Grover Norquist (foto di Gage Skidmore via Flickr)

Cos'è il centro-destra internazionale che ha in mente Norquist

Tommaso Alberini

Nel 1985 ha fondato il presigioso think-tank “Americans For Tax Reform” su richiesta di Ronald Reagan. Oggi spiega che il maggior cambiamento intercorso nel partito repubblicano con l’ascesa di Trump è non tanto ideologica quanto estetica

Grover Norquist, repubblicano di ferro, di quelli che “non voglio annientare lo stato, voglio solo ridurne le dimensioni tanto da poterlo annegare nella vasca da bagno”, mercoledì ha presenziato via Skype al primo della serie di incontri “International Ideas Forum” della Fondazione De Gasperi, a Roma.

  

Norquist, che nel 1985 ha fondato il prestigioso think-tank “Americans For Tax Reform” su esplicita richiesta di Ronald Reagan,  ha da poco avviato un progetto intellettuale per formare una “coalizione di centro-destra” internazionale, cercando di espandere i principi del conservatorismo fiscale anche nei paesi dove l’aliquota ridotta all’osso ancora non è un principio fondamentale di alcuna forza mainstream.

  

In apertura della conferenza sottolinea cossighianamente l’importanza del trattino tra “centro” e “ destra”, chè “quando è cominciata la rivoluzione anti tasse di Reagan, negli anni ’80, la battaglia per lo ‘small government’ era una cosa di destra”, poi pian piano si è allargata a sempre più ampi strali della società americana, e oggi è dominante tanto a destra quanto al centro dello spettro politico.

  

“E’ importante tenere a mente che Donald Trump e i Repubblicani – esordisce – non sono la stessa cosa e soprattutto i secondi non dipendono dal primo, per il loro successo politico”. Avevano già la maggioranza sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato prima che Trump arrivasse alla Casa Bianca, una chiara reazione da parte del popolo americano ai disastrosi anni di amministrazione democratica da parte di Obama.

  

33 stati su 50, inoltre, sono in mano a governatori repubblicani “e questo è ciò che conta di più: ricordatevi che gli Stati Uniti hanno un assetto federale”, per cui è certamente importante avere un presidente repubblicano che porti avanti idee repubblicane a livello federale e faccia le nomine giuste – vedi il nono giudice della Corte suprema da lui nominato, Neil Gorsuch, che le ha conferito una nuova maggioranza conservatrice – ma quel che più conta è poter passare legislazioni anti tasse a livello dei singoli stati. E comunque la riduzione del carico fiscale è genuinamente al centro dell’agenda presidenziale.

  

A chi in platea inarca il sopracciglio, sentendo parlare di Donald Trump come un “vero” repubblicano – da parte di un repubblicano –  Norquist ripete convinto che “Trump si sta comportando da repubblicano: sta tagliando le tasse riducendo il peso dello stato nelle vite degli americani”, che è la questione più importante.

  

“Certo – concede – c’è il bando sull’immigrazione e un certo scetticismo nei confronti dei trattati di libero commercio”, ma da che mondo e mondo, secondo Norquist, tutti i presidenti americani della storia recente hanno dovuto dare un taglio ai flussi migratori, quasi sempre per questioni pratiche più che politiche.

  

In fin dei conti, allora, il maggior cambiamento intercorso nel partito repubblicano con l’ascesa di Trump è non tanto ideologica quanto estetica. “Sono cambiati i toni, è cambiata l’enfasi retorica, ma il contenuto repubblicano è ancora lì, nella Casa Bianca” e anche se il presidente dovesse improvvisamente avviare un cambio di rotta, tutti i rami del potere politico federale e statale sono in mano ai repubblicani. “Le nostre idee anti tasse, inevitabilmente, sono condivise dalla maggioranza degli americani”.