Radicalizzate i radicali superstiti. Pannella ne sarebbe contento
Quella in corso assomiglia troppo a una banale lite in famiglia. Odiare per il patriarca era da stronzi, ma combattere era la sua manliness
Va bene, “odiare è da stronzi”, così pare abbia detto Pannella negli ultimi tempi. Ma la guerra tra Lista Pannella e Radicali italiani, tra Turco e Bonino, tra Rita Bernardini e Cappato e Magi e Spadaccia, non dovrebbe avere niente di sentimentale, di amaro, di scivoloso e vischioso addirittura. I radicali con Pannella non hanno mai smesso di litigare, di scazzottarsi su titolarità varie, anche giuridiche, sigle, spazi, e con tutto questo hanno negli anni continuato a esprimersi liberamente nello spazio politico cercando di fare quel che volevano e che potevano, inventando, repertoriando, lanciando campagne passatiste o futuribili, azzeccando tono e timbro oppure stonando e scarabocchiando tutto lo spartito. Il retrogusto di ambizioni o risentimenti personali, l’improvvisa esclusione di questi o di quelli, è tutta materia radicale di base, tipicamente settaria, è il risvolto del profetismo, della lunga e inevitabile stagione dell’uomo solo al comando, al microfono, e della devozione sincera che lo circondava. La chiacchierata domenicale con Bordin, nel suo misto di orgoglio e sadismo, di amicizia fraternità e insopportazione, è il documento letterario maggiore di questo stato delle cose.
Non è che morto Pannella arriva la deriva personalistica. Pannella era la deriva e la dittatura della personalità in un solo simbolo. Nel corso del tempo aveva eliminato chi si prestava al ruolo di avversario, ma perfino di nemico, di “lanciatore di merda”, e lo faceva in modo aperto, velenosamente cordiale ma anche con metodi felicemente abusivi, da campione della politique politicienne, da detentore di un carisma senza rivali, passando poi ad altro, non importa se sul cadavere politico e morale di qualcuno, con la sua nota e formidabile sapienza narcisista. Odiare per lui era da stronzi, ma combattere ai limiti e oltre le regole era la sua manliness, corretta dal un grande femminile empito materno verso tutti. Il padre padrone distribuiva in giro baci indimenticabili e frecce avvelenate con equità politica, in ragione di sogni, deliri, programmi, ambizioni che avevano una radice e un posto d’onore nella tradizione che amava, quella liberale e radicale corretta da un senso religioso fuori dal comune.
Non offro consigli, me ne guardo bene, e rispetto situazioni delicate. Ma non vedo il patriarca come un santino dell’unità, lo vedo piuttosto come un fustigatore capace di umiltà superba, insomma non nel senso spinoziano dell’umiltà come triste consapevolezza di non essere che sé stessi. Si battano in duello i contendenti, occupino la sede, vadano in tribunale, se le diano di santa ragione, non sarebbe uno scandalo. La comunità in pezzi li trascende, dall’alto e dal basso. La trascendenza della comunità è la vera invenzione di Pannella. Ma va nutrita. Idee, conflitto, così si prepara la pace. Invece a invocare la pace con elegante distrazione finisce che un movimento radicale da sempre in pezzi, da sempre utile e rispettabile, da sempre carico come un mulo abbruzzese di verità e illusione, si risolverebbe in una cadenza sonora impercettibile, un concertino minore, un blabla senza capo né coda.
Pannella era come tutti i profetizzanti anche un cinico, non sacrificava sé al bene della causa, vedeva nell’affermazione del Sé il bene stesso, e allora forza, radicalizzate i radicali che gli sono sopravvissuti, non spegneteli nel tatto e nel buon gusto, nella riluttanza e nel decoro di una banale lite in famiglia. Pannella non ne sarebbe contento, secondo me.