L'architetto del blairismo ci spiega cosa serve al Pd per battere i populisti
“I populisti sono bravi a sfruttare il malcontento ma le loro politiche sono deboli", dice Peter Mandelson. La sconfitta al referendum? "Una grande opportunità"
Roma. La sconfitta al referendum del 4 dicembre? “È una grande opportunità per Matteo Renzi”. Parola di Peter Mandelson, architetto del blairismo, con cui l’ex premier in passato si è incontrato – appena diventato segretario del Pd – per avere suggerimenti e consigli. L’ex collaboratore di Tony Blair a suo tempo disse a Renzi di attendere, reclutare la squadra migliore sulla piazza, riformare e ricostruire il partito, prendere il tempo necessario per mettere in piedi il suo programma politico. Le cose, come abbiamo visto, sono andate un po’ diversamente. Ma Mandelson pensa che il leader del centrosinistra possa ancora farcela, nonostante la batosta. “Renzi ora dalla sua parte ha l’esperienza di governo – lo storico collaboratore di Blair al Foglio – così come la giovinezza e le idee. Può dimostrare di aver imparato dalla sua esperienza. Ha due grandi compiti: elaborare un programma politico che sia insieme riformista e credibile, un programma insomma che possa essere sicuro di attuare con un ampio sostegno parlamentare e che si rivelerà per gli elettori che egli rappresenta un reale cambiamento e miglioramento della loro vita; portare, nel corso di questo processo, sangue fresco e persone nuove nel partito. L’attrattiva del Pd dovrebbe essere percepita dall’elettorato di sinistra e di centro”.
Insomma, dice Mandelson, “Renzi ha bisogno di costruire un forte consenso per il suo programma, che possa sostenerlo in questo compito, e per dimostrare che lui non è un candidato business as usual”. Mandelson, come può il centrosinistra battere il populismo? I populisti vincono dappertutto; negli Stati Uniti con Donald Trump, forse in Francia con Marine Le Pen. E in Italia, il M5s è molto forte. “I populisti sono bravi a sfruttare il malcontento, certamente, ma le loro politiche sono deboli; i populisti sono inconsistenti e non sono coesi nei loro movimenti. Bisogna attaccarli con abilità forense, rendere manifesta la loro mancanza di capacità di portare a termine il lavoro e mettere le loro debolezze nel mirino. Inevitabilmente, sono difficili da cogliere in flagrante, perché la loro retorica è generica e le loro idee non ben specificate. Ma appaiono forti, quindi dall’altra parte vanno trattati con altrettanta forza, coesione e fiducia. Soprattutto a sconfiggerli sarà la chiarezza degli argomenti ed è ciò su cui devono lavorare i loro oppositori”. Che cosa serve al Pd, che ormai ha quasi dieci anni, per diventare un Nuovo Pd, proprio come il New Labour? Risponde Mandelson: “Il Pd deve affrontare direttamente l’insicurezza economica, le preoccupazioni culturali e il desiderio di avere migliori servizi pubblici da parte degli italiani. La stabilità economica e la sicurezza sociale sono la chiave. La ripresa economica e la crescita rendono possibile tutto il resto, quindi è questa la priorità, ma le nuove politiche che distribuiscano i frutti della crescita in modo più uniforme in tutta la società sono di vitale importanza. Più in generale, gli elettori vogliono vedere i loro leader difendere gli interessi dell’Italia, la sua identità e sicurezza e influenza in Europa e non solo. C’è bisogno di un senso di spirito nazionale. E in un momento di tensione nella partnership con gli Stati Uniti, con il nuovo presidente che mette in discussione le basi stesse di questa alleanza e del multilateralismo, è importante per l’Europa essere unita; bisogna essere abili nel proiettare i propri valori e proteggere i propri interessi in un mondo incerto”.
Senta Mandelson, ma la fretta di Renzi in questi anni è stata un errore? Forse avrebbe dovuto attendere prima di arrivare a Palazzo Chigi, come peraltro lei gli disse una volta. I critici di Renzi dicono che il segretario non ha governato il partito quando era presidente del Consiglio. Quanto questo è un problema? “Ogni leader ha le lezioni migliori attraverso l’esperienza. Nel caso del New Labour si è soliti dire che abbiamo preparato e cambiato il partito quando eravamo all’opposizione e poi abbiamo smesso di preoccuparci di un suo ulteriore sviluppo una volta al governo. Quando abbiamo lasciato il governo, le leadership che si sono succedute alla guida del Labour hanno fatto errori terribili che hanno spianato la strada al collasso del partito”. Mandelson è molto arrabbiato con l’attuale capo del Labour, Jeremy Corbyn. “La Brexit è parzialmente anche il risultato della debolezza del Labour negli ultimi 5 anni e mi vergogno dell’attuale assenza di leadership nel partito, proprio ora che il governo conservatore ci sta conducendo al peggior risultato post-Brexit possibile, mettendo in pericolo il nostro futuro commerciale e i nostri rapporti economici col resto d’Europa. Quindi ci sono sia lezioni positive che negative che si possono imparare dall’esperienza laburista in Gran Bretagna. Bisogna che i partiti di centrosinistra dicano la verità sia agli elettori che ai membri del partito in merito ai cambiamenti che sono necessari. Un leader di successo parla in modo chiaro, con argomenti coerenti, e mantiene quello che promette. Se vuole provare che le sue politiche e la sua coesione, nella pratica, funzionano, il Pd deve essere il partito delle risposte”. Per ora, però, rischia di essere sopratutto il partito delle scissioni.