Boschi e Renzi: quando i babbi rischiano di rottamare i figli
Il contrappasso di Maria Elena e Matteo, che hanno praticato il parricidio politico e hanno padri troppo ingombranti
Roma. Non c’è peggior contrappasso, per chi ha teorizzato e praticato il parricidio politico, che rischiare di farsi travolgere dai padri biologici. Alla fine Tiziano Renzi potrebbe riuscire laddove ha fallito Massimo D’Alema; non sarebbe, peraltro, neanche un’impresa troppo originale, visto che babbo Pier Luigi c’è già riuscito con la figlia Maria Elena Boschi, passata – via Banca Etruria – da essere la ministra più potente del precedente esecutivo a megafono del silenzio. Non sono i padri a essere ingombranti di per sé, ma lo diventano di conseguenza, perché ingombranti per davvero lo sono i loro figli; ministri della Repubblica, segretari di partito, presidenti del Consiglio. Invece che adottare un basso profilo, pensano che l’Italia sia un’immensa Rignano sull’Arno (o una gigantesca Laterina) nella quale non c’è distinzione fra lo strapotere e lo strapaese. Per Renzi junior il contrappasso è doppio; lui così capillarmente attento alla comunicazione e alla diffusione delle informazioni (a Firenze, quando era sindaco, per scoprire chi dei suoi parlava con i giornalisti, suddivideva le informazioni tra gli assessori e poi vedeva su quali giornali uscivano), mentre il babbo parla in continuazione a ruota libera. Anche nelle assemblee di partito, di cui è attualmente segretario, a Rignano: in passato si disse contrario alle primarie, fatte apposta per far vincere quelli che parlano bene (al figlio saranno fischiate le orecchie). D’altronde persino sulla forma partito ci sono stati punti di vista diversi; a Tiziano i partiti leggeri sono sempre piaciuti poco (nel 2009, ricordano a Rignano, votò Bersani per il congresso, mentre Matteo scelse Franceschini).
Un tempo Tiziano – organizzatore di viaggi a Medjugorje – era anche molto attivo su Facebook, dove concludeva ogni suo post con un “augh”. E lì polemizzava con tutti, da Pier Luigi Bersani in giù. Solo che qualche volta gli scappava la penna, pardon, la tastiera, facendo infuriare il figlio Matteo. Una volta attaccò pure Piero Pelù, che in effetti ha il vizio di aprire bocca e lasciarsi andare: “Sono onorato di non aver avuto mai rapporti di conoscenza con quel personaggio che spara merda sulla mia famiglia”. Più volte ha provato a cancellarsi da Facebook (“Ogni volta che apro bocca si scatena uno tsunami!”), non riuscendo a resistere. E infatti è sempre puntualmente tornato. Anche con uno pseudonimo: Orso Saggio. E giù di nuovo botte, per esempio a Bersani quando consigliò a Renzi junior di essere umile: “Dovrebbe chiedere a se stesso, visto che grazie alla sua presunzione l’Italia ha perso un anno”.
Un’altra volta invece se la prese, durante un Fiorentina-Milan, con l’allora difensore viola, il nero Micah Richards, chiamandolo “abbronzato terzino”. Ora, se sei Matteo Renzi, già ti devi preoccupare che Franceschini non scappi con il prossimo segretario: puoi anche stare dietro al babbo verbalmente incontinente, che magari spende pure il tuo nome in pubblico anziché godersi una serena pensione? “Del resto mia cara, di che si stupisce, anche l’operaio vuole il figlio dottore”, come dice “Contessa”. Figurarsi se, in questo caso, il figlio è addirittura presidente del Consiglio. A un certo punto Matteo, assediato dalle gesta del babbo, tutt’altro che epiche, aveva pure smesso di rispondergli ai messaggi. “Ma a te risponde?”, chiedeva Tiziano a uno degli stretti collaboratori del figlio quando era presidente del Consiglio. E dire che Matteo non aveva ancora cambiato numero di telefono.
Equilibri istituzionali