Lealtà a progetto e nuove logiche, così cambiano le correnti pd
Gruppi a sinistra del segretario, renziani in crescita e le alleanze pesanti fuori dal Parlamento. Numeri e nomi
Roma. Le correnti, oggi, ci sono persino nel M5s, diviso fra dimaisti e dibattisti, figurarsi se potevano mancare nel balcanizzato Partito democratico. “Le correnti erano una istituzione all’interno dei partiti democristiani e del partito socialista. Nel Partito comunista c’erano, ma non si dovevano esprimere, in omaggio al centralismo del partito, che era assoluto, come tutti i partiti comunisti”, racconta al Foglio il professor Zeffiro Ciuffoletti, storico all’Università di Firenze. Antonio Funiciello, tre anni fa su Europa, spiegò la differenza fra correnti e filiere: “Le correnti servono. Sono indispensabili. E non c’è niente di male se costruiscono protezione tra i correntisti, purché questi siano legati da un vissuto culturale comune. Le correnti costituiscono naturalmente un sistema di convenienze reciproche fondato su convinzioni condivise. Le filiere, viceversa, costruiscono un sistema di convinzioni fondato su convenienze”. Resta da capire se quelle di oggi nel Pd siano, appunto, le prime o le seconde. Per essere un partito “de destra”, come ironizzano da tempo immemore gli avversari di Renzi, il Pd si ritrova oggi con quattro correnti di sinistra: i Giovani Turchi di Matteo Orfini e Andrea Orlando (che sono 57), l’area di Maurizio Martina (52), la Sinistra Dem di Gianni Cuperlo e la Sinistra riformista di Roberto Speranza. Le prime due stanno con il segretario del Pd e vorrebbero anticipare il voto al 2017, le altre invece puntano alla fine della legislatura.
Nel 2013, ai tempi delle primarie vinte da Renzi, nessuno stava con l’attuale segretario: tutte e quattro le correnti appoggiavano Cuperlo, che prese il 18,21 per cento. Ora i rapporti di forza sono un po’ cambiati, e sarebbe troppo facile spalmare il risultato di tre anni fa in quattro parti. In più, Renzi tre anni fa era in piena fase d’ascesa. Oggi Orfini e Orlando rivestono ruoli di primo piano, uno nel partito, l’altro nel governo, sono leali a Renzi, così come lo è il ministro Maurizio Martina, cui il segretario riconosce un ruolo centrale nella vittoria di Beppe Sala a Milano. Nei momenti in cui Area Dem (56), la corrente del franceschiniano Dario Franceschini, risultava più timida, sono stati loro a dare una mano a Renzi. Oggi, peraltro, è uno di quei momenti lì. La tentazione di Franceschini è quella di sempre, cioè essere fedele a se stesso, ma i franceschiniani sono diventati un mondo variegato, specie per quanto riguarda il ritorno alle urne. E mentre i Giovani Turchi sono, per autodefinizione, “monolitici”, dentro Area Dem si assiste, da tempo, a qualche sbandamento. C’è per esempio una faglia in Toscana, da dove viene Antonello Giacomelli, ex braccio destro di Franceschini, che ormai si qualifica come lottiano. I lottiani di Giacomelli cominciano a essere parecchi: Caterina Bini, Vito Vattuone, Salvatore Margiotta, Pina Picierno, Daniela Cardinale, Gianclaudio Bressa, Francesca Puglisi, Francesco Garofani, Alberto Losacco. “Ero convinto in tempi non sospetti – dice Giacomelli al Foglio – lo sono maggior ragione ora: la legislatura ha esaurito il suo senso. Bisogna andare a votare prima possibile”.
In un tweet di qualche settimana Ettore Rosato, capogruppo del Pd, diceva che il Pd chiede il voto “al più presto”, che poi è anche il pensiero di Piero Fassino. Rosato ed Emanuele Fiano sono considerati tra i più leali a Renzi tra i parlamentari di Area Dem. Sono i nomi che vengono più facilmente in mente agli uomini vicini a Renzi quando provano a rispondere alla domanda del cronista: “Chi sono i vostri alleati nel Pd?”. Poi ci sono, naturalmente, i renziani di origine controllata. Nel 2013 erano appena 40 alla Camera e una decina al Senato. Alla fine del 2016 i deputati renziani sono diventati quasi il doppio, 86. Gli avversari di Renzi invece sono molto facili da individuare. Tra questi ci sono Gianni Cuperlo e Roberto Speranza, cui fanno capo anche i parlamentari di Sinistra Dem e Sinistra Riformista, un tempo raccolti sotto l’egida di Area Riformista. La mappa delle correnti del Pd, anche se calcolata sul voto/non voto, non può non tenere conto di ciò che si muove fuori dal Parlamento.
L’alleanza fra Speranza e il presidente della Puglia Michele Emiliano è il segnale, almeno agli occhi dei renziani, della presenza di un’altra corrente, se non di un partito nel partito: quella dei governatori nel Mezzogiorno, fatta da Marcello Pittella, Mario Oliverio, Vincenzo De Luca e, appunto, dallo stesso Emiliano. I governatori un po’ stanno con Renzi e un po’ lo attaccano, sono a corrente alternata. Fatto sta che rappresentano un problema serio, per il Pd di Renzi, che storicamente nel Mezzogiorno ha un mucchio di problemi. “I rapporti di forza ora non sono favorevoli a Renzi – dice al Foglio un senatore molto vicino al segretario – perché tradizionalmente nel Pd di fronte al pericolo di sconfitta si tende a rifugiarsi nel terreno identitario della ‘sinistra sinistra’. Ma lo aiutano molto i Giovani Turchi, che non puntano al golpe contro di lui ma alla conquista della leadership, sul medio e lungo periodo. E dunque ora lo sosterranno (e numericamente sono molto importanti) finché non sarà costruito quel partito ‘vero’, che oggi manca, nel quale possa esserci un confronto autentico tra linee politiche competitive e tra leadership diverse”. Insomma, anche la lealtà dei Giovani Turchi è a progetto.