Confindustria - Forum Economico Euro-Mediterraneo (foto LaPresse)

Confindustria boccia il governo Cgil

Claudio Cerasa

L’errore sui voucher e il passo indietro sugli appalti. “Non si può inseguire il consenso prescindendo dallo sviluppo, spero sia una parentesi”. Restaurazione, protezionismi, Sole 24 Ore, idee per un patto sulla crescita. Parla Boccia, presidente di Confindustria

Il 31 marzo del 2016, esattamente un anno fa, il consiglio generale di Confindustria designava Vincenzo Boccia come presidente nazionale dell’associazione degli imprenditori e un anno dopo l’elezione il mondo che si presenta di fronte a Confindustria non è dei più semplici. La Gran Bretagna è uscita dall’Unione europea. Donald Trump ha vinto le elezioni americane. L’Italia del referendum costituzionale (Confindustria compresa) ha perso la sua battaglia. Il Movimento 5 stelle, dicono i sondaggi, è diventato il primo partito italiano. In Francia Marine Le Pen minaccia di uscire dall’euro in casa di vittoria (improbabile ma non impossibile). E se a tutto questo sommiamo anche, per scendere su un altro piano più terreno, il drammatico romanzo del Sole 24 Ore si capisce bene che per Confindustria gli ultimi mesi siano stati molto complicati. Un anno dopo la sua nomina, Boccia accetta di conversare con il Foglio su molti temi (Sole 24 Ore compreso) e parte da una risposta ad alcune domande chiave.

 

Presidente Boccia, la prospettiva di un governo Grillo, in questo contesto, non è più impossibile. E mentre i grandi paesi d’Europa mostrano di avere anticorpi buoni per tenere a bada i partiti anti sistema l’Italia mostra di essere più in difficoltà su questo punto. Dall’Economist a Les Echos il giudizio è unanime: l’Italia è il vero malato d’Europa. È così? E cosa la spaventa di più pensando a un possibile governo a 5 stelle?

“Non ci spaventa. Siamo equidistanti dai partiti, ai quali chiediamo qual è la loro idea di politica economica, quali obiettivi intendono raggiungere, attraverso l’uso di quali risorse e in che tempi. Ma ancor prima vorremmo chiarezza sugli obiettivi. Al contrario in questi mesi si parla di alleanze tra partiti basate su tattiche pre e post elettorali e non sulla comunanza di obiettivi. Come si pensa di poter governare insieme quando si hanno idee opposte su alcuni fondamentali: l’Euro, l’Europa, le politiche del lavoro, quelle fiscali e, più in generale, il modello di società. Noi continueremo a compiere quello che ci sembra il nostro dovere di parte responsabile attenta ai fondamentali dell’economia e delle sue leggi. Anche perché i benefici del Quantitative Easing stanno per affievolirsi e farsi trovare impreparati sarebbe un delitto. Per questo auspichiamo che le forze politiche possano condividere un Patto di scopo per capire dove andare e che cosa fare del nostro futuro. Vogliamo restare un paese industriale sfruttando le nostre potenzialità oppure no? Che alternative abbiamo?”.

 

La prossima manovra, quella di ottobre, sarà importante perché potrebbe essere l’ultima fatta sotto l’ombrello del Qe di Draghi. Lei sarebbe favorevole a uno sforamento del deficit, oltre il tre per cento, da accompagnare a un robusto taglio della spesa pubblica, per finanziare un grande taglio alla pressione fiscale?

“Dopo l’assemblea di maggio e prima della pausa estiva presenteremo una nostra agenda di medio termine tesa a inaugurare nel paese una stagione di nuova competitività che faccia leva sugli strumenti della legge di Bilancio con tre grandi obiettivi: includere i giovani nel mondo del lavoro, ridurre il debito attraverso un attento taglio della spesa e la dismissione del patrimonio immobiliare pubblico, rilanciare la crescita non più come fine ma come mezzo per ridurre diseguaglianze e povertà. Le soluzioni si misurano sugli obiettivi e sui risultati. Prima definiamo gli obiettivi, individuiamo le soluzioni e poi misuriamo i risultati”.

