Ivrea, Beppe Grillo alla convention M5S (foto laPresse)

La terza via tra élite e "sfascisti". Parlano Panebianco e Orsina

Marianna Rizzini

Per Panebianco, le forze antisistema sono contro “la democrazia rappresentativa, ma anche stataliste". I Cinque stelle “vogliono che la politica sia gestita dal cittadino, e uno stato iper-interventista", dice Orsina

Roma. C’è una continuità tra il “no” pronunciato dalle élite culturali e politiche italiane (con contorno di girotondi) contro Silvio Berlusconi, prima, e quello pronunciato, poi, dalle stesse élite contro Matteo Renzi, ci si domandava ieri su questo giornale? E perché, di fronte allo “sfascismo” a Cinque stelle, le élite medesime non insorgono, e anzi si trincerano dietro la parola “Costituzione” – bandiera guarda caso innalzata dagli “sfascisti” che difendono la Costituzione ma vogliono abolire il vincolo di mandato da essa previsto? Non ci sarà, al fondo, sempre la stessa battaglia per la difesa di uno status quo prima di tutto economico, in cui il “nemico” è colui che vuole ridurre la presenza dello stato? “C’è, in Italia, una maggioranza netta a favore di una forte presenza dello stato nella vita civile, e c’è sempre stata”, dice il politologo ed editorialista del Corriere della Sera Angelo Panebianco.

 

Ma c’è anche un altro aspetto che spiega la non reazione di fronte alle forze cosiddette “sfasciste”: “C’è, nella storia d’Italia”, dice Panebianco, “una presenza costante di forze dall’orientamento eversivo nei confronti della democrazia rappresentativa – elemento presente oggi nelle forze antisistema. E il fatto che queste forze siano anche stataliste riduce l’ostilità nei loro confronti da parte di coloro che invece sarebbero favorevoli alla democrazia rappresentativa. Ed ecco l’affinità tra i Luigi Di Maio e i moltissimi attori che, all’interno della società italiana, condividono l’idea che lo stato debba essere presentissimo e che la sua presenza non si possa ridurre”. Anche una parte dell’ostilità verso Berlusconi, per Panebianco, “era dovuta alla promessa di una riduzione dell’intervento dello stato, più che al conflitto di interessi o ad altro. Poi Berlusconi non la mantenne, la promessa, e per varie ragioni. Primo, per limiti culturali suoi: se avesse davvero voluto agire in quel senso, avrebbe dovuto prima ridurre il peso del debito pubblico. Cosa che non aveva la voglia o la forza di fare. Secondo, perché il sistema politico-istituzionale non dà al presidente del Consiglio la forza per poterlo fare – e il referendum ha bocciato l’ipotesi di un rafforzamento dei suoi poteri. Terzo, perché nella sua coalizione c’era la Lega, contraria alla riduzione del peso dello Stato”.

   

Ma il voler conservare la Costituzione così com’è – parlamentarista, pluralista e collegiale – può essere un modo per tenere a distanza il liberismo in campo economico? “In parte sì”, dice lo storico e politologo Giovanni Orsina, perché “anche l’evitare che il sistema politico possa prendere decisioni finisce per conservare uno status quo corporativo. E però il modello grillino sta diventando sempre più corporativo: il M5s ha voluto e vuole esprimere microinteressi presenti nella società italiana, con l’idea che il bene comune sia la somma di ciò che pensano le persone comuni. Cosa vincente tanto più in una società ‘narcisista’ come quella italiana. Ma alla fine hai un programma di natura conservatrice, dove ciascuno vota e predilige il tipo di provvedimento che non mette in pericolo il suo giardinetto. Ed ecco che il piccolo e bello diventa la più importante parola d’ordine dei grillini”.

  

I Cinque stelle, a differenza del Berlusconi che pure, all’inizio, aveva venature politiche anticasta, dice Orsina, “vogliono che la politica sia gestita dal cittadino, ma vogliono anche uno stato iper-interventista. Per loro la politica deve entrare nei meccanismi della società civile e del mercato. Berlusconi diceva: ‘Togliamo i politici di professione’, ma poi ha annacquato il suo messaggio liberista. I Cinque stelle dicono: ‘Sentiamo quello che dice la gente’. Solo che poi la gente riproduce la difesa del suo piccolo ambito esistenziale – che poi è una difesa di microinteressi di natura corporativa”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.