Paolo Gentiloni con Angelino Alfano (foto LaPresse)

Gli ambiziosi dossier internazionali sul tavolo del governo Gentiloni

Gianni Castellaneta

Le prime mosse sembrano suggerire che l'esecutivo si stia muovendo – cautamente ma non per questo senza decisione e fermezza – nella giusta direzione. Sarà una diplomazia all’insegna di più fatti e meno “selfie”?

Quattro iniziative italiane concomitanti in politica estera nei giorni scorsi hanno mostrato come questo governo voglia agire in maniera collegiale, con efficacia e discrezione, al di là dei limiti di durata temporale che gli vengono attribuiti dai suoi vari sponsor. Tanto più in un anno cruciale per il nostro paese, che ha l’opportunità di ritornare al centro della scena internazionale grazie alla presidenza di turno del G7, alla presenza e all’occupazione di un seggio non permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e alle celebrazioni per il 60esimo anniversario dalla firma del Trattato di Roma, che diede vita alla Comunità europea.

 

Cominciamo dal premier, che martedì a Parigi, nella sua prima missione ufficiale in un paese straniero, ha cercato di rinforzare i legami con la Francia e il suo leader Hollande, anch’egli però provvisto di “data di scadenza”, vista l’imminenza delle elezioni presidenziali. Gentiloni ha incassato il supporto del suo collega sul fronte della lotta a Daesh, nella speranza condivisa che il 2017 sarà l’anno della sconfitta definitiva dello stato terrorista. Ma il presidente del Consiglio ha anche annunciato che l’Italia utilizzerà il G7 di Taormina non in chiave di confronto “a muso duro” con la Russia, bensì come una piattaforma per ritentare un avvicinamento. Un richiamo a Donald Trump che si appresta a entrare ufficialmente alla Casa Bianca e una volontà di ricostruire rapporti con la nuova amministrazione lacerati dall’ingombrante e  mediatico appoggio dato dal nostro precedente governo al candidato presidenziale sconfitto.

 

Vi è poi un secondo teatro strategico per la geopolitica nazionale, ovvero la Libia, sottolineato con l’importante risultato, tutt’altro che simbolico, della riapertura della nostra rappresentanza diplomatica a Tripoli. La presentazione delle credenziali da parte dell’ambasciatore Giuseppe Perrone grande esperto di medioriente al primo ministro libico al Serraj sigilla il rientro a pieno titolo dell’Italia su un territorio che è per noi vitale se vogliamo risolvere in maniera strutturale l’emergenza dei migranti. Non è dunque una coincidenza se la riapertura della nostra ambasciata è avvenuta quasi contestualmente al “blitz” a Tripoli del ministro dell’Interno Marco Minniti, che ha siglato un memorandum di intesa con il governo di accordo nazionale riconosciuto dall’Onu. L’accordo potrà fornire auspicabilmente un duplice vantaggio: da un lato, combattere il traffico di esseri umani e ridurre i “viaggi della speranza” sulla rotta del Mediterraneo verso l’Italia; dall’altro, conferire legittimità esterna e responsabilità alle autorità libiche e convogliare aiuti economici e supporto tecnico a tutta la popolazione libica. Un prezioso “tesoro” politico di cui Tripoli ha assoluto bisogno se vuole progressivamente consolidare il suo controllo statuale su un territorio ancora frammentato e conteso con il governo di Tobruk, con il quale bisogna cercare un compromesso. Il ruolo dell’Italia può essere molto utile nel fornire una mediazione tra al Serrraj e il generale Haftar, al fine di ritrovare l’unità che può garantire alla Libia di tornare un nostro partner strategico sulla sponda meridionale del Mare Nostrum. Nulla di nuovo sotto il sole, si direbbe: ma la geopolitica di una nazione non si può reinventare, ed è a sud che l’Italia deve guardare.

 

A sud, così come a est, e in particolare verso l’Iran, un altro paese con il quale possiamo vantare ottime relazioni da moltissimo tempo. La morte dell’ex presidente Rafsanjani, moderato che giocò una parte molto importante nel traghettare l’Iran degli ayatollah su posizioni progressivamente più vicine all’occidente, segnala che si sta per aprire una nuova fase all’interno della quale dovremo farci trovare pronti per essere in grado di difendere i nostri interessi economici e strategici. Tempestivo in quest’ottica l’annunzio di una prossima missione congiunta del ministro dell’Economia Padoan accompagnato da quello per lo Sviluppo economico.

 

Gli esempi di Russia, Libia e Iran sono uniti da un denominatore comune, che è quello dell’opportunità per l’Italia di tornare a contare sulla scena internazionale giocando un ruolo utile anche ad altri partner. Riavvicinarci a Mosca è un auspicio sempre più condiviso anche oltreoceano; la stabilizzazione della Libia è una tappa chiave nella spallata definitiva al terrorismo islamico; confermare l’apertura dell’Iran può aiutare gli Stati Uniti nella gestione di un rapporto che altrimenti si potrebbe rivelare quantomeno “burrascoso”, a giudicare dalle dichiarazioni di Trump durante la campagna elettorale.

 

Per una volta, sembra dunque che siamo al posto giusto nel momento giusto. E lo siamo anche all’Onu, dove per tutto il 2017 siederemo nel Consiglio di sicurezza (avrebbero dovuto essere due anni, ma abbiamo deciso di optare per una “staffetta” con i Paesi Bassi per evitare una sconfitta elettorale che sarebbe stata bruciante per l’Italia). E’ proprio da New York che Angelino Alfano ha fatto il suo debutto internazionale come nuovo ministro degli Esteri, inaugurando il nostro turno nel Cds. Un kick off che non ha difettato di ambizione: la speranza è che Alfano possa gestire al meglio la diplomazia italiana anche a New York, che sarà un altro punto di snodo cruciale per la risoluzione delle numerose crisi internazionali attualmente sul tappeto. I primi passi sono positivi e il nuovo ministro degli Esteri si è mosso con accortezza ma anche con determinazione e conoscenza dei dossier nei vari incontri avuti in quella giungla politica che è il Palazzo di vetro, a cominciare da quello con il nuovo segretario generale il portoghese Guterres.

 

E’ ancora molto presto per trarre giudizi, ma le prime mosse sembrano suggerire che il governo di Paolo Gentiloni si stia muovendo – cautamente ma non per questo senza decisione e fermezza – nella giusta direzione. Sarà una diplomazia all’insegna di più fatti e meno “selfie”? E’ senz’altro improbabile che questo esecutivo – giocoforza limitato nel tempo – possa lasciare delle conseguenze strutturali sulla nostra politica internazionale. Tuttavia, le occasioni che il 2017 offre all’Italia possono – anzi, devono – essere sfruttate al meglio, affinché il nostro paese possa tornare a contare nel mondo, quantomeno negli scenari cruciali per la tutela del nostro interesse nazionale.