El Cnel Guevara
Il 4 dicembre gli italiani hanno bocciato la soppressione del Cnel, che adesso punta all’autoriforma per essere “dinamico”. Ok, ma per fare cosa? Viaggio spassoso nell’ente simbolo dell’Italia che sarà
Il Cnel non è morto, viva il Cnel! Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro si è salvato, come noto, il 4 dicembre con la vittoria del No al referendum costituzionale. Matteo Renzi lo aveva trasformato nel simbolo del fardello burocratico da abbattere (il segretario del Pd non è stato il primo, già la Bicamerale D’Alema voleva abolirlo). Dal giorno dopo il voto che ha lasciato tutto com’è, il presidente Delio Napoleone e il vicepresidente Gian Paolo Gualaccini sono usciti dal fortino di Villa Lubin per incontrare ministri e presidenti di Camera e Senato, con l’obiettivo di rilanciare il Cnel. Nel giro di poche settimane hanno visto il presidente della Corte Costituzionale Paolo Grossi, il ministro per i rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro, la presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, il presidente del Senato Pietro Grasso. Incontri che erano stati preceduti da un vertice con il personale del Cnel – per mesi preoccupato per il proprio futuro, per “assicurare quanto prima la piena riattivazione di un’Istituzione che rappresenta lo strumento di promozione di quel dialogo sociale riconosciuto dal trattato sul funzionamento dell’Unione europea”. Si percepisce, nel tono dei comunicati ufficiali, un certo orgoglio celato dietro il burocratese. Poi, l’audace svolta. Lo scorso 31 gennaio, l’assemblea del Cnel “ha avviato le procedure di presentazione del disegno di legge di propria iniziativa per l’autoriforma del Cnel attraverso modifiche alla legge 30 dicembre 1986, n. 936”. Ma il numero legale, si chiede chi studia il dossier Cnel da tempo, come è stato garantito, visto che ormai i membri sono solo 25 su 64?
Per le stanze di Villa Lubin gira un foglio, datato 27 gennaio, con la “richiesta di presa in considerazione di uno schema di disegno di legge”, in sostanza sono appunti per il contenuto della legge. “È da rammentare – si legge nel documento, il Foglio ha potuto visionare – che l’iter di approvazione del disegno di legge di riforma della Costituzione, tenuto conto delle procedure stabilite dall’art. 138, si è concluso lo scorso 4 dicembre con la celebrazione del referendum popolare che, a larga maggioranza, ha avuto esisto non confermativo. Con questo evento è venuta a cadere quella condizione istituzionale di estrema provvisorietà determinata dalla proposta di soppressione del Cnel”.
Insomma, il Cnel è vivo è vegeto, anche se recentemente ha rischiato di essere svuotato dei suoi poteri, attraverso un emendamento finito nel milleproroghe (poi ritenuto inammissibile) che avrebbe trasferito le sue competenze alla Corte dei Conti. Un emendamento a firma Cinzia Bonfrisco, ha scritto Libero ieri, ispirato, pare, dal segretario generale del Cnel, Franco Massi, magistrato della Corte dei Conti, che da quando è arrivato a Villa Lubin nel 2014 ha trovato subito una buona intesa con Matteo Renzi. Al Foglio risulta che Napoleone voglia le dimissioni di Massi e che scriverà formale richiesta a Sergio Mattarella dicendo che è venuto meno il rapporto di fiducia.
Insomma, il Cnel l’ha scampata di nuovo e adesso, si legge nel documento del 27 gennaio, “la legge ordinamentale del Cnel appare, dopo più di trenta anni dalla sua approvazione, non più rispondente alle attuali esigenze e necessita di un aggiornamento per permettere un’azione forte e dinamica del Cnel stesso”. Il disegno di legge vorrebbe fissare alcuni punti: riduzione dei consiglieri a 40, confermando tutte le rappresentanze già previste (adesso i membri dell’assemblea sono 64, prima che il governo Monti li riducesse erano 121); “il presidente del Cnel è nominato, al di fuori dei componenti suddetti, dal presidente della Repubblica”; “sono confermate tutte le attuali attribuzioni e funzioni con l’aggiunta dei pareri obbligatori ma non vincolanti – nelle materie economiche e sociali – che il Cnel fornirebbe, con obbligo di risposta motivata da parte dell’Organo richiedente stesso. Sono, inoltre, previste due attribuzioni: lo sviluppo e l’interpretazione – in raccordo con l’Istat – degli indici nazionali di progresso e di benessere (Bes - Benessere equo e sostenibile); l’attività di certificazione del grado di rappresentatività nazionale delle varie organizzazioni sindacali e datoriali nel settore privato”; l’attività del Cnel si deve svolgere con le risorse messe nel bilancio di previsione per il 2017, non un euro di meno.
