House of Campidoglio
Ma i Cinque stelle si rendono conto che il disastro a Roma è un format imperdibile per media e pubblico?
Roma. Il gruppo ristretto che gestisce la comunicazione sul caso Virginia Raggi sta facendo un lavoro catastrofico. Ha trasformato le vicende giudiziarie in Campidoglio in un format perfetto per i media, in una serie a puntate migliore di quelle (finte) prodotte da Netflix, in cui ogni episodio promette un nuovo episodio ancora più avvincente con altre, ulteriori rivelazioni. E’ lo stesso meccanismo ipnotico che sta alla base della danza dei sette veli: ancora ancora! chiedono ormai gli spettatori, lascia cadere un altro velo ancora, facci vedere cosa arriva dopo. E la responsabilità è della scelta deliberata da parte dello staff che controlla la vicenda di Virginia Raggi, o meglio, che prova a controllare, di centellinare le informazioni poco a poco, e soltanto quando è ormai inevitabile – perché ormai i giornali ci sono arrivati e loro devono improvvisare una risposta e sono messi alle strette. Ecco quindi arrivare in sequenza uno dietro l’altro i capitoli – a volte settimanali, a volte quotidiani – che si seguono d’un fiato. Le dimissioni dei collaboratori, l’arresto di Marra, l’attesa dell’avviso di garanzia per la Raggi. La promozione generosa di Romeo pagata con soldi pubblici. L’altra promozione del fratello di Marra. Il dossieraggio contro il rivale De Vito, buttato fuori dalle primarie. Il partito che pretende di essere compatto dietro il sindaco, ma si capisce da lontano cento chilometri che sta per eruttare come un vulcano. Il padre padrone genovese, che da lontano fa arrivare segnali. La campagna elettorale nazionale che incombe, e che non consente sbagli.
La base fanatica che la sostiene sempre e comunque, ma che a un segnale potrebbe divorarla. Le dichiarazioni impacciate: “Ho un invito a comparire, sono serena, l’ho detto a Grillo”. L’inimicizia con la Lombardi. Le foto rubate da un fotografo sul tetto. Sul tetto perché ci sono le cimici, anzi no. Le nuove dichiarazioni finto-disinvolte: “Grillo mi ha detto che farà polizze a tutti”, ah ah, che risate. Romeo che è un’innamorato deluso e allora intesta a Raggi una polizza da trentamila euro, e la ex fidanzata, altra grillina, che nota che però per lei era stata di diecimila. Romeo che dice “nessuna relazione: era una polizza per stima”. L’ombra del sindaco precedente, cacciato a furor di popolo per accuse che oggi sembrano incomprensibili. Lei che esce da un interrogatorio di otto ore e dice “Sono sconvolta” alla notizia della polizza (i giornalisti sono morti, cit. Beppe Grillo, però qualcosa trovano ancora no?). Interrogatorio che peraltro si è svolto in “località segreta”, altrimenti il pubblico a casa non si eccitava abbastanza. E il bello che dalle parti dei Cinque stelle provano la solita manovra: e gli altri? Perché questa ossessione per la Raggi? Perché non vi occupate dei vostri? Ma è semplice rispondere. Perché dalle loro parti hanno fatto un casting perfetto, nel senso della “tempesta perfetta” che ingoia qualsiasi nave.
Marra il tenebroso, che prima di finire in cella avverte: “Se parlo io, viene giù tutto”. Virginia l’ingenua, che arriva al Campidoglio inseguita da una lettera del marito abbandonato. La chat Telegram con soltanto quattro persone – “Quattro amici al bar” – e una è proprio Marra, che però secondo Raggi era soltanto uno dei 23 mila dipendenti del comune di Roma, chat che a tutti i costi non deve uscire e però comincia a spuntare qui e là. Gli spin doctor di Tony Blair dicevano che c’è una regola base da rispettare in politica per sopravvivere: “Se stai troppi giorni di seguito in prima pagina, alla fine ti devi dimettere”. Raggi e i suoi suggeritori dovrebbero liquidare con un chiarimento trasparente e definitivo la montagna di versioni differenti, di ipotesi e di illazioni che ogni giorno cresce in altezza. E forse sanno già che sarebbe la cosa migliore. Ma non possono farla?