Un consulto sul proporzionale
Il maggioritario era un sogno, sì, ma è stato preso a sberle al referendum del 4 dicembre. Il futuro sarà proporzionale. Ma dobbiamo davvero averne paura? Girotondo d’opinioni
La sconfitta di Renzi al referendum del 4 dicembre e il suo immediato, successivo, addio a Palazzo Chigi, hanno spalancato le porte al sistema proporzionale. Adesso si tratta di capire come si possa sopravvivere, da amanti del maggioritario, al ritorno alla prima repubblica. Il Foglio ha interpellato alcuni intellettuali per un girotondo sull’arrivo inesorabile del proporzionale. Istruzioni per la sopravvivenza.
MARCO TARADASH, GIORNALISTA
“Ci sono molte forme di proporzionale”, dice Marco Taradash, giornalista e politico liberale di tendenza radicale. “Il sistema tedesco, che ha metà collegi uninominali, ha però una ripartizione al cento per cento in chiave proporzionale. Quindi, il proporzionale non è un male di per sé; è male il fatto che in Italia insieme al proporzionale è stato legato un meccanismo elettorale che non aveva consentito la scelta dei rappresentanti in parlamento, se non attraverso il voto di preferenza. Questo significa che con il voto preferenza lo scontro è tutto interno a un partito, tra i candidati, e che gli elettori di quel parlamentare non sono la platea degli elettori ma la piccola platea ridotta degli amici del candidato. Quando c’erano i partiti di massa, questo consentiva comunque all’elettore di sentirsi rappresentato. Oggi non più. Quindi il problema vero è quello di ricostruire la politica attraverso un sistema elettorale che consenta all’elettore di conoscere e annusare il candidato. Ciò si realizza solo attraverso il collegio. Io credo che il collegio uninominale sia la soluzione anche per far riconquistare alla politica gli elettori che per disperazione scelgono l’antipolitica. Il Mattarellum aveva grossi difetti, tant’è che io, insieme a Segni e altri, chiesi l’abolizione della quota proporzionale; l’importante però è che si tenga separata la questione dell’elezione del parlamento dall’elezione del governo, perché l’elezione del governo si realizza in modo trasparente solo attraverso il sistema presidenziale. Il collegio uninominale a un turno – a doppio turno sarebbe suicida in Italia – ti consente di eleggere il parlamento e di avvicinare l’elettore all’eletto. Questo può avvenire con una ripartizione proporzionale che però garantisca l’elezione nei collegi uninominali. Il problema vero in Italia non è la cosiddetta governabilità, cioè sapere la sera stessa chi ha vinto le elezioni, il problema vero è il Parlamento. Bisogna consentire agli elettori di riconoscersi in un eletto. Il riavvicinamento dell’elettorato alla politica aiuterà anche la governabilità effettiva”.
FRANCO PIZZETTI, EX GARANTE DELLA PRIVACY
“Noi usiamo maggioritario e proporzionale in maniera abbastanza approssimativa”, dice l’ex garante della Privacy Franco Pizzetti. “La Corte, con sentenza numero 1 del 2014, ha detto che hanno torto sia i proporzionalisti puri sia i maggioritari puri. I concetti di proporzionale e maggioritario sono generici, nel dibattito italiano sono stati utilizzati per dividersi fra coloro che guardano essenzialmente ad assicurare la maggioranza di governo e quelli che invece hanno a cuore essenzialmente la rappresentatività del parlamento. In realtà abbiamo avuto solo il Porcellum come maggioritario vero, che però prevedeva il premio di maggioranza nazionale alla Camera e Regione per Regione al Senato. Il Mattarellum per esempio non è mai stato un sistema maggioritario puro. Era un sistema moderatamente maggioritario: due terzi con il sistema maggioritario e il terzo proporzionale ma con lo scorporo. Ciò rendeva molto meno facile di quanto sembrare il formarsi di una maggioranza stabile. Lo abbiamo visto più volte: emblematici il Berlusconi 1 e il Prodi 1. Il discorso vero, da fare, è di che cosa si parla quando ci si immagina una legge elettorale che, come ha stabilito la Corte nel 2014, deve stare nel mix fra rappresentatività e capacità di assicurare una maggioranza di governo capace di decidere. La Corte ha detto che serve un sistema che non schiaccia la rappresentanza a vantaggio della stabilità e della capacità di decidere, ma serve anche un sistema che dia il dovuto valore alla rappresentanza. Per questo il tema è falsato: la corte ha già detto che serve un mix che assicuri la rappresentanza e la stabilità; non possiamo dividerci fra proporzionalisti puri e maggioritari puri. Serve un mix fra un sistema che assicura la rappresentanza e la formazione di una maggioranza stabile. La Germania ha un sistema proporzionale che ha assicurato una stabilità di governo assoluta. Al contrario il sistema inglese, pur maggioritario, nell’ultima fase non ha assicurato che il giorno delle elezioni fosse sicuro che il vincitore potesse governare. Cameron ha dovuto trattare con i liberali per un po’ di tempo. Quindi il proporzionalista puro sbaglia tanto quanto il maggioritario puro”.
