Beppe Grillo esce dal hotel Forum (foto LaPresse)

La grillizzazione degli spiriti è una sciagura che va oltre i talk-show

Claudio Cerasa

I voucher ritirati, i costi della politica, l’anti europeismo, la sottomissione al conservatorismo populista e altri segnali da cogliere in fretta per non trasformare l’Italia nella vera pecora nera del populismo europeo

Giovanni Orsina la chiama “grillizzazione degli spiriti”. Angelo Panebianco la definisce “nuova egemonia culturale”. Fedele Confalonieri dice che “in questa logica dell’urlo adesso stiamo esagerando”. La questione, insomma, è quella che conosciamo bene: nessuno sa se dal punto di vista elettorale il grillismo oggi è davvero maggioranza del paese (non lo è, no che non lo è); in molti però stanno cominciando a rendersi conto che la politica del rutto, dell’immobilismo, dell’anti casta, dell’anti produttività e della decrescita infelice è diventata incredibilmente patrimonio condiviso della politica italiana. Noi, come è noto, siamo dadaisti dell’ottimismo. Crediamo che l’Europa abbia gli anticorpi per sopravvivere all’ondata populista. Crediamo che il grillismo sia sopravvalutato in Italia così come era sopravvalutato in Spagna Podemos. Crediamo che votare per un presidente del Consiglio sia diverso che votare per un quesito al referendum. Ma per quanto ottimisti si possa essere, se mettiamo insieme alcuni segnali raccolti negli ultimi giorni si capirà perché ha ragione il nostro amico Lorenzo Castellani quando, sconfortato, si pone nella sua bella newsletter la seguente domanda: se per non far vincere Grillo dobbiamo realizzare il programma di Grillo, non facciamo prima a votare direttamente Grillo?

 

È un paradosso che vale la pena però prendere sul serio e che ci permette di mettere a fuoco un rischio che corre il nostro paese se continuerà ad alimentare il mostro grillino. Per capire di cosa stiamo parlando, si potrebbe cominciare dalla storia dei voucher e dall’incredibile sottomissione mostrata dalla maggioranza di governo al grillismo tendenza Cgil, il quale governo per non correre il rischio di prendere ceffoni al referendum, in nome del pas d’ennemi à Grilló, ha deciso di abolire uno strumento prezioso come i buoni lavori, ignorando per esempio che due percettori di voucher su tre oggi svolgono un doppio lavoro e che coloro che non verranno più pagati in voucher non smetteranno di fare quel lavoro ma finiranno per farlo in nero. Si potrebbe proseguire ancora spiegando come il tema del “costo della politica” (è successo anche con il referendum costituzionale, purtroppo) sia diventato ormai l’unico vero termometro da utilizzare per misurare la qualità di un progetto politico (in Italia oggi se dici che le auto blu non sono un’emergenza il tuo destino è la forca). Si potrebbe aggiungere che ormai il cuore della politica economica italiana non riguarda più la qualità del lavoro del nostro paese (dicesi produttività) ma riguarda solo la cifra giusta da stanziare per favorire quella forma di ozio dei popoli chiamata reddito di cittadinanza. Si potrebbe continuare ricordando come la pseudo emergenza esodati è stata trasformata da tutti i partiti nella bandiera di una nuova grande indignazione finalizzata a distruggere una delle più grandi riforme fatte negli ultimi sei anni, la riforma Fornero, unica legge tra l’altro annoverata nel recente documento della Commissione europea sull’Italia tra le misure virtuose adottate dal nostro paese.

E si potrebbe concludere, infine, rammentando (a) il tentativo (Pd, Forza Italia) di trasformare in un tribunale del popolo le commissioni d’inchiesta sulle banche; (b) la sovrapposizione tra la linea politica degli scissionisti del Pd e quella del Movimento 5 stelle; (c) l’antieuropeismo dilagante che accomuna tutti i maggiori partiti italiani; (d) le posizioni interscambiabili di Lega nord e Movimento 5 stelle sul referendum sull’euro. A tutto questo poi va aggiunto un dettaglio ulteriore sul sistema dell’informazione, che forse involontariamente ha scelto di utilizzare l’obiettivo grillino per raccontare il nostro paese, spacciando spesso per verità assolute quelle che non sono altro che ricostruzioni di parte (senza tra l’altro avere un ritorno apprezzabile in termini di share). E così, spesso, ci ritroviamo di fronte a talk-show che raccontano, testuale, “l’ultima battaglia del Movimento 5 stelle contro la casta”, dando per scontato che esista una casta da abbattere e contro la quale si è dunque legittimati ad agire con tutti i mezzi a disposizione. E così, altrettanto spesso, ci ritroviamo di fronte a scene di militanti grillini spacciati per persone comuni e super partes che in nome dell’onestà attaccano i rappresentanti della casta. E così, ancora, troviamo giornalisti di centrodestra e di centrosinistra che inneggiano alla gogna sui vitalizi e che quando attaccano il Movimento 5 stelle lo fanno non per denunciare la follia dell’utopia grillina, ma per segnalare il tradimento dei valori dei 5 stelle, dando così automaticamente ai grillini la patente dei buoni rivoluzionari, magari a volte solo un po’ pasticcioni.

  

E’ tutto un flusso continuo, un grande circo in cui ormai non fa più scandalo che ogni sera in prima serata ci sia un magistrato (ma Davigo quando lavora?) che detta la linea politica al paese. È tutta una grande cornice all’interno della quale il grillismo viene accettato, discusso, condiviso, sfruttato per fare qualche ristampa in più di qualche libro, per vendere qualche copia in più di giornale, per raccogliere un decimale in più di share. Orrore. Gianfranco Rotondi, autore di un epico e spregiudicato libro in difesa della casta, uscendo indignato la scorsa settimana da uno studio televisivo impregnato di grillismo ha detto che l’Italia dello sfascio “è l’Italia che ci state regalando voi, è l’Italia che state fabbricando voi”, e lo stesso ha dovuto pensare il capo di Mediaset, Fedele Confalonieri, che conversando con il Foglio ha riconosciuto che anche nelle sue reti si sta un po’ esagerando, in questa logica dell’urlo.

  

Il problema però, in questo caso, non è soltanto culturale ma rischia di diventare politico se alle prossime elezioni i partiti di centrodestra e di centrosinistra tenteranno di prosciugare il grillismo piazzando dei cloni del grillismo nelle proprie liste elettorali. Nel 2013 il metodo è stato già seguito, soprattutto nel Pd, e il risultato è che oggi abbiamo come presidente del Senato, grazie davvero, un magistrato semigrillino di nome Pietro Grasso, scelto quattro anni fa da Pier Luigi Bersani come capolista per il Senato nel Lazio ed eletto alla guida di Palazzo Madama anche per cercare di dare il via a un governo con i grillini.

Alle prossime elezioni, però, riempire di Pietro Grasso le liste dei partiti che dovrebbero opporsi al grillismo potrebbe essere più pericoloso. Se centrodestra e centrosinistra continueranno a scendere sullo stesso piano dei populisti a cinque stelle, i populisti a cinque stelle cresceranno non solo nei sondaggi. E in caso di crescita vera, all’interno di un sistema proporzionale, non ci sarebbe nulla di più ghiotto per i populisti a cinque stelle che ritrovarsi con una Camera e con un Senato pieni di potenziali parlamentari alleati, pronti a trasformare l’egemonia culturale di oggi in una forma di perfetto governo del cialtronismo populista.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.