Galantino e la pretesa di impartire lezioni di politica da un pulpito che ha rifiutato per definizione un ruolo politico
Non si capisce perché i vescovi debbano impartire lezioni sulle leggi elettorali, sui tempi del voto politico, sulle sentenze della Corte costituzionale
Sotto il regno di Angelo Bagnasco i vescovi italiani si pronunciavano con prudenza politica e teologica, sotto quello del cardinale Camillo Ruini davano battaglia e vincevano su temi etici decisivi per la chiesa e per il mondo, e facevano politica in modo scaltro, con monsignor Galantino furoreggia il vescovo predicatore politico. Va anche bene. Nonostante l’appello bergogliano al fideismo del Dio personale, corroborato dall’anima popolare più che da quella razionale, è sempre una buona notizia quando l’antica istituzione preposta alla salvezza delle anime e alla trasmissione della cultura, o tradizione, esercita il suo magistero nello spazio pubblico, come voleva Benedetto XVI. Le scuole cattoliche paritarie, soldi, la famiglia, altri soldi, e l’opposizione a tecniche eutanasiche o cacotanasiche di fine vita nella legislazione: grasso che cola.
Non si capisce però perché i vescovi debbano impartire lezioni sulle leggi elettorali, che non sono loro a votare, votano i cittadini; sui tempi del voto politico, affare che non dovrebbe riguardarli; sulle sentenze della Corte costituzionale, che non sono una illegittima intrusione nella politica che dismette i suoi doveri, ma un dovere giurisdizionale della più alta forma e sede di controllo. Monsignor Galantino in modo rivelatore indica il pericolo di una vendetta di Tizio da consumarsi a caldo: che cosa voglia dire non si sa, ma quale animo manifesti nella dissimulazione è abbastanza chiaro. L’animo del retroscenista parlamentare, che non sarebbe il giusto dire di un prelato così teoricamente influente. Influente? I vescovi di questa chiesa hanno fatto la famosa scelta preferenziale per i poveri, concetto teologico e più che teologico, non hanno molta competenza in fatto di populismi della classe media e di pronunciamenti del corpo elettorale. Non dovrebbero né scimmiottare i grillozzi, come fanno quando parlano di banche, proprio loro, né castigarli in nome della lotta ai populismi, proprio loro; manca alla loro parola una qualsiasi autorevolezza civile, ne hanno altra, di autorevolezza. Credo si sia capito che con la vittoria di Trump la chiesa cattolica che aveva imprudentemente ammonito a mezzo intervista, “non è cristiano”, ha perso una partita di un notevole peso, non ha senso che voglia rifarsi con Renzi nell’orticino biologico della nuova forma che sta assumendo l’italiana prima Repubblica dei partiti.
Il problema del voto politico è questo. Si può fare un’altra legge ancora, dopo aver votato il maggioritario e dopo che esso è stato corretto dalla Corte in senso proporzionalistico, con un differenziale di impatto normale e costituzionale tra Camera e Senato? Solo i gonzi ci credono. E i vescovi o episcopi devono per statuto vedere lontano, sapere prima. Lo si può fare in nome dell’interesse a perseverare che affligge il casuale presidente del Senato, voglioso di continuare a pontificare, o della salvezza pro tempore dei parlamentari uscenti? No, sarebbe una immorale perdita di tempo. E allora torniamo alle paritarie, alla famiglia e al fine vita, dismettendo la pretesa incredibile di impartire lezioni di politica da un pulpito che ha rifiutato per definizione un ruolo politico e civile della religione e della chiesa, salvo che nella lotta alla povertà, peraltro nelle buone mani della globalizzazione economica e finanziaria (ogni giorno 250.000 esseri umani escono dall’estrema povertà secondo le statistiche della Banca mondiale).