Michele Emiliano ospite a "In Mezz'Ora" (foto LaPresse)

Emiliano deve dimettersi da pm?

Marianna Rizzini

Abbiamo posto la domanda a Mauro, Fiandaca, Polito, Mieli e Sorgi. Giornalisti e giuristi sul “doppio ruolo” del candidato

Roma. Michele Emiliano si candida a segretario del Pd. Ma essendo Emiliano un magistrato (magistratura inquirente), come la si mette sul piano dei rapporti tra potere giudiziario e potere politico, e su quello della cosiddetta “supplenza” del ceto togato? Ieri, su questo giornale, Giuliano Ferrara parlava di “indecoroso silenzio su Emiliano” (nel paese degli appelli continui). Perché ora, con il congresso del Pd alle porte, la domanda non può essere più elusa: è legittimo, è opportuno (anche se legale) che il candidato segretario del Pd Emiliano resti membro della magistratura? Per Ezio Mauro, già direttore di Repubblica, “non è opportuno”. E il giurista Giovanni Fiandaca esprime “dubbi a diversi livelli”: “La permanenza di Emiliano in magistratura”, dice, “provoca infatti due tipi di effetti negativi”.



“In primo luogo”, dice Fiandaca, si produce un effetto negativo sotto il profilo di una possibile “giudiziarizzazione” dell’impegno politico, cioè di “uno stile di azione politica svolta nell’ottica accusatoria da pm”. In secondo luogo, c’è il rischio “di una potenziale strumentalizzazione della mentalità giudiziaria per fini politici”. L’editorialista del Corriere della Sera e saggista Paolo Mieli dice invece di aver posto la questione a Emiliano direttamente, durante una puntata di “Porta a Porta”, e di aver ricevuto una risposta che suonava più o meno come un “è il mio lavoro, la mia fonte di guadagno, vorrà dire che quando tornerò a fare il giudice mi occuperò di casi non politici”. Emanuele Macaluso, colonna del Pci ai tempi di Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer, ricorda di aver già detto “cento volte” che l’Emiliano candidato segretario del Pd “dovrebbe lasciare la magistratura”, e che il problema è già stato posto “dal procuratore generale della Cassazione, che lo ha deferito al Csm”, contestandogli la partecipazione “sistematica” e “continuativa” al Pd, anche se il Csm “non ha ancora deciso della sua sorte” (ma qualche giorno fa il vicepresidente Giovanni Legnini ha precisato che il procedimento su Emiliano, che per molti osservatori procede troppo a rilento, “è stato trattato come tutti gli altri”).

 
Sull’onda delle parole di Sabino Cassese, giurista e giudice emerito della Corte Costituzionale (intervistato da questo giornale auspicava, qualche giorno fa, che i magistrati restassero “sacerdoti della legge”, e dunque fuori dalla politica), il politologo Michele Salvati, padre fondatore del Pd, dice che “non è affatto opportuno che Emiliano” resti in magistratura. Dello stesso avviso il direttore del Messaggero Virman Cusenza: “Emiliano, come ogni magistrato che scelga la politica”, dice, “avrebbe dovuto dimettersi. E il Csm è quantomeno in ritardo nell’affrontare questo conflitto di interessi toghe-politica”. “Nettamente per le dimissioni” si dice il vicedirettore del Corriere della Sera Antonio Polito, come ha scritto martedì scorso nel suo editoriale. Oggi Polito ricorda, in proposito, anche la sentenza del 2009 della Corte costituzionale (citata ieri in un tweet del costituzionalista Stefano Ceccanti).

 
Dalla Stampa, il capo della redazione romana Francesco Bei trova la questione dell’opportunità delle dimissioni di Emiliano, già posta dal Csm, “talmente lampante che non dovrebbe neanche essere tema di discussione: mettiamo che Emiliano perda la sfida delle primarie, cambi idea, finisca il mandato in regione Puglia e torni a fare il pm, e che un suo avversario politico si ritrovi da lui indagato. Come si può pensare che in un caso del genere sia tutelata l’imparzialità di giudizio?”. L’editorialista della Stampa Marcello Sorgi dice: “Il problema esiste, Emiliano candidandosi a segretario Pd avrebbe dovuto lasciare la magistratura, ma tutto ciò è anche un effetto della Costituzione materiale del paese. La Costituzione formale, infatti, prevede la separazione dei poteri, ma poi in Parlamento, anche prima di Tangentopoli, i poteri ce li siamo ritrovati connessi tra loro in modo inestricabile”. In Parlamento, dice Sorgi, il “partito dei magistrati è stato ed è fortissimo, e non solo dopo il gesto plateale dell’Antonio Di Pietro che si toglie la toga ma poi si lascia per così dire ‘decadere’ – un modo per non scrivere la lettera di dimissioni. La costituzione materiale, purtroppo, ha fatto sì che nel paese il partito dei magistrati riuscisse a fermare un paio di riforme della giustizia, una di centrosinistra e una di centrodestra. E quindi sì, Emiliano dovrebbe dimettersi dalla magistratura, ma il principio di realtà ci dice che, nell’interminabile transizione italiana, e dopo la caduta della Prima Repubblica, si è assistito, anche a opera del partito dei magistrati, al sistematico azzeramento delle classi dirigenti”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.