Il prezzo della politica
Vestiti, chiome e denaro pubblico. Come la realtà ha modificato l’estetica e la sostanza del M5s
Roma. La politica ha bisogno di soldi, e soldi e politica cambiano sia gli individui sia i movimenti. Così i primi si trasformano in politici, e i secondi in partiti. “Vivremo in modo spartano, anche De Gasperi faceva così, non come questi miserabili di oggi”, diceva allora Mario Giarrusso, l’avvocato di Catania, grande grande e tombolotto, quando arruffatissimo – in questo non è cambiato – si presentò ai giornalisti, neoeletto nel 2013 in Senato. E a quel tempo anche Luigi Di Maio condivideva un appartamentino con altri due colleghi della Camera (oggi vive da solo, con la compagna Silvia Virgulti), e allora Enrico Lucci delle “Iene” li andava a intervistare i Cinque stelle appena arrivati a Roma ladrona, come barbari vendicatori, gli alieni precipitati nella città della casta: “State in ‘sto B&B de mer…”, gli diceva Lucci – e come dargli torto: poltroncine dorate dalle gambe ricurve, oppure laccate tipo finto Settecento veneziano – “ma quanto pagate?”, “cinquanta euro”, “ma non è che poi cambiate?”, “no, no”, rispondeva Aris Prodani, che oggi però siede nel gruppo misto, e cambiato lo è assai.
E insomma i ragazzi di Beppe Grillo erano d’una rigidezza e d’una pignoleria persino eccessiva, letteraria, teorica, da manuale per giovani proletari: spettinati, squattrinati e garibaldini. Al bar Illy di via degli Uffici del Vicario, proprio di fronte al Palazzo dei gruppi parlamentari, ancora ricordano accaniti conteggi intorno allo scontrino del pranzo, per dividere il conto d’un tramezzino al tonno, e ovviamente per rendicontare con affanno le spese sul blog, “come faccio? Ho perso tutte le ricevute delle spese sostenute finora”, si angosciava Roberta Lombardi. E allora qualcuno le suggeriva: “Rivolgiti agli esercenti per avere una copia conforme all’originale”. E c’era Paola Taverna che andava in giro con i jeans bucati e le magliette comprate a peso all’Oviesse, lo sguardo all’erta, i lineamenti tesi, come i capelli, d’una tinta rosso melange che solo adesso, da qualche anno, per merito di un bravo coiffeur del centro storico, è stata virata in un morbido e splendente castano istituzionale, senatoriale. Anche Carlo Sibilia era un irregolare dello spirito e del barbiere (la normalizzazione della chioma è una regola della politica). Certo, rimane uno che tutto quanto dice è sempre al livello della peristalsi, degli enzimi, della pancia, Sibilia. Ma adesso con abiti migliori, con barba e capelli curati, scarpe più lucide, che sono un passaggio di stato, se non economico forse morale. La politica richiede pulizia estetica, costa, modifica le abitudini.
E allora Alberto Airola dichiara di spendere più di 2 mila euro al mese di alloggio, 245 euro di telefono, 977 euro di pranzi e cene, mentre Filippo Gallinella spende 823 euro di taxi e trasporti. All’inizio erano francescani (“i nostri prenderanno 2.500 euro al mese e restituiranno il resto”, urlava Grillo nelle piazze), e quella retorica è rimasta, ma sempre più come una finzione collettiva di cui ciascuno di loro è al tempo stesso cosciente e succube. Le spese infatti lievitano (del 25 per cento in media, con punte dell’85 per cento), le case si allargano, i guardaroba si rinnovano, i pasti si arricchiscono, poco alla volta, sempre di più. Paolo Bernini, il deputato che appena eletto si faceva intervistare da “Ballarò” nello squallore d’una tuta da ginnastica – “ci controllano, ho visto un documentario. In America mettono i microchip sotto pelle” – ovviamente oggi continua a protestare davanti al Bilderberg, ma lo fa in cravatta e blazer blu. E la politica ha cambiato l’estetica dei grillini e la sostanza del Movimento, perché i soldi servono agli individui ma soprattutto alle organizzazioni. “Non facciamo alleanze con nessuno”, “non vogliamo finanziamenti pubblici”, erano le regole del Movimento. Ma così non funziona. Lo stesso Grillo lo ammette, quando si attorciglia nel pasticcio europeo dell’Alde: fare alleanze serve a “ottenere fondi da spendere sul territorio”. Ovvero a fare politica, con finanziamenti pubblici, che garantiscono al M5s 680 mila euro l’anno (40 mila per ogni eurodeputato). E in Italia già dicono di voler finanziare Rousseau, la piattaforma di Davide Casaleggio, col 10 per cento degli stipendi dei parlamentari. Come fanno i veri partiti.