 

Si dice che in Confindustria esista una corrente di pensiero forte pronta a scommettere coraggiosamente su un sistema soft di tassazione dei patrimoni per realizzare una straordinaria operazione di riduzione del fisco. Lei crede che l’Italia sia pronta per un’operazione di questo tipo?
“Noi siamo convinti che un paese che voglia essere competitivo non debba tassare i fattori di produzione mettendo a rischio l’unico sistema dal quale ci si può aspettare creazione di ricchezza e distribuzione di benessere. Intanto iniziamo ad aggredire quella parte di patrimonio pubblico gestita in maniera infruttuosa, liquidando le attività in perdita o improprie, a partire dalle società partecipate dagli enti locali, e vendendo gli asset immobiliari per ridurre il debito. Se ne parla da anni ma non lo si fa mai. Proprio in questi giorni, poi, ospitiamo in Confindustria il summit dei sette paesi più industrializzati per respingere le tentazioni protezionistiche e ribadire l’importanza del libero scambio ai fini dello sviluppo delle relazioni e dell’economia”.

 
Il governo Gentiloni finora non è stato travolto dalle polemiche ma ha compiuto due passi netti di avvicinamento alla Cgil: prima pianificando una massiccia operazione di assunzione dei precari nella scuola e poi abolendo i voucher? Cosa rischia l’Italia se si consegna all’ideologia della Cgil?
“Consideriamo l’abolizione dei voucher e, ancora di più, il pesante arretramento sulla responsabilità solidale negli appalti, un grave errore e – speriamo – solo una parentesi. Più che inseguire il consenso prescindendo dallo sviluppo, partiti e governo dovrebbero mantenere la rotta sulle riforme utili al paese, senza farsi distrarre o portare fuori strada dalla ricerca di un consenso facile da ottenere nel breve termine, ma alla lunga foriero di nuovi malumori per l’impossibilità di dare vere risposte. Non dimentichiamo che solo il 20 per cento delle imprese italiane si trova in una zona di conforto, un altro 20 per cento è fuori gioco, e il restante 60 per cento che si trova in una zona grigia va aiutato a fare il salto di qualità. L’impressione che abbiamo è che solo una parte della società abbia questa sensibilità”.

 
L’Italia presenta un tasso di disoccupazione giovanile molto alto, quattro volte il livello della Germania. Eppure il paese sta crescendo, le imprese investono, le esportazioni funzionano, il sud dà segnali di ripresa, l’agricoltura è in salute come non mai, i mutui sono tornati a salire. Il lavoro manca senz’altro ma non crede che in Italia esista una sorta di sindrome master chef, che porta alcune persone che si avvicinano al mercato del lavoro a mettersi poco in gioco, a essere poco imprenditori di se stessi e a fare un passo in avanti solo verso il lavoro dei sogni e non verso il lavoro possibile? 

“L’Italia deve ritrovare il gusto delle grandi sfide recuperando lo spirito del Dopoguerra quando i nostri nonni e i nostri genitori hanno ricostruito un paese partendo dalle macerie che lo ingombravano. Non partiamo certo da quelle condizioni, ma non possiamo dimenticare che, nonostante un’inversione di tendenza, viviamo ancora in una fase di emergenza. Dall’inizio della crisi a oggi abbiamo perso 9 punti di pil (pari in valore assoluto a 180 miliardi di euro) recuperati solo in minima parte. Questa consapevolezza dell’emergenza dovrebbe riguardare tutti noi ed essere motore di azione. Abbiamo il secondo apparato manifatturiero d’Europa dopo la Germania e solo il 30 per cento degli italiani lo sa. Dobbiamo restituire valore al lavoro, soprattutto dei giovani, e questo non si risolve con formule magiche, ma con l’impegno costante a irrobustire i nostri fattori di produzione. La nostra è un’idea di società prima ancora che di economia, che solo la crescita economica può realizzare, includendo le persone e non escludendole. E’ un’idea di crescita come precondizione, e non fine, per combattere diseguaglianze e povertà”.

