Storia di un nulla: Virginia Raggi
A Roma, oggi, il vero delitto è la perdita di tempo inflitta a un paese che finge di interessarsi a un presunto romanzone di formazione di una classe dirigente caratterizzata soltanto dal suo risibile ma minaccioso vuoto letterario. Chiaro?
Con quella bellezza stanca da festa ginnasiale e quegli occhi inespressivi, Virginia Raggi ha la ventura di essere una storia che non si sa raccontare, che non ha capo né coda. E’ tutto così tremendamente banale. Nasce da una selezione posticcia, aperta ai cretini più che agli infiltrati, e a qualche molestatore di città immerso nella ordinaria corruttela romana. Vince la selezione a colpi di gomito, con l’aiuto di qualche polizza vita, chissà, il livello più micragnoso e triste del malaffare generico, altro che conflitto di interessi, altro che corruzione (quelle sono meraviglie del creato, in confronto).
Vince perché è stata preceduta da gentucola piccola piccola, eccellenze cosiddette della medicina chirurgica (ricordate sempre l’aforisma aureo: in Italia le eccellenze sono mediocri) e petulanti figure pubbliche capaci di annoiare perfino il Papa della misericordia; e il sistema delle decisioni politiche era ridotto a un pasticcio, con gli elettori romani, poveretti e passabilmente scemi anche loro, anche noi, costretti a un grottesco plebiscito nel buio più assoluto. Si afferma sindaca di un equivoco carrozzone municipale sulla scorta del connubio tra un vaffanculatore di provincia che ogni tanto viene a fare a Roma, in un albergo di passo o in un agriturismo alla vaccinara, un comico vertice a composizione variabile, col motociclista e ’o guappo, in associazione con una modesta ditta privata e commerciale di business milanese illegale, che procede per comunarie e penali nella rete degli scherzi e dei troll. Tutto si mostra subito un brodo di colla acida e maleodorante, l’assessora all’Ambiente era la capatazza dei vecchi giri, il curriculum della bambolina fatto di strani incroci professionali avvocateschi, almeno per una figlia dell’idolo dell’onestà-tà-tà, e il suo stretto giro di consorteria un ammasso di legami dei più vari, non ultimi pare quelli affettivi, che poi che cosa vorrà mai dire non si sa-sa-sa.
Fa niente salvo impedire con gran chiasso la gara per le Olimpiadi, mettere in giro la voce che ora Roma è pulita, riunirsi sui tetti del Campidoglio per promuovere marrazzoni con patrimonio a Malta, e cospicuo, e altre nepoterie da quattro soldi con stipendi triplicati. Vi sembra una storia che valga la pena di essere detta e ascoltata? Torno alla mia idea che il vero delitto, cosciente o a insaputa di lei e dei suoi ridicoli corifei, è la gran perdita di tempo inflitta alla città e agli italiani che guardano, commentano, fingono disordinatamente di interessarsi a un presunto romanzone di formazione di una classe dirigente che è sempre stata caratterizzata soltanto dal suo risibile ma pericoloso, minaccioso vuoto letterario. In fondo siamo il paese della Commedia all’italiana.
E’ desolante questa storia che non si tiene, non fa piangere e non fa ridere, di una fatina imbambolata, nutrita di ambizioni sbagliate da loschi ambienti movimentisti e cabarettari, circondata da una congrega di derelitti. Uno come Romeo poteva fare il ragazzo delle giuncaie a Ostia Lido, spiaggia libera naturalmente. Uno come Marra poteva fare la comparsa, con il fratellone, in qualche romanzo criminale di magistrati e altre eccellenze amiche del famoso boss Buzzi. L’altro, tuttora assessore, il Frongia, poteva godersi lo spettacolo tra i fischi delle baccanti, la Lombardi e le altre. Invece hanno messo su una storia che sa di niente. Il fatto che lo spettacolino sia a spese nostre in fondo non conta, quando si parla di Roma spesa vale spreco, uno vale uno.