STEFANO CECCANTI, COSTITUZIONALISTA, ORDINARIO DI DIRITTO PUBBLICO COMPARATO A LA SAPIENZA
“I tre strumenti di correzione dei sistemi proporzionali sono: sbarramenti, premi, collegi uninominali”, dice il costituzionalista Stefano Ceccanti, ordinario di diritto pubblico comparato a La Sapienza. “Gli sbarramenti servono a ridurre la frammentazione del sistema, ma di per sé non chiarificano affatto la questione più importante, quella della formazione del Governo. Un qualsiasi sbarramento lascia comunque in piedi almeno 4 forze, di cui due grandi (Pd e M5S) e due medie (Fi e Lni) e, forse, altre due (sinistra e Fdi). Difficile formare una maggioranza solo con gli sbarramenti. Anzi, se questo fosse lo scenario e apparisse chiaro che l’unica soluzione sarebbe l’intesa Pd-Fi questo scenario si autodistruggerebbe: parte degli elettori sia del Pd sia di Fi non voterebbe più per quei partiti. Avremmo quindi una situazione alla Weimar, dove nazisti e comunisti sommati erano più forti degli altri, ma siccome non potevano sommarsi in positivo si votava ogni sei mesi senza esito. Perché ci sia un elemento (anche psicologico) maggioritario, in cui gli elettori possano essere convinti di votare una maggioranza di governo relativamente omogenea abbiamo bisogno di collegi o di premi. I collegi non sembrano praticabili perché la Corte non li può introdurre e Fi non vuole per varie ragioni candidature comuni con la Lega. I premi invece sono praticabili anzitutto perché almeno alla Camera sarebbe strano se la Corte lo togliesse (in realtà è in discussione solo il ballottaggio): quindi non va introdotto ex novo, anche se il 40 per cento al momento sembra molto alto per chiunque. Se ne può introdurre comunque uno anche sotto il 40 per cento? Si può estendere al Senato? In fondo potrebbe convenire a molti che gli elettori possano semplificare la formazione del Governo. Peraltro, chi può escludere che, ad esempio, dopo un’elezione a vuoto gli elettori la seconda volta non premino qualcuno per evitare l’ingovernabilità? Alla fine la vera partita si giocherà sui premi”.
ZEFFIRO CIUFFOLETTI, STORICO
“In Italia in generale si confonde gli esiti con le cause. Bisogna cercare le cause dei problemi. La storia del proporzionale è esemplare in Italia”, dice Zeffiro Ciuffoletti, storico. “Viene adottato per la prima volta nel ’19, siamo nella fase dei partiti nascenti e di ciò che doveva essere la transizione da uno stato liberale a uno liberal democratico, appunto allargando le maglie del suffragio universale e dando spazio ai partiti. Con il proporzionale si arrivò allo spappolamento del sistema politico, che ebbe molte cause, certo, ma una di queste fu senza dubbio il proporzionale. Dal sistema elettorale nuovo alla marcia su Roma ci furono come minimo sei governi. Dopo la caduta del fascismo, ossessionati dal complesso del tiranno, che come invece disse Calamandrei era dovuto alla debolezza degli esecutivi nello stato liberale, volendo un governo ad alto tasso di rappresentatività, si scelse un sistema proporzionale che produsse la democrazia consociativa. Un unicum italiano, in cui essendoci un sistema di governo debole, anche l’opposizione viene associata alle scelte di governo. È una nostra specialità: il sistema proporzionale e il parlamentarismo esaltano il ruolo dei partiti, ma deprimono la possibilità di governo. Il risultato è che in quel modo aumenta il costo della spesa pubblica e della politica. I partiti sono pesanti e anche quelli più piccoli si devono dare una struttura nazionale. Nasce anche così la corruzione politica. Per questo penso che il sistema elettorale debba essere correlato al sistema istituzionale. Se si pensa di risolvere il problema della democrazia italiana con la stabilità dei governi e il ricambio, come avviene in tutto il resto dei paesi democratici, non basta una riforma elettorale ma ci vuole anche una riforma costituzionale. In Italia possiamo fare qualsiasi legge elettorale, ma se non cambi la Costituzione gli esecutivi saranno sempre deboli”.