  

Confindustria, come ricorderà, aveva previsto un semi-collasso del sistema economico italiano dopo il referendum ma come dimostrano invece anche le ultime analisi del centro studi di Confindustria l’Italia soprendentemente sta continuando a crescere. Possiamo dire che l’Italia è più forte di quello che si crede? E ci può dire quali sono i dati dell’Italia che la rendono ottimista verso il futuro?

“Quando esprimemmo le nostre preoccupazioni sull’esito del referendum l’ipotesi era che la consultazione si dovesse svolgere prima dell’approntamento della legge di Bilancio e quindi in una fase molto delicata della vita economica del paese. Anche in questo caso la nostra posizione fu molto chiara: poiché l’allora presidente del Consiglio Renzi aveva dichiarato che si sarebbe dimesso in caso di sconfitta c’era da temere un possibile periodo d’incertezza con le conseguenze che avevamo indicato. Poi la data è stata più volte spostata fino ad arrivare al 4 dicembre. Peraltro, ci sembra che alcuni degli effetti previsti si stiano comunque verificando: ritorno al proporzionale, cammino stentato della nuova legge elettorale, rincorsa verso una società neocorporativa e neoconsociativa, e non pensate che questo non abbia effetto sull’economia”.

 
Mercoledì è stato avviato il primo passaggio ufficiale della Brexit. Anche qui, nonostante le attese, la Brexit non sembra avere particolarmente spaventato i mercati e non sembra impensierire neppure particolarmente la classe dirigente inglese. La Brexit secondo lei coincide con la fine dell’Europa o con l’inizio di un’Europa nuova? E soprattutto: gli effetti della Brexit la spaventano o no?
“La Brexit non può spaventare l’Europa se questa saprà essere all’altezza dei suoi compiti. Il nostro continente è il mercato più ricco del mondo con un debito pubblico aggregato inferiore a quello degli Stati Uniti. In teoria dovremmo essere una potenza politica ed economica in grado di farsi temere. Ma nulla è scontato, soprattutto quando ci sono diversi paesi europei che pensano di essere in grado di giocare la partita da soli contro giganti come Usa, Russia o Cina, e tutto deve essere ogni giorno riconquistato, se non vogliamo cadere sotto i colpi di chi vuole appropriarsi di questo mercato indebolendo i fondamentali dell’Europa. La partita, come abbiamo specificato anche insieme alla Bdi, l’associazione tedesca degli imprenditori, è tra Europa e resto del mondo. L’Europa nuova dovrà assomigliare sempre più a quella delle origini, pensata dai padri fondatori”.

  
Con l’arrivo alla casa bianca di Donald Trump il protezionismo è tornato di moda, i nazionalisti hanno alzato la voce, il sovranismo è uscito fuori dalle catacombe. Eppure in tutto il mondo è evidente che i paesi che crescono sono quelli che si aprono ai mercati, che respingono il protezionismo, che scommettono sulla produttività e sull’internazionalizzione. Se l’agenda protezionista della Lega e del Movimento 5 stelle dovesse prevalere in Italia, e specularmente dovesse avere successo in Francia la Le Pen, cosa cambierebbe per la nostra economia?

“Sarebbe un grave errore rispondere ai neoprotezionismi con neonazionalismi. E questo è anche oggetto del dibattito organizzato con i rappresentanti del B7. Apparati industriali forti hanno bisogno di mercati larghi per i propri prodotti e non possono vivere solo di mercato interno, per quanto fondamentale sia, soprattutto per noi, ampliarne la portata. La questione industriale è questione nazionale, europea e globale e anche questa visione rientra nella discussione del B7, da cui scaturirà un documento comune”.

 
Quello che lei suggerisce, presidente, è un modello di sviluppo, ma Confindustria, dopo tutto quello che è successo con il Sole, come può recuperare il deficit perso in termini di credibilità? La questione posta da molti osservatori è semplice: come può il sindacato che rappresenta gli imprenditori avere in pancia un giornale che non è un esempio virtuoso sul piano del business, del rapporto tra i dipendenti e sul fronte degli sprechi? Nell’ultima intervista fatta al Foglio lei ha detto con la sua presidenza sarebbe cambiato tutto: “Oggi dobbiamo comportarci da azienda. Dobbiamo cambiare le regole di ingaggio. Dobbiamo risanare il Sole. Faremo un piano industriale entro il 2016, che sarà definitivo e strutturale, e subito dopo procederemo a un aumento di capitale. Saranno tempi brevi e sarà un’operazione efficace. Saremo coraggiosi, non ci fermeremo di fronte ai problemi e torneremo a fare le curve come un tempo, senza paura del brecciolino”.

