Beppe Grillo (foto LaPresse)

La blasfema cerimonia di Grillo in chiesa e il totalitarismo come farsa

Guido Vitiello

Un concordato surrealista? Non scherzate, ve lo dice Don Delillo

Il nuovo concordato surrealista è l’incontro tra un manganello e un aspersorio sul tavolo di una redazione giornalistica. “Sia dunque fatta la tua volontà”, avrebbe potuto chiedere il direttore di Avvenire al suo sulfureo interlocutore, “e confessami l’ampiezza dei tuoi capricci!”. Così Mefistofele a Faust; e la parola che usa Goethe per capricci è, guarda il caso, Grillen. A Marco Tarquinio non sarà sfuggita l’eucaristia anch’essa surrealista che il messia pagliaccio amministrò ai suoi seguaci, a Torino, in coda a uno spettacolo della primavera 2016. “Questo è il mio corpo”, diceva liturgicamente, spingendo loro in bocca grilli essiccati (la Appendino si astenne, ma solo perché allattava). Certo, era uno scherzo, ribatteranno gli infaticabili minimizzatori, e ricorderanno che i vescovi non batterono ciglio quando Berlusconi prendeva la comunione da divorziato o raccontava barzellette sporcaccione infarcite di bestemmie. A scandalizzarsi era quasi solo Rosy Bindi. Ma le questioni dell’ortodossia o della blasfemia non interessano noi laici extra muros ecclesiae, se non per il fondo antropologico e politico che svelano. E badate che c’è scherzo e scherzo.

La chiave più duttile, come spesso accade, è in un film. Ma non è, come qualcuno avrà forse già pensato, “Cercasi Gesù” di Luigi Comencini, quella commedia del 1982 dove Grillo faceva la parte di un messia candido e vagabondo, a metà tra l’idiota di Dostoevskij e Chance il giardiniere. Certo, anche lì qualcosa di interessante a frugar bene si trova; se non altro perché le strade d’Italia sono attraversate, di tanto in tanto, da qualche Cristo minore; personaggi che prendono il precetto dell’imitazione di Cristo così alla lettera da pervertirlo, sperando di farsi non già simili a Gesù, ma essi stessi nuovi messia. Al fondatore del cristianesimo dedicano un’imitazione invidiosa, da rivali più che da discepoli. Il padre di queste cristologie parodistiche è ovviamente Nietzsche, che impazzì lui pure a Torino. Ed è una tentazione ostinata, nell’antropologia politica italiana, che ha prodotto anche del buono, da Pasolini a Pannella. Ma Grillo mica si crede un messia, è tutto uno scherzo!

 

Qui casca l’asino. Ho ripreso in mano un saggio letterario che per qualche ragione mi torna sempre utile per ragioni extra letterarie, “Opere mondo” di Franco Moretti. Parla delle grandi opere ottocentesche e novecentesche – da Goethe a Wagner a Joyce – che hanno tentato di ridar forza all’idea del testo sacro: “E’ il volto luciferino dell’epica moderna: competere, e se possibile spodestare, la fede cristiana”. La si può sfidare pronunciando “una bestemmia di dimensioni colossali” – le messe nere del “Faust”, di “Moby Dick”, dell’“Ulisse” – o, al contrario, mettendosi a inventare dèi sul palcoscenico: come Wagner nel santuario di Bayreuth. Però – ed è un però abissale – per sperare di far rinascere o sopravvivere il sacro in un’epoca secolare bisogna camuffarlo sotto l’ironia, che è in questo un “formidabile meccanismo di difesa”. Vale lo stesso, mutando quel che c’è da mutare (non molto), per la politica: solo volto in farsa, in parodia, in sberleffo il vecchio messianismo dei totalitarismi novecenteschi può tornare inavvertito a calcare le scene. Ecco la risposta, brusca e impaziente, da dare a chi assicura che Grillo è solo un comico; ed ecco la risposta, più cortese, da dare a chi parla di fascismo da operetta: perché il nuovo fascismo sarà da operetta – sarà operetta – o non sarà. E il film che avevo annunciato, allora? Il film non esiste, o meglio esiste solo nella fantasia di Don Delillo, che lo descrisse in un romanzo degli anni Settanta, “Running Dog”. Si tratta di un filmato rarissimo girato nel bunker di Berlino negli ultimi giorni del Terzo Reich, dove Hitler entra in scena e fa l’imitazione di Charlie Chaplin.

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