Piano e contropiano
Dopo il caso Verdelli, Campo Dall’Orto porta oggi in cda Rai un documento “ancora non identificato”
Roma. Premessa: sulle premesse sono sempre tutti d’accordo. E le premesse di cui ora si parla in Rai, e su cui chiunque, al settimo piano di Viale Mazzini, si dice d’accordo, sono quelle del cosiddetto piano Verdelli, o piano editoriale per l’informazione, bocciato informalmente dal cda il 3 gennaio ed evocato, a seconda delle prospettive, come fantasma-canovaccio da cui partire, o non partire, oggi, quando sul tavolo del medesimo cda arriverà un misterioso oggetto volante: il piano ancora senza nome che il dg Antonio Campo Dall’Orto presenterà dopo cinque giorni di full immersion e scambio-opinioni con altri settori dell’azienda. Un piano che, era parso di capire dall’intervista che il dg aveva rilasciato al Corriere della Sera dopo le dimissioni di Carlo Verdelli dalla carica di responsabile editoriale, doveva essere la “continuazione” del piano Verdelli, ma che, con il passare dei giorni, in Rai, è stato via via descritto come qualcosa di diverso (anche molto diverso). Nelle parole del consigliere Carlo Freccero, per esempio, il documento che arriva in consiglio oggi sarà “un piano editoriale, non solo manageriale”, dove “di sicuro non troveranno spazio idee come quella di un tg a Milano”.
E anzi: provocava ieri a Freccero grande sbotto d’insofferenza la lettura dell’articolo in cui Francesco Merlo, editorialista di Repubblica ed ex consulente Rai dimessosi prima di Verdelli, raccontava su Rep. i suoi sei mesi in Viale Mazzini come mesi in cui lui e Verdelli erano stati trattati come “erbacce da estirpare”, forse anche per via, scriveva Merlo, di quell’idea di “raccontare l’Italia con il lessico calvinista e con lo stile, direbbero Giorgio Armani e Giuliano Pisapia, delle tre ‘d’ milanesi: discrezione, disciplina, dovere”. “Mi metto le mani nei capelli”, diceva il non renziano Freccero a sentir nominare Pisapia e Armani insieme (“icone renziane, ora!”), mentre Franco Siddi, ex segretario nazionale Fnsi e consigliere Rai in quota Pd, auspicava per oggi “una discussione di merito” per “avanzare” verso l’implementazione di un piano editoriale. E si capisce che il piano non è il piano Verdelli, anche se le premesse del piano Verdelli sono “condivisibili” pure per Siddi. Ma che cosa uscirà mai dai cinque giorni di full immersion di Campo Dall’Orto con i vari “altri settori” dell’azienda?, si domandano curiosi e osservatori nei corridoi Rai, rispondendosi con una sola grande certezza (o illusione, a seconda dei punti di vista): “… le divisioni partitiche di una volta, in cda, adesso non vogliono dire più nulla…”. E insomma nessuno, in Rai, definisce il piano che oggi arriva in cda un “contropiano”, tanto più che tutti, oppositori di Verdelli compresi, dicono che partirà dalle famose premesse.
Ma poi? Poi vai a capire. C’è chi fa notare che il piano Verdelli non è abbastanza “rivoluzionario” nelle conclusioni e chi dice che le premesse bisogna “svilupparle” secondo “criteri industriali”. Poi c’è il deputato pd (renziano) Michele Anzaldi, membro della commissione di Vigilanza, che da mesi ricorda il “precedente” del piano Gubitosi: “In Vigilanza i rappresentanti del popolo italiano l’avevano approvato all’unanimità. Faceva risparmiare 70 milioni. Perché non è stato applicato? Dimostratemi che si può risparmiare di più”. E così l’oggetto misterioso prende intanto forma, ma in stile Montale: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.