzione delle imposte, contenimento dei costi dei principali input produttivi (a partire dall’energia), intervento strutturale su alcuni driver della produttività (mercato del lavoro e giustizia) e controllo delle finanze pubbliche. La principale debolezza nell’azione del Governo sta probabilmente in una revisione della spesa pubblica che avrebbe potuto essere più aggressiva, con l’obiettivo di anticipare la riduzione del debito pubblico. Tuttavia, occorre anche riconoscere che la scelta di praticare una politica fiscale espansiva è frutto di una decisione consapevole tesa a imprimere uno stimolo anticiclico all’economia, all’indomani di una recessione drammatica sia per estensione sia per durata.
La strada delle riforme di cui l’Italia ha bisogno è ancora lunga, ma in questi anni il Paese ha superato alcune tappe importanti e soprattutto ha mantenuto una coerenza di fondo nel suo sforzo di cambiamento. Probabilmente il Governo ha commesso molti errori, in alcuni casi è stato timido e in altri contraddittorio: ma, per citare Winston Churchill, “non è mai l’azione a preoccuparmi, ma l’inazione”.