Il gruppo M5s al Parlamento europeo (foto LaPresse)

Perché quello tra M5s e Alde sarebbe stato un matrimonio impossibile

Lorenzo Borga

Il fact checking sull'alleanza (già) naufragata tra Grillo e e Verhofstadt dimostra una incompatibilità palese sui grandi temi dell'economia e della politica estera

Se qualcuno si lamentava di un 2017 fin qui politicamente sonnecchiante, negli ultimi giorni si deve essere ricreduto. Beppe Grillo e Guy Verhofstadt, ex premier belga ed ora leader dei liberisti europeisti dell’Alde (Alleanza dei Liberali e dei Democratici per l’Europa), hanno messo in atto una serie di colpi di scena, ricavandoci entrambi una ben magra figura. Dopo il post a sorpresa di Grillo e la conferma dal voto dei militanti, sembrava che al matrimonio al Parlamento europeo tra Movimento 5 stelle e Alde mancassero solo i dettagli tecnici. Peraltro l’accordo era in discussione - in gran segreto - già da diversi giorni, come dimostrato dal documento diffuso dal giornalista David Carretta. Ieri tuttavia una nuova svolta: il definitivo rifiuto di Verhofstadt per mancanza di condivisione all’interno del gruppo liberale.

 

Una scelta - quella di confluire nei liberali centristi - che ancora deve essere spiegata fino in fondo e che non è scontata, data la posizione fortemente europeista dell’Alde, seppur portata avanti da partiti membri piuttosto eterogenei dal punto di vista politico. In Italia è stata rappresentata da movimenti e partiti come i Radicali, Scelta civica di Zanetti e Verdini, Italia dei Valori, Fare per Fermare il Declino di Oscar Giannino, Centro democratico di Bruno Tabacci e altre realtà associative, come il Comitato Ventotene, che nei giorni scorsi ha espresso dure critiche. Una compagnia certamente inusuale per gli euroscettici grillini. D’altro canto è vero che i gruppi presenti al Parlamento europeo non sono del tutto simili a quelli di un Parlamento nazionale. Se una delegazione non è inserita in alcun gruppo parlamentare, questa perde gran parte delle possibilità di influire sul dibattito, quali “avere diritto di parola durante le sessioni plenarie del Parlamento, essere rappresentati all’interno della Conferenza dei Presidenti, avere la possibilità di seguire l’iter legislativo come autori di regolamenti europei”, oltre ai finanziamenti pubblici erogati da Bruxelles (quasi 700 mila euro all’anno per M5s). Luigi Di Maio ha spiegato che il tentato accordo è stata una “scelta tecnica” e non politica: una novità per un gruppo politico che fa dell’idealismo e delle coerenza i propri cavalli di battaglia.

 

Non è quindi un caso che il comico genovese abbia ammesso che già nel precedente gruppo, quello creato assieme allo Ukip di Nigel Farage, la situazione non fosse idilliaca: “Abbiamo studiato le percentuali di voto condiviso con Ukip e le altre delegazioni minori: la cifra non supera il 20 per cento”; la percentuale – verificata dal Foglio – corrisponde alla realtà. Mentre la coincidenza di voto con Alde sembra essere molto maggiore, almeno superiore al 50 per cento, secondo gli scarsi dati sulle votazioni presenti sul sito del Parlamento europeo. Ciò non toglie che le differenze politiche fossero significative. A partire da settembre 2016, nel corso delle sei sedute plenarie, le divisioni fra la delegazione del Movimento 5 stelle e i liberali di Verhofstadt sono state notevoli.

 

M5s e Alde non si sono trovati d’accordo sulle strategie dell’Unione europea in materia di mercato dell’energia, così come riguardo alle mosse che l’Unione europea dovrebbe intraprendere nei confronti dell’Iran dopo l’accordo sul nucleare; i due gruppi non hanno avuto una visione comune su uno degli atti fondamentali, cioè il bilancio dell’Unione, sul quale il 26 ottobre 2016 hanno votato in modo differente, come anche sulla relazione annuale della Bce. Ma non basta: M5s si è opposto alla proposta dei liberali per la programmazione di una politica di Difesa comune e lo scorso novembre si è trovato su opposte barricate al momento del voto sulle supposte manipolazioni propagandistiche russe in Europa. Ma andando a ritroso nel tempo si scoprono sempre più divergenze fra i due gruppi che per un giorno sono sembrati sul punto di allearsi: Alde si espresse a favore sia dell’importazione senza dazi dell’olio tunisino (tema ricordato in tutti i comizi, ma proprio tutti, da Alessandro Di Battista), sia delle indicazioni dell’Europarlamento alla Commissione riguardo il Ttip, che vennero definite dal Movimento completamente insufficienti.

 

Liberali europei e grillini non se le sono mai mandate a dire, per la verità. Nella sezione del sito del Movimento 5 stelle dedicata al gruppo europeo, Alde viene citata otto volte, sempre in modo estremamente critico. Difensori delle lobby, fautori di “un'orgia di compromessi destra-sinistra-centro”, raccoglitori di “consensi da tradire poi al momento dell’azione”, difensori di un’Europa dalla “faccia deforme”, ipocriti, “sherpa garanti degli interessi delle lobby”. Lo stesso Guy Verhofstadt è stato criticato senza mezzi termini dal Movimento, in un post in cui è definito “il politico che più dentro al Parlamento europeo incarna l’euroStatocentrismo”, e un “eurodeputato che collezione poltrone”. Accusa che nelle ultime ore – a dir la verità – è stata lanciata anche nei confronti dello stesso Movimento 5 stelle, in particolare da Reinhard Bütikofer, parlamentare europeo dei Verdi. Bütikofer ha affermato che i Cinque stelle avevano proposto anche al gruppo ambientalista la fusione, insistendo in particolare per ottenere “un paio di incarichi importanti”.

 

Differenze che si palesano anche nella sostanza, cioè nei programmi politici delle due forze politiche. Il Movimento si è presentato nel 2014 con un programma di sette punti: abolizione del Fiscal Compact, adozione degli Eurobond, alleanza tra i paesi mediterranei per una politica comune, investimenti in innovazione esclusi dal limite del 3 per cento, finanziamenti per attività agricole e di allevamento finalizzate ai consumi nazionali interni, abolizione del pareggio di bilancio e referendum per la permanenza nell’euro. Mentre l’Alleanza auspica nel suo manifesto di “costruire una Europa più forte”, si pone l’obiettivo di “combattere il protezionismo e l’interferenza dei governi” e – esplicitamente – di contrattare un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti; si promette inoltre di implementare l’unione bancaria facendo riferimento al bail-in e di “rafforzare le sanzioni automatiche” nei confronti degli stati membri che “non rispettano il patto di stabilità e crescita”. Differenze sostanziali, che si fanno più sottili quando invece si tratta di politiche ambientali, trasparenza e innovazione tecnologica.

 

Differenze che alla fine hanno determinato il fallimento della trattativa tra i due gruppi, ma che dimostrano una possibile nuova mutazione genetica del Movimento 5 stelle, che dopo aver “scoperto” il garantismo sembra aver apprezzato anche la realpolitik di machiavellica memoria.