Smascherare gli sfascisti e chiudere un cerchio. Un'idea per Berlusconi
Un nuovo contratto con gli italiani responsabili. Cosa può fare il Cav. per smascherare gli sfascisti ed essere di nuovo ammirato in Europa
L’intervista rilasciata ieri da Carlo Calenda al Foglio rappresenta un passaggio importante non solo nell’ambito di questa legislatura ma anche in vista dei prossimi mesi, durante i quali le nostre forze politiche saranno costrette a confrontarsi per preparare la campagna elettorale che ci porterà alle elezioni del 2018. Il ministro dello Sviluppo economico ha fatto proprio l’appello lanciato sabato scorso da questo giornale e ha invitato i partiti di centrodestra e centrosinistra a non perdersi in chiacchiere e a sottoscrivere, già prima delle elezioni, un memorandum d’intesa con le dieci inderogabili priorità economiche da realizzare nella prossima legislatura a prescindere da chi andrà al governo. Il ragionamento (che sempre ieri ha condiviso sul nostro giornale anche il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci) è chiaro e lineare: il populismo di matrice peronista non lo si combatte inseguendo sul loro stesso terreno le forze anti sistema, ma lo si affronta mettendo a fuoco in modo responsabile, condiviso e trasversale le priorità del nostro paese. Ovvero quei princìpi non negoziabili in materia di riforme economiche intorno ai quali costruire “un’alleanza culturale contro il grillismo”: il taglio delle imposte e in particolare del cuneo fiscale; una piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali; un impegno ad alleggerire in modo progressivo il nostro debito pubblico senza misure choc; un impegno a non intaccare le riforme sul lavoro e sulle pensioni realizzate dagli ultimi governi; riduzione delle ore impiegate in un anno da una piccola-media impresa per presentare le dichiarazioni fiscali; un impegno a ridurre i tempi del processo; una riforma delle intercettazioni; un impegno a omogeneizzare le regole sul lavoro presenti nel settore privato con quelle del settore pubblico; una riforma del sistema di contrattazione salariale collettiva.
L’epoca delle grandi coalizioni – che in Italia va avanti ininterrottamente ormai da sei anni, dal novembre 2011, dal governo Monti – ha contribuito a depoliticizzare alcune riforme e ha aiutato a sottrarre dalle categorie di “destra” e di “sinistra” diversi provvedimenti di natura economica che per una vita sono stati osteggiati solo perché promossi da una parte politica avversa e non è un caso che l’idea del memorandum preelettorale riscuota successo in un buon pezzo della classe dirigente del nostro paese, che su questo tema avrebbe forse il dovere di uscire allo scoperto. Arrivati a questo punto della storia, però, il dato che andrebbe approfondito, ancora prima dell’oggetto del memorandum, riguarda il soggetto che dovrebbe farsi portavoce di questa iniziativa. Calenda ha fatto la sua mossa ma naturalmente non basta e non ci vuole molto a capire che colui che potrebbe sfruttare al meglio l’occasione del manifesto del buon senso, anche per chiudere un cerchio e cancellare per sempre la pagina oscura del 2011, è Silvio Berlusconi. Sei anni fa, poco prima dell’ingresso sulla scena del governo Monti, la spallata al Cav. si materializzò nel momento in cui l’ex presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, firmò insieme con il suo successore, Mario Draghi, una lettera famosa, con la quale la Bce indicò le misure antispeculazione da adottare “con urgenza” dall’Italia per “rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità del bilancio e alle riforme strutturali” (dalle liberalizzazioni alla riforma del mercato del lavoro e delle pensioni alla Pubblica amministrazione). Quella lettera, che rappresentò per molte ragioni una ferita mortale per il berlusconismo, ebbe l’effetto non secondario di mostrare tutto ciò che un governo liberale avrebbe dovuto fare e che invece non riuscì a portare a segno nel corso di tre anni di legislatura.
