Matteo Richetti (foto LaPresse)

“Renzi torni in sé”, dice Richetti (Pd)

David Allegranti

“Matteo torni a fare Matteo”. E sull’Europa: “Io sto con Draghi tutta la vita”

Roma. “Renzi torni a fare Renzi. Matteo non può diventare il notaio degli accordi correntizi. La cronaca politica quotidiana è fatta di incontri di capicorrente che si confrontano. A me di tutto questo non importa nulla: io rivoglio il Renzi che diceva ‘non si ferma il vento con le mani’, quello del 2012”. Matteo Richetti, deputato del Pd, renziano dotato di senso critico, si prepara all’apertura della fase congressuale (lunedì 13 c’è un’attesa Direzione del Pd sul tema). “Attenzione – dice al Foglio – non serve un ritorno al passato; serve solo che torni quel Renzi lì, quello che non faceva sconti sulla radicalità del messaggio, sull’innovazione della politica, sul linguaggio e sulle forme di partecipazione. Era il Renzi che rompeva i tabù con i quali il centrosinistra si era confinato al 25 per cento. Era il Renzi che prendeva voti nel centrodestra”.

 

Poi che cos’è successo? “Matteo ha pagato su due punti. Ha avuto una relazione diretta ed eccessiva con il paese fino a stressarlo. La riforma del mercato del lavoro, per esempio, è una delle riforme più importanti, avrebbe dovuto scatenare un dibattito culturale sulla fine del precariato e sul nuovo sistema di garanzie offerte nel lavoro; un dibattito da portare dalle fabbriche fino alle porte dell’università, cosa che non è avvenuta”. L’altra questione è che non ha dato l’impressione di scegliersi i migliori accanto a sé. Ma sono errori ai quali si può porre rimedio se uno ne è consapevole”. Anche perché, argomenta il deputato del Pd, “io penso che il 4 dicembre sia stata la sconfitta di uno stile, non di un contenuto. Sono convinto che il Pd stia rivendicando poco quanto fatto in tre anni di governo. Al Renzi premier, d’altronde io ho pochissimi appunti da muovere. Come segretario invece devo dire che Renzi ha curato molto poco la comunità politica; tra le primissime cose da fare adesso c’è da ricostruire il senso di identità, di partecipazione, di coinvolgimento nella costruzione di un grande Pd. Un percorso che si è interrotto mentre Renzi faceva il premier”.

 

Renzi lunedì si dimetterà da segretario? “Io non credo che si dimetterà, penso però che aprirà la necessaria fase di un confronto congressuale. Le dimissioni, nel caso, sarebbero un fatto tecnico, non politico. Il punto politico infatti è un altro: il Pd va ricostruito a tutti i livelli, dai circoli agli organismi nazionali. Ora è inutile continuare la discussione sulla data del voto senza darsi una linea e un programma”. Che cosa deve succedere perché Renzi torni “a fare Renzi”? “Matteo ha bisogno di rigenerare se stesso dopo la rottura sentimentale con il paese. Non possiamo permetterci che qualcuno, che pure si sentirebbe parte del Pd, si chiami fuori perché chi lo guida rappresenta un elemento di rottura. Bisogna ricucire. Il congresso deve dare a Renzi forza e legittimazione, ma deve anche essere la traduzione di un senso di coinvolgimento che nei circoli e in periferia si è perso. Quando entro nei circoli, trovo persone stanche di gazebo e banchetti. ‘Vogliamo la politica dentro i circoli’, dicono. E hanno ragione. Oggi dovremmo aprire una discussione sull’Europa, sulla crisi del capitalismo”.

 

L’Europa è sotto attacco da parecchi fronti. A difenderla c’è Mario Draghi. “Io sto con Mario Draghi tutta la vita. Non fa ridere che, mentre si agita lo spettro della Bce e della finanza cattiva, l’unico leader politico a difendere l’Europa oggi sia proprio Draghi? E’ l’unico a tenere il punto politico, alla faccia del banchiere! Poi basta con questa storia dell’Europa matrigna che mette solo regole; noi dobbiamo piuttosto chiedere che chi è fuori stia nelle stesse condizioni di chi c’è dentro: l’Europa è aggredita dall’esterno, dall’esasperazione di una produttività e una produzione assolutamente sregolata. Per questo dico che il vecchio Renzi è in realtà un’evoluzione, non un ritorno al passato: deve sviluppare la proposta di un centrosinistra moderno che accetta la sfida della globalizzazione ma non cede all’idea di stare fuori dall’euro e dall’Europa. Quella roba la lasciamo a Salvini e a Grillo”. Come si fa ripartire il Pd? “Nei prossimi mesi dobbiamo coinvolgere, nella periferia del partito e sui territori, i migliori intellettuali e le migliori teste pensanti”.

 

Ma secondo lei, Richetti, c’è un problema di classe dirigente nel Pd? “Guardi, in questi tre anni ho fatto molte iniziative in giro per l’Italia e penso che il Pd sia l’unico partito con una classe dirigente. Non voglio scomodare le vicende del M5s o la crisi del centrodestra, che peraltro mi preoccupa, da avversario politico. Il Pd è l’unica dimensione organizzata composta di eletti e di amministratori di una certa preparazione. Il problema è che il partito dovrebbe valorizzarli di più. Andrebbe ripensato il tema della formazione, che non dovrebbe essere qualche momento di pseudodidattica o la mezza giornata con la passerella dei leader, ma un’esperienza quotidiana. Il Pd insomma rappresenta l’unica opzione credibile, anche se questo non significa che vinceremo le elezioni. Altro discorso riguarda il cosiddetto Giglio Magico. Quando Renzi dice di aver capito i suoi errori, immagino che si riferisca al fatto che adesso deve osare di più sulla capacità, a discapito della fedeltà. Credo che si possa discuterne senza che questo diventi un giudizio sui più stretti collaboratori di Renzi. La questione non riguarda solo i toscani: ci sono state scelte sbagliate anche su persone che vengono da lontano”.

 

Nel Pd si discute di legge elettorale. Lei come la vede? “Dobbiamo riscrivere ciò che ha restituito la Corte secondo un principio: le alleanze si fanno prima. Dobbiamo armonizzare le soglie di sbarramento tra Camera e Senato, facendo una media tra il 3 per cento e l’8; superare tanto il tema dei capilista alla Camera quanto quello delle preferenze su scala regionale, che è una follia, ripristinando i collegi. La proposta che ha fatto Cuperlo risponde a queste esigenze e credo che anche Renzi guardi con favore a questa soluzione. In prima istanza, comunque, c’è il Mattarellum, in seconda battuta questa proposta. Così l’elettore sa prima se siamo alleati di Pisapia o di Verdini”. 

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.