 

Cosa non ha funzionato in questi mesi e quali sono le accuse più ingiuriose che ha ricevuto Confindustria in questi mesi e che si sente di respingere, sul capitolo del Sole?
“Quella del Sole è una vicenda complessa che si avvia verso la fase finale. Obiettivi e propositi restano gli stessi: piano industriale coraggioso e ricapitalizzazione in tempi rapidi. Non voglio però eludere il senso della sua domanda. Ricordo che la crisi economica ha colpito tutti, e in particolare l’editoria. Con questo non vogliamo dire che non siano stati commessi errori, ma il tema Sole va riportato all’interno di una dimensione aziendale”.

 
Rispetto al nostro ultimo incontro c’è una cosa che è cambiata: il direttore è stato sostituito sulla spinta di un’indagine della procura e all’aumento di capitale sembra di capire che parteciperanno soggetti non previsti in un primo momento. Che entità avrà l’aumento di capitale, e quando verrà fatto? E cosa intende Boccia quando dice che Confindustria potrebbe ridurre le sue quote?
“Sull’entità dell’impegno che dovremo affrontare siamo in attesa delle indicazioni del consiglio di amministrazione che sta lavorando bene. L’auspicio dei Saggi al presidente di Confindustria è chiaro: conservare il controllo del giornale. Il che non impedirebbe che si possa scendere al di sotto dell’attuale 67,7 per cento conservando sempre il 50 per cento più uno delle azioni”.

 
A proposito di informazione. Angelo Panebianco, qualche giorno fa, ha scritto sul Corriere della Sera che l’Italia si trova sottomessa a un’egemonia grillina che ha portato la classe politica a invertire le priorità del paese. In che cosa la preoccupa l’egemonia grillina? E cosa pensa quando vede politici che parlano più di costi della politica che di produttività e che giocano con le paure degli italiani immaginando per esempio monete alternative all’euro?

“Il tema non è l’egemonia grillina, ma la sostanza delle cose: è oggettivo che il dibattito pubblico sia erroneamente orientato su temi di grande impatto mediatico ma di poca o nulla rilevanza economica. La questione vera è come far ripartire il paese per creare lavoro e benessere. Per questo dobbiamo ragionare di più su una politica economica possibile e consapevole, che sappia bilanciare obiettivi e risorse, senza pregiudizi ed evitando passi indietro dettati da posizioni ideologiche. Il riferimento non è casuale: penso al tentativo di smontare il Jobs Act o all’uscita dall’Euro, che non è un’opzione. Vorrebbe dire tornare a una moneta debole e col debito pubblico che ci ritroviamo non faremmo un buon servizio alle famiglie e alle imprese. Il risparmio delle famiglie per primo ne verrebbe pesantemente colpito. Siamo consapevoli di cosa comporterebbe per ognuno di noi vedersi azzerati i frutti del lavoro di una vita? O vedere balzare in alto i tassi dei mutui? Ci vuole sempre un po’ di sana concretezza”.

 
Non pensa che parlare male dell’Italia – pensiamo ad alcuni talk-show, pensiamo a una buona parte della classe politica – sia il modo più facile per regalare il paese a una forza anti sistema?
“E’ evidente che la deriva delle lamentele costanti e della maniacale denuncia delle criticità non possa che alimentare l’ansia e la rabbia in tutti noi. La strategia della negatività porta il paese a perdere di vista obiettivi e potenzialità. La rabbia impedisce di cercare e trovare soluzioni mentre dovremmo passare dalla mera denuncia e protesta alla costruzione di proposte. Inseguire l’audience ignorando i contenuti può provocare effetti di cui potremmo pentirci”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.