A sei anni di distanza possiamo dire che la missiva della Banca centrale colse nel segno e mise in evidenza non un complotto, come sostiene Renato Brunetta, ma semplicemente molte delle priorità non realizzate del nostro paese. Anche alla luce di quel passaggio storico, Berlusconi – oggi pienamente legittimato anche dalla sinistra a ricoprire il ruolo di pivot delle larghe intese contro il grillismo – avrebbe dunque l’occasione di chiudere un cerchio, ricucire la ferita che si è aperta nel 2011 e fissare in prima persona i valori non negoziabili del fronte alternativo allo sfascismo digitale in un contratto non con gli italiani ma con le forze politiche responsabili. La mossa avrebbe l’effetto di rilegittimare nuovamente il centrodestra italiano, e il suo leader, anche agli occhi dei colleghi europei; costringerebbe il Cav. a dettare finalmente l’agenda ai suoi alleati e non a farsela dettare più come succede spesso oggi; permetterebbe a Berlusconi di aspettare la sentenza della Corte di Strasburgo, relativa alla sua candidabilità, in una posizione di protagonismo (e non di attendismo); e costringerebbe infine anche gli avversari a confrontarsi meno sulla fuffa (i vitalizi) e più sui temi (le riforme). Fino a oggi è stato il Pd, grazie a Renzi, che ha sottratto alcune battaglie al centrodestra con l’idea di creare il perimetro di un nuovo partito della nazione. Impossessarsi nuovamente dell’agenda delle priorità dell’Italia potrebbe essere un modo per trasformare il centrodestra in qualcosa di diverso da una federazione di vecchie e nuove correnti e in qualcosa di più simile a un moderno partito popolare, più simile alla Cdu di Merkel che all’Ukip di Farage. Un nuovo bipolarismo in fondo esiste già, in Italia, e non sarebbe certo un memorandum economico a mostrare la vicinanza tra partiti che in teoria dovrebbero essere distanti l’uno con l’altro: al Senato, il capogruppo del Pd, Luigi Zanda, e il capogruppo di Forza Italia, Paolo Romani, nel corso di questa legislatura hanno espresso lo stesso voto 4.192 volte, il 64,6 per cento delle 6.489 votazioni in cui sono stati entrambi presenti e specularmente, sempre al Senato, il capogruppo della Lega, Gian Marco Centinaio, e il capogruppo del movimento 5 stelle, Carlo Martelli, hanno espresso lo stesso voto 4.562 volte, ovvero il 49,4 per cento delle 9.232 votazioni in cui sono stati entrambi presenti (i dati sono OpenPolis). Il fronte apertura e chiusura esiste già e non ha senso essere lì in mezzo a cincischiare.
In un buon articolo uscito ieri sulla stampa spagnola, sul quotidiano “Abc”, si nota che Silvio Berlusconi, a 80 anni, “è tornato a conquistare il centro della scena politica italiana”, alla guida di un “terzo polo” che sembrava sconfitto dalle divisioni interne e dal protagonismo di Pd e M5S, ma che ora si rivela sempre più competitivo. Il cronista di Abc, dando voce a un pensiero diffuso nel nostro paese, si chiede se l’ex premier sarà capace di tenere assieme forze diverse l’una dall’altra in presenza di una legge elettorale che probabilmente non premierà le coalizioni. La domanda è giusta solo se si pensa che siano le leggi elettorali i migliori collanti esistenti in natura per saldare i rapporti tra partiti lontani l’uno dall’altro. E’ sbagliata se si parte invece (come facciamo noi) da un presupposto diverso: un partito che vuole candidarsi a governare lo deve fare partendo non da una legge elettorale ma da un’agenda competitiva con cui far emergere le contraddizioni degli avversari e costruire le basi per una nuova egemonia. E mai come in questo momento farsi promotori di un grande manifesto del buon senso sarebbe il modo migliore non solo per far emergere alla luce del sole le forze politiche irresponsabili ma anche per assicurasi la tessera numero uno del partito più popolare che c’è oggi in Italia: il fronte unico della resistenza culturale contro le scemenze del nuovo peronismo. Cosa aspettiamo?