A metà gennaio, il Corriere della Sera ha scritto che il Cnel intendeva ripristinare l’indennità di carica per i componenti e i rimborsi, congelati in passato (l’indennità è di 25 mila euro per i consiglieri, 42 mila per i vicepresidenti). Quel riferimento non compare nel testo del 27 gennaio, che è successivo all’articolo del Corriere, ed è possibile che non sia più su carta. “Sulle indennità saranno più prudenti, ma tutti le vogliono”, spiega una fonte del Foglio. Il ripristino di indennità e rimborsi probabilmente renderebbe più appetibile la presenza nel Cnel, visto che gli attuali consiglieri dell’assemblea non percepiscono più un euro. Al momento i membri dell’assemblea sono 25, compresi presidente e vicepresidente. Gli altri si sono dimessi e non sono stati sostituiti. Alcuni rimangono in rappresentanza di sigle sindacali nelle quali però non ricoprono più alcun ruolo. E’ il caso di Giovanni Centrella, ex segretario generale dell’Ugl, consigliere che siede nell’assemblea “in rappresentanza dell’Ugl”, come si legge sul sito internet ufficiale del Cnel (dove alla voce “attività” compare una eloquente scritta “pagina in aggiornamento”). Peccato però che Centrella si sia dimesso da leader del sindacato nel 2014, dopo essere stato indagato per associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita aggravata. Peccato anche che Centrella dal 2015 guidi il Selp, Sindacato Europeo Lavoratori e Pensionati. Altri, invece, avevano intrapreso la carriera politica, mancando però il bersaglio, e sono rimasti intrappolati a Villa Lubin. Come Giorgio Guerrini, che si era buttato in politica con Corrado Passera, nella speranza di fare altro. Armando Zingales, in rappresentanza del Consiglio Nazionale dei Chimici, non è più presidente dall’anno scorso, quando al suo posto è stata eletta una donna, Nausicaa Orlandi. Gli altri consiglieri se ne sono andati da tempo. Bernabò Bocca si è dimesso nel 2013 dopo l’elezione in Senato. Il suo sostituto, Enrico Postacchini, si è dimesso nel 2015 e non è stato più sostituito. Luigi Angeletti si è dimesso nel 2014. Giampiero Bonifazi è morto nel 2016. Pasquale Carrano di Confindustria si è dimesso nel 2014. Guglielmo Epifani si è dimesso dopo l’elezione alla Camera. Al suo posto è andata Carla Catone, che è si è dimessa nel 2015. Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, si è dimesso nel 2014. Edoardo Patriarca si è dimesso nel 2013, anche lui dopo l’elezione alla Camera. Tiziano Treu, suo sostituto, si è dimesso nel 2015. L’elenco è lunghissimo. Berardino Abbascià, a lungo presidente della Fida, Federazione Italiana Dettaglianti Alimentari, si è dimesso nel marzo 2015 e poi nel giugno 2015 è morto. Aveva preso il posto di Paolo Barberini di Confcommercio. Giuseppe Acocella, in quota Cisl, si è dimesso nel 2014. Giorgio Alessandrini nel 2016, così come Raffaele Bonanni. Susanna Camusso si è dimessa nel 2013 e ha lasciato il posto a Carlo Podda, che si è poi dimesso nel 2015.
Alcuni degli ex membri – 15 – sono stati rinviati a giudizio davanti alla Corte dei Conti l’estate scorsa per una storia di consulenze esterne facili, assegnate negli anni precedenti. Tra questi ci sono anche gli ex presidenti Salvatore Bosco e Antonio Marzano. Secondo le indagini della Corte il danno erariale sarebbe di 800 mila euro. L’udienza della sezione regionale del Lazio è fissata per il prossimo 16 febbraio alle ore 10. L’assemblea del Cnel ha deciso di “aderire alle ragioni della Procura regionale del Lazio costituendosi in giudizio, a tutela del buon nome e dell’immagine del Cnel”. Ora, forse, sul buon nome del Cnel qualcuno avrebbe da ridire.