Lasciateci il golf
Identitari, no global, sovranisti. Tutti uniti appassionatamente contro lo sport più globalizzato
Non si può più assaltare e prendere il Palazzo d’inverno (anche perché chissà chi ci si troverebbe dentro), si assalta la Club House. La guerra al golf, cioè allo sport più diffuso al mondo, è diventata in Italia e solo in Italia, il modo per mostrarsi dotati di una coscienza sociale, per far vedere che sì, anche io Carlo Giovanardi, sto partecipando alla lotta di classe. Il senatore è solo uno (ma uno dei più convintamente vocianti) tra gli affossatori dell’emendamento con cui si sarebbe data la garanzia statale di 97 milioni per giocare in Italia la Ryder Cup del 2022 (assegnazione conquistata contro tutti dalla Federazione italiana golf, battendo una lunga schiera di rivali europei). Con lui tanti altri, in un fronte che unisce ancora una volta i 5 stelle, la minoranza Pd e i leghisti di Matteo Salvini (Roberto Maroni lo si è visto però recentemente premiare con evidente soddisfazione il vincitore dell’ultimo Open d’Italia Francesco Molinari), si sono esibiti in tirate più carducciane che pikettyane contro lo sport dei presunti ricchi, ignorandone totalmente costi reali e diffusione.
Se la sono presa con un’idea astratta del golf e non con la manifestazione sportiva in sé, con quella Ryder Cup che mobilita centinaia di milioni di telespettatori una volta ogni due anni e che ha visto a bordo campo nelle ultime edizioni più di 250 mila tifosi delle due squadre contrapposte, quella europea e quella nordamericana (in una sfida che non prevede premi in denaro per i giocatori).
E in questa battaglia per conquistare una coscienza de sinistra è inutile portare argomenti razionali, come quelli ben calcolati dalla Kpmg per mostrare che la Ryder Cup porta prestigio, turismo, immagine, investimenti, lavoro, in misura molto maggiore di quanto serva per finanziarla. Anche perché quella a carico dello stato è solo una garanzia, e anche nella traballante edizione italiana gli organizzatori possono già contare su un contratto da 40 milioni con gli specialisti della promozione sportiva di Infront, con attese alte sulle vendite di biglietti, su ulteriori diritti televisivi, sul merchandising, sulle ricche sponsorizzazioni (Rolex è già della partita con 5 milioni).
Tutto inutile perché il fronte citato (oltre ad approfittarne per dare qualche calcetto sugli stinchi a Luca Lotti e con lui mettere ancora di più sotto scacco il renzismo militante) ha visto l’occasione, facile, gratuita, intellettualmente non impegnativa, per piazzare un colpo da talk-show. “Date i soldi al golf e non li trovate per i terremotati” è il refrain grillino, subito fatto proprio dai replicanti in rete, che, in barba alla logica e alla verità, si presta perfettamente a essere gridato in studio prima che il conduttore o altri diano sulla voce o prima che parta la pubblicità. Il grillino di turno dovrà strillare però prima di essere eventualmente anticipato dal vocione di Michele Emiliano, che ha messo in repertorio un ironico attacco contro le iniziative con cui si aiutano “golfisti e banchieri, categorie non tanto folte”.
Golf bersaglio perfetto anche di sovranisti, no global, identitari. Forse perché è lo sport più globalizzato possibile. Il più diffuso, si è già detto, e giocato ovunque con le stesse regole (una specie di sport unico mondiale). Con il maggiore assortimento di provenienze nazionali diverse tra i giocatori e le giocatrici nelle prime posizioni dei ranking mondiali a dimostrarne la diffusione straordinaria. E con questa peculiare passione per le sfide tra continenti (non se ne fanno in nessun altro sport). La Ryder tra Europa (prima era solo Gran Bretagna) e Nordamerica, la Presidents Cup in cui c’è l’Asia al posto dell’Europa. Ma c’è anche Nordamerica contro sud e centro. Continenti contro, sfide planetarie, e qualche disinvolture nella distinzioni nazionali: per l’Europa bandiera dell’Unione, con le stelle gialle in campo blu, per tutti, anche per svizzeri o norvegesi. Tifosi americani che gridano U.S.A. incitando canadesi. Una sanissima confusione per un liberale. Un incubo per un sovranista.