Il movimento tre stelle
Rossi, Emiliano e Speranza fanno un passo fuori dal Pd e sposano fino in fondo il TTR: il "tutto tranne Renzi". Toni da cinque stelle: la scissione ancora non c'è, ma la ferita ormai è aperta. Domani il discorso di Renzi. Si tenterà un'ultima mediazione prima del big bang
Roma. Le note di Bandiera Rossa, le immagini di Star Wars: “Quell’astronave dobbiamo tirarla fuori, è la sinistra”, dice Peppino Caldarola, che dirige l’incontro al teatro Vittoria di Testaccio. In prima fila ci sono Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema (e non è chiaro se il Conte Max parteciperà o meno all’assemblea nazionale del Pd). Assente Gianni Cuperlo.
Se le parole, in epoca di fake news, hanno ancora senso e significato (e ce l’hanno), quelle utilizzate da Michele Emiliano, Enrico Rossi e Roberto Speranza lasciano poco spazio all’immaginazione. Tutti e tre chiedono che il congresso non venga celebrato subito, in modo che ci possa essere - dice Emiliano - una “conferenza programmatica”. “Non è una questione di date. Non vogliamo la trasformazione del Pd nel partito di Renzi”, dice il presidente della Toscana, che in caso di scissione potrebbe subire ritorsioni dei renziani in consiglio regionale. “Se si pensa di fare un congresso in poche settimane - dice Rossi - una conta per riconsegnare la guida del partito al segretario noi non ci stiamo”. Aggiunge Speranza: “Se il congresso del Pd non sarà una opportunità, un tentativo per rimettere insieme un mondo, non avrà senso. In un congresso plebiscito, o di rivincita, non mi interessa entrare in nessun modo”. Anche l’ex capogruppo del Pd alla Camera spiega che “il punto non è la data, non è il tempo, ma è il chi siamo: chi siamo diventati? In ognuno di questi passaggi: scuola, ambiente, abbiamo perso la nostra gente”.
Il discorso che infiamma davvero la platea è quello di Emiliano. Il governatore della Puglia prima di entrare al Vittoria aveva scritto su Facebook di aver parlato con Renzi (che ha chiamato anche Speranza). I toni parevano concilianti; un’impressione svanita quando Emiliano ha preso parola e ha preso a picconare l’attuale segretario con battute sferzanti. “Io ero uno dei sostenitori di Matteo Renzi... Mi scuso ufficialmente, ma qui ce n’erano anche altri”. Risate in sala. “Eravamo convinti che una nuova generazione avrebbe aiutato il Pd e l’Italia ad uscire da una crisi profonda la cui responsabilità non è solo di Renzi”. Poi l’omaggio a Bersani: “Di fronte a una situazione molto meno grave di quella in cui si trova oggi Matteo Renzi - dice Emiliano - Pier Luigi Bersani si è dimesso e ha consentito al partito di superare le difficoltà. Se quel partito è sopravvissuto ed ha dato la possibilità a Renzi di diventare presidente del consiglio è perché il suo segretario è stato capace di vincere il personalismo e di vivere la politica come comunità. Un segretario di partito non è una persona che ha paura del confronto e teme che chi ha idee diverse dalle sue possa avere consenso e che passi il tempo. Che paura ha Matteo Renzi del passare del tempo?”. Le parole di oggi di Emiliano cozzano però con quelle dette nel 2014 in un tweet dal governatore: “L’unica cosa vera è che io non voglio più sentire parlare della vecchia classe dirigente del Pd che ha sbagliato tutto”. Emiliano nell’intervento sciorina pezzi di mozione congressuale, praticamente è già in campagna elettorale. Il che fa pensare che alla fine almeno lui potrebbe restare nel Pd. “Perché è bellissimo ascoltarvi. Io vi ascolto e metto da parte poi chissà vi frego anche…”, dice sornione il governatore agli altri due. I renziani sono ancora convinti che la scissione ci sarà, ma non tutti se ne andranno. “Se ne andranno solo alcuni”, continuano a ripetere.
“In questo partito non si parla mai di lotta alla mafia. Il Pd ha quasi paura di incoraggiare il controllo della legalità. Noi non dobbiamo avere paura dei magistrati”, grida dal palco Emiliano, che è tornato a vestire i panni del magistrato. E giù applausi. E giù foto, con i tre che si stringono la mano. Un tempo c’era la foto di Vasto, con Bersani, Vendola e Di Pietro. Oggi ci sono rispettivamente Speranza, Rossi ed Emiliano, pronti per la foto di devasto. I renziani non la prendono bene. “Questa mattina toni e parole che nulla hanno a che fare con una comunità che si confronta e discute. Gli ultimatum non sono ricevibili”, dice il vicesegretario Lorenzo Guerini. “Amarezza per toni minoranza Pd. A mano tesa del segretario solo insulti e intolleranza. La scissione è il loro progetto…. Dietro a D’Alema”, dice David Ermini, responsabile giustizia del Pd e renziano di ferro. “Non ho mai risparmiato critiche a Renzi. Ma quello sentito oggi da palco rivoluzione socialista è inaccettabile e ingiusto perché non vero”, dice Matteo Richetti, renziano critico. “Mai visto tanto odio per il segretario Renzi, neanche a Pontida o in un meetup cinque stelle, dai 101 del Capranica ai 121 del Vittoria”, dice Ernesto Carbone, turborenziano.
Finita l’assemblea al Vittoria, resta un’impressione. Nei discorsi dei tre leader della minoranza antirenziana c’è qualcosa che non torna. Se questa scissione ci fosse stata in occasione del referendum costituzionale (prima o subito dopo) avrebbe avuto un senso. Oggi invece la minoranza del Pd potrebbe fare quello che ha fatto Renzi nel 2013 e provare a vincere il congresso, se ne è capace. Invece procede spedita verso la scissione, con il rischio di provocare una crisi di governo. Esattamente il contrario di ciò che chiedono a Renzi: far durare l’esecutivo Gentiloni fino al 2018.