L'europeista perfetto
Macron spiegato da Mario Monti, uno che lo conosce bene: “Se si vuole essere riformisti bisogna superare il pendolo dall’alternanza destra-sinistra”
Milano. Conoscere Emmanuel Macron da dieci anni, cioè da quando nel 2007 entrò a far parte come vicesegretario della commissione Attali per la liberazione della crescita, significa in pratica conoscerlo dagli esordi dell’attività pubblica. All’epoca Macron di anni ne aveva 29, Mario Monti 64 ed era già stato due volte commissario europeo. Fu (anche) in quel lavoro rigorosamente “non partisan” che Macron forgiò parte della sua visione europea. Monti poi ebbe altre occasioni di contatto stretto, quando il giovane consigliere economico di François Hollande partecipava ai vertici ristretti tra capi di governo. Ne ha sempre tratto un’eccellente impressione personale. Ma soprattutto, oggi, preferisce sottolineare una “notevole convergenza di vedute” con il candidato all’Eliseo: “Convergenza sul modello di economia necessario all’Europa per vincere la sfida della globalizzazione. Ovvero la convinzione che i paesi avanzati, ma con rilevanti problemi economici come sono appunto la Francia e l’Italia, debbono puntare su riforme strutturali e sullo stimolo della concorrenza, non sperare che i disavanzi pubblici generino crescita”. E convergenza di vedute sotto il profilo dei “rapporti tra l’Unione europea e gli stati membri”. L’ex premier italiano è l’osservatore adatto per spiegare all’Italia che cosa potrebbe significare l’arrivo al potere di una personalità molto competente ed europeista, post politico ma capace di ascoltare gli elettori come Macron. Parte dalla visione generale, Monti, ricordando proprio il lavoro ai tempi della commissione Attali: “Né io né Macron siamo a favore della ‘sovranità’ dei mercati. Siamo a favore di regole chiare, fatte rispettare rigorosamente da poteri pubblici imparziali, anche di fronte a poteri economici e finanziari che tendono a prevaricare.
“Nella commissione Attali – prosegue Monti – ci battemmo per dare alla Francia un’Autorità della concorrenza forte e indipendente dal governo (in meno di un anno la legge fu approvata e nacque la nuova Autorità) e una strategia coerente di liberalizzazioni, contro le rendite di posizione. Alcune liberalizzazioni le avrebbe in seguito varate proprio Macron come ministro dell’Economia”.
Poi c’è l’aspetto politicamente più interessante del tentativo di Macron: il superamento della divisione tra destra e sinistra, la vecchia politica. È il punto di novità più evidente di Macron, non solo per la Francia. Di questo necessario superamento l’ex premier italiano è stato un teorizzatore fin da quegli anni (del resto pure Jacques Attali, consigliere di Mitterrand e poi anche di Sarkozy, e ora felice “padrino” ideale di Macron, è un precursore del superamento della vecchia politica) e ne sottolinea la portata non occasionale: “Se si vuole essere riformisti – spiega Monti – ma si deve rimanere nel pendolo dall’alternanza destra-sinistra, finisce che le riforme non si fanno mai. Il pendolo è un limite, e allora bisogna provare a superare questo limite. Bisogna mettersi insieme, magari per periodi limitati, e realizzare quelle riforme che sono necessarie e che di solito sono troppo politicamente costose perché una sola parte riesca a imporle contro l’altra. Superamento di destra e sinistra significa pensare in termini di sacrifici anche per le proprie caratteristiche economico-sociali in politica: si fa quanto necessario, e quanto da soli non si riuscirebbe a fare”. La visione politica di Macron va proprio in questo solco. Certo, si può obiettare che il sistema politico presidenziale francese non è adatto alle grandi coalizioni. Eppure Monti insiste sul punto: “Ho avuto l’occasione di conversare con Macron qualche mese fa e gli ho suggerito che il ‘pendolo destra-sinistra’ è un limite anche nel sistema francese. Infatti la Francia ha fatto meno di quanto l’Italia ha potuto fare con una grande coalizione, in particolare per uscire dalla crisi finanziaria. Però in questa fase – la necessità per la Francia di fare riforme e al contempo di spingere l’Europa a riformarsi – e per la sua storia politica, Macron è secondo me nelle condizioni ideali per chiedere uno sforzo in questo senso alla politica francese. Uno sforzo che può essere di 3 anni, o di 5, per fare le riforme”. Non una grande coalizione, estranea al sistema francese. Monti preferisce definirlo uno sforzo “più non partisan”. Magari, dopo le elezioni dell’Assemblea nazionale in giugno, Macron (se davvero vincerà al ballottaggio) potrebbe appellarsi all’arco di partiti che l’avranno sostenuto nel secondo turno.