ANGELO PANEBIANCO, POLITOLOGO, EDITORIALISTA DEL CORRIERE DELLA SERA
“Io ritengo la legge proporzionale una iattura per l’Italia. Prima del referendum avevo scritto che se avesse vinto il no, la pressione per la proporzionale sarebbe stata fortissima e adesso, per l’appunto, è irresistibile”, dice il politologo Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera. “La proporzionale non è necessariamente peggio del maggioritario. Per quel che ne sappiamo, la proporzionale funziona se esistono partiti molto forti, in un sistema proporzionale con correzioni maggioritarie come quello tedesco. Noi però partiti forti non ne abbiamo più e non li riavremo più, perché è caduto il muro di Berlino e sono arrivate le inchieste giudiziarie. Quindi torniamo alla proporzionale in una fase debolissima, affidandoci non ai partiti, come avveniva in precedenza, ma a piccole fazioni e camarille. Persino il Pd, che era l’unico partito forte e relativamente radicato, oggi è debole. Ma una democrazia rappresentativa non regge con la proporzionale. L’unica diga in difesa di una logica maggioritaria era Renzi; sconfitto Renzi, non può che dilagare la voglia di proporzionale. Si torna dunque alle contrattazioni tra forze politiche, ma in una situazione che non è più quella della prima repubblica. Peraltro, la stessa prima repubblica, prima della caduta del muro di Berlino e delle inchieste giudiziarie, non funzionava. Il sistema si era già inceppato. Ma capisco l’irresistibile voglia di proporzionale, anche da parte dei deputati, che così hanno ottime possibilità di essere rieletti”.
CARMELO PALMA, GIORNALISTA E DIRETTORE EDITORIALE DI STRADEONLINE.IT
“Farei tre considerazioni, due – dico ironicamente – di carattere ‘patriottico’, o per meglio dire istituzionale, una più di politica politicante. La prima: un’inerzia che, con il fallimento della Seconda Repubblica ‘bipolare’, portasse al ripristino della medesima legge elettorale cui si deve il fallimento della Prima non sarebbe un contributo positivo per il destino dell’Italia. La seconda considerazione è che rinunciare, non solo in generale alla logica della democrazia dell’alternanza, ma anche all’idea che il sistema elettorale debba prefigurare esiti di governo, non contrasta ma favorisce la crescita delle forze populiste. La terza considerazione, di politica politicante, è che la fine di qualunque paradigma maggioritario – al netto che sia Mattarellum o Italicum – è la fine del renzismo. Il renzismo, per le sue caratteristiche, non può che muoversi nello scenario maggioritario. Chi si illude che con un sistema proporzionale comunque il Pd reanziano possa confermarsi primo partito al 40 per cento, è destinato a disilludersi. Uno scenario neoconsociativo, con l’unico governo possibile Pd-Forza Italia, non è uno scenario renziano da nessun punto di vista. Perché il personaggio è da democrazia competitiva e perché la proposta renziana è competitiva: o vinco io o un altro”.
PIERCAMILLO FALASCA, GIORNALISTA
“C’è forse un legame tra la voglia di proporzionale che anima la politica italiana e la critica aspra e trasversale all’austerità fiscale”, dice Piercamillo Falasca. “E’ il desiderio di archiviare la fase (peraltro mai compiuta) di una democrazia competitiva dell’alternanza per ripristinare un modello consociativo, tenuto insieme da una spartizione cencelliana della spesa pubblica. Alcune tra le più accreditate analisi economiche sui modelli istituzionali (su tutti, si leggano quelle di Torsten Persson e Guido Tabellini) mostrano come i sistemi elettorali proporzionali tendano a produrre maggiore spesa pubblica e più debito rispetto ai sistemi maggioritari. Questo perché i vari partiti che sostengono un governo sono in grado di ricattarsi l’un l’altro e soprattutto di ricattare la sopravvivenza dell’esecutivo, e sono ognuno incentivato a coltivarsi uno specifico bacino elettorale attraverso l’acquisto del relativo consenso. ‘Democrazia acquisitiva’, la chiamava Antonio Martino. Certo, anche la cultura di un Paese gioca la sua parte (la Germania ha il proporzionale ma è campione di disciplina fiscale) e non si può negare che pure un sistema maggioritario misto (come il Mattarellum) consegni a partiti e partitini il potere di ricatto. Quel che però cambia in modo sostanziale tra maggioritario e proporzionale è il grado di responsabilità rispetto alle scelte di governo. In un sistema proporzionale – la Prima Repubblica lo ha dimostrato – quel che conta è la performance del partito più che quella del governo. In un sistema a vocazione maggioritaria, piaccia o meno, chi governa è ‘condannato’ a fare i conti con la realtà. Forse è questa la ragione dell’attuale innamoramento per il proporzionale: dimenticare che esiste una realtà, fatta di titoli di stato da collocare e di debiti da ripagare, di tasse da riscuotere e di pensioni da finanziare, di investimenti da attrarre e di lavoro da creare. Tutto sembra più facile con il proporzionale, perché il governo è di tanti ma di nessuno”.