Le non-svolte e i diversamente democratici a cinque stelle
Ma non doveva defilarsi, Grillo, dalla sua creatura? Sì, no, forse, e comunque “tutti zitti”
Roma. Io sono il primus inter pares nel M5s, zitti e non andate in tv. Anzi no, sono stanco e torno in teatro, arrangiatevi. Anzi no, il Direttorio non funziona e io sono il capo-garante, ma distribuisco potere anche tra voi. Anzi no, vi guardo da lontano. Macché: qui si parla solo se vi autorizzo. Succede nel mondo diversamente democratico a Cinque Stelle. Ed è l’ennesima non-giravolta.
Succede nel mondo diversamente democratico a Cinque Stelle che gli intoccabili diventino dei quasi-paria, dopo l’ultimo comunicato di Beppe Grillo – quello in cui si stabilisce che la linea politica “appartiene agli iscritti e non ai parlamentari” e che “le uscite comunicative vanno concordate con i responsabili della comunicazione”. E magicamente sono stati ritrasformati in zucca gli eletti prescelti, quelli che erano stati messi tra il primus inter pares e le plebi internettiane a mo’ di corpi intermedi utili alla gestione della baracca dopo lo sbarco in Parlamento (vedi alla voce “manutenzione della setta come non fosse tale”).
Fine (forse) di ogni ragionamento politologico sull’“evoluzione” e “maturazione” a cinque stelle, e di ogni concessione di curiosità (ma che davvero diventano come un partito?) che gli osservatori anche benevolmente concedevano di fronte a un esercito in cui gli “uno vale uno” erano sempre meno, e con il beneplacito della truppa. “Per forza”, si diceva, “non possono andare avanti così”, “non possono non avere dei plenipotenziari”, non possono “non prendere atto che i Di Maio, i Fico, le Ruocco, le Lombardi e i Di Battista” sono ormai pronti per il grande balzo nella terra dei politicamente maturi (e senza garante-padrone).
C’era, sì, quel piccolo problema di rapporto un po’ troppo stretto con la Casaleggio Associati, e quell’idiosincrasia per la libertà dal vincolo di mandato, ma c’erano pure le tante occasioni in cui Grillo annunciava un tour o lasciava fare: ecco Luigi Di Maio in giro per l’Europa, ecco Roberto Fico a discettare di Rai (è presidente della Vigilanza) senza apparente suggeritore casaleggiano alle spalle, ecco Alessandro Di Battista in tv a ripetizione, ecco Roberta Lombardi parlare della crisi romana senza paura di essere considerata quella che non voleva Virginia Raggi candidata sindaco. Ma le svolte non erano vere svolte. Erano svolte con la reversibilità come sottotitolo.
E si poteva dire, come faceva Grillo un anno fa, intervistato dal Corriere della Sera, “…io sono sempre quel comico che avete conosciuto negli anni, è il vostro punto di vista nei miei confronti che è cambiato…io non sono il leader dei 5 Stelle, e non ci deve essere alcun leader. Le persone hanno identificato in me questa forma di partito-verticistico che di fatto non esiste. Ecco perché ci sarà sempre più una diffusione dei poteri all’interno del Movimento…” ma si poteva anche dire, come ha fatto Grillo nel settembre scorso, alla festa nazionale del M5s a Palermo, che lui, Caro Leader in sonno, si era “fatto da parte” seguendo “l’aspettativa” del Movimento, ma che (specie dopo la morte di Gianroberto Casaleggio) non aveva “mai creduto fino in fondo” di potersi defilare davvero e quindi sì, lui era “il capo politico”. E se era sembrato che volesse comunque mantenere in piedi aree di governo autonomo dei valvassori e valvassini (il Direttorio era stato depotenziato, ma i prescelti continuavano ad essere tali), oggi gli ambiziosi si devono arrendere al grillesco “non si fanno sconti a nessuno” (tantomeno a Fico, fuori linea su Trump, o a Lombardi, fuori linea su Raggi). E l’idiosincrasia per la libertà dal vincolo di mandato si fa tavola della legge (privata): “Chi danneggia l’immagine del M5s può incorrere nelle sanzioni… richiami e sospensioni” (per tacere della multa).