Il silenzio degli incoscienti
Cercasi opinione pubblica non rimbecillita ma consapevole che rimanere in silenzio di fronte all’assassinio della politica porta a una conseguenza: la costruzione per via giudiziaria di un nuovo ordine
Che cosa succede quando un paese si ritrova all’interno di una tempesta perfetta, in cui un’opinione pubblica rimbecillita tira la volata a un partito che auspica la morte della politica; le nuove e vecchie classi dirigenti non si indignano se le procure della Repubblica diventano tribunali del popolo; la classe politica offre alla magistratura strumenti utili per trasformare il giusto processo in una santa inquisizione; i talk-show decidono di far diventare la guerra contro la casta del vitalizio la priorità del paese; i magistrati costruiscono indagini per portare avanti più tesi politiche che teoremi giudiziari, in cui il moralismo diventa il surrogato del riformismo e in cui la democrazia diretta viene descritta non come se fosse quello che è, ovvero una nuova forma di fascismo digitale, ma come se fosse il giusto orizzonte da seguire per superare definitivamente la democrazia rappresentativa? Succede quello che tutti state vedendo in questi giorni: nulla. La politica si piega di fronte al partito del giustizialismo quotidiano? E chi se ne importa. Gli indagati vengono trattati come se fossero dei pericolosi appestati? E chi se ne importa. Un politico che per mestiere incontra persone che vogliono avvicinarsi ai palazzi della politica incontra effettivamente persone che vogliono avvicinare ai palazzi della politica e per questo viene trattato come se fosse un affiliato della camorra? E chi se ne importa, no?
Si potrebbe andare avanti per ore nel descrivere questa tempesta perfetta che sta scoperchiando il tetto di un paese in cui la corruzione culturale non è meno grave della corruzione materiale, ma per fortuna in circolazione esistono piccoli e fenomenali antidoti, che se ingeriti in tempo possono aiutare ad aprire gli occhi e a capire perché un paese che mescola idee come moralismo, giustizialismo, grillismo, protagonismo dei magistrati, primato della burocrazia a discapito della politica, è un paese che rischia di vivere in una nuova dittatura.
Gli antidoti sono due grandiosi libri di cui abbiamo parlato in questi giorni – Sabino Cassese, “La democrazia e i suoi limiti” e Francesco Giavazzi che con Giorgio Barbieri ha scritto “I signori del tempo” – ma che vanno uniti per provare a mettere a fuoco lo stato di salute del nostro paese. Sabino Cassese descrive in modo delizioso la follia di un paese che attraverso la grande illusione della democrazia diretta sta provando a eliminare non solo la democrazia rappresentativa ma anche l’idea stessa che la politica possa essere un contrappeso legittimato a riequilibrare un mondo sempre più orientato a farsi guidare anche politicamente dalle nuove e dalle vecchie burocrazie, in primis la magistratura. E un paese in cui la classe politica fa un passo indietro, nota Francesco Giavazzi, diventa automaticamente un paese in cui il potere rappresentativo passa non dalla casta ai cittadini ma dalla casta a un’altra casta: quella dei burocrati. Paradossalmente i partiti che provano a combattere il malaffare con il combinato disposto moralismo-giustizialismo in realtà contribuiscono a ostacolare l’unico sistema che permetterebbe di combattere la corruzione: il regime dell’efficienza. Dovrebbe essere ovvio, ma non per tutti è così. “Una politica forte e credibile – scrivono Giavazzi e Barbieri – è necessaria per contrastare la corruzione”.
“In Italia, purtroppo – proseguono Giavazzi e Barbieri – la classe politica è invece uscita indebolita dalla stagione di Mani pulite. E questo è avvenuto a vantaggio della burocrazia, che, lasciata senza un reale controllo, ha acquisito il potere e la necessaria indipendenza per massimizzare le sue rendite tanto a livello centrale quanto nelle periferie. Sono le regole e le norme tortuose a favorire la corruzione. E più alto è il valore economico di una decisione, più alta è la rendita che il burocrate può ricavare”. L’insieme perverso tra politica che arretra, moralismo che trionfa, garantismo che soccombe, anti casta che avanza, burocrazia che domina, magistratura che impera, crea così una tempesta perfetta che è quella che vediamo oggi di fronte a noi e che giorno dopo giorno, nel silenzio generale, sta uccidendo un pezzo di democrazia. Nessuno sa cosa succederà nel processo legato allo scandalo Consip e in fondo quando un’indagine è aperta è giusto che sia così: i verdetti si formulano in aula, non sulle pagine dei giornali. Ma quando le luci dell’inchiesta si abbasseranno e i giornaloni si guarderanno indietro, forse capiranno che trasformare un’indagine in un’inquisizione, mettere da parte l’articolo 27 della Costituzione e trasformare le battaglie anti casta nel punto principale del riformismo del futuro, è il modo migliore per legittimare un’Italia malata e culturalmente corrotta. Un’Italia che, grazie anche alla palude generata dal sistema proporzionale conseguenza naturale della vittoria del No al referendum costituzionale, sogna di trasformare la politica del futuro non in una realtà che si fa portavoce dei cittadini ma in un obbrobrio destinato a diventare il portavoce degli unici poteri forti contro i quali sarebbe il caso di non chiudere gli occhi: burocrazie immobili, procure d’assalto, professionisti del fango. E di fronte alla tempesta perfetta sarebbe bello avere un’opinione pubblica non rimbecillita ma consapevole che rimanere in silenzio oggi di fronte all’assassinio della politica porta a una conseguenza evidente e forse sconsigliabile: la costruzione per via giudiziaria di un nuovo ordine. E forse non è proprio quello che serve all’Italia.