Macron sarebbe la persona adatta. Non soltanto perché è un uomo di profonda cultura e competenza, con in più la legittimazione del voto popolare. Ma anche perché, spiega Monti, possiede “una sottigliezza e una facilità di creare consenso notevolissima. È un uomo competente e che apprezza la competenza; è veloce nel decidere, ma non mette l’azione prima della riflessione; e sa unire, sa ascoltare; e ascolta prima di parlare. Tutto questo sarà fondamentale”. (Sempre parlandone al futuro, ovviamente).
Ma che cosa potrebbe provocare in Europa una presidenza Macron? Monti è qui sul suo terreno preferito. Innanzitutto, nota, sarebbe il passaggio “dal danno cessante al lucro emergente. Ho notato già da qualche tempo, e non solo io, che dopo la Brexit l’onda montante dell’antieuropeismo si è affievolita. Il contagio non c’è stato. Ora, con Macron forse vince uno che, secondo i nostri blog dozzinali e secondo alcuni partiti o movimenti che ne sono i ventriloqui, sarebbe il perfetto demonio: tecnocrate, uomo di finanza, a suo agio con il capitalismo anglosassone e, ahimé, amico dei tedeschi”. Ma la fine del contagio – le elezioni in Germania saranno secondo Monti una rete di sicurezza per l’Europa, che vinca Merkel o Schulz – non deve generare alcuna auto assoluzione. Non toglie l’obbligo di migliorare la Ue. Anche perché sarebbe un abbaglio interpretare male la visione di Macron. Tra i suoi più stretti collaboratori ci sono due conoscenze di Monti. L’europarlamentare Sylvie Goulard, che ha spesso lavorato con Monti e ora affianca Macron sui temi europei, “ha una visione molto vicina alla Germania” e Jean Pisani-Ferry, primo consigliere economico di Macron che con Monti ha fondato nel 2005 il think-tank centro studi Bruegel a Bruxelles e ne condivide le idee di rigore ben temperato. La Francia di Macron sarebbe insomma più propensa di quanto lo è stata quella di Hollande alle riforme strutturali, agli equilibri di bilancio. Avrebbe una visione più cooperativa con Berlino. E questo, dice Monti, può essere un vantaggio per tutta l’Europa, ma anche un rischio per l’Italia: “Negli anni passati, noi abbiamo fatto sforzi di riforma maggiori di quelli della Francia, anche perché avevamo una maggiore esposizione sul debito e verso i mercati, ora le riforme e la riduzione del disavanzo deve farle (anche) la Francia. Questo atteggiamento di collaborazione responsabile in linea con le regole europee consentirà a Parigi di affrontare positivamente con Berlino dossier come la revisione del patto di stabilità, gli investimenti europei. Ma questa maggior credibilità della Francia chiamerà in causa anche l’Italia. Guai a pensare che una maggior solidarietà franco-tedesca significhi un allentamento dell’attenzione per noi. Significherebbe non aver capito che è necessario cambiare le cose che non funzionano in Italia perché solo così si possono cambiare le cose che vanno cambiate, e certo vanno cambiate, in Europa”.
Una presidenza francese sinceramente europeista, e non europeista malgré lui come spesso era quella di Hollande, segnerebbe, dice Monti, “il ritorno al suo naturale splendore dell’asse franco-tedesco. E siccome la Gran Bretagna non ci sarà più, sarà ancora più strategico. L’Italia è la terza economia europea, con Germania e Francia, ma dovrà decidere se essere co-pensatore di un’Unione riformata, o accontentarsi di accoccolarsi su un gradino più basso, con la Spagna”.
Eccoci all’Italia, dunque. Il Foglio sta sostenendo da qualche settimana una campagna per invitare i partiti europeisti e anti populisti a sottoscrive un accordo politico, prima delle elezioni, che li impegni a fare le cose necessarie che vanno fatte per il paese e per partecipare positivamente all’Europa. Servirebbe anche da noi, insomma, un superamento – almeno temporale – di quel pendolo sinistra-destra che Macron ha proposto ai francesi, ed è stato premiato. Che ne pensa? “Sarei molto d’accordo. Anni fa, in vista di una elezione politica, Luigi Spaventa e io affermammo insieme la stessa cosa, in un articolo a due firme uscito lo stesso giorno, sulla Repubblica e sul Corriere. Ma farlo, oggi, richiede non solo volontà politica ma una trasmutazione di serietà. E almeno un minimo, minimo, rispetto per la realtà”. E qui l’ex premier che guidò, da tecnico, una coalizione che appunto accettò per qualche tempo il rischio condiviso delle riforme, non fa sconti a nessuno: “Non si può costruire una coalizione europeista e riformista come quella di cui parliamo, mantenendo un duplice falso, e cioè se non si fa chiarezza su due punti. Il primo, è il falso di quelli che sostengono che quella stagione di riforme condivise, che ci permisero di uscire dalla crisi finanziaria senza il giogo della troika, fu invece un ‘golpe’. Il secondo, è il falso di chi sostiene che l’Italia abbia recuperato il suo ruolo in Europa solo dopo, con l’avvento di un presidente del Consiglio che ha molto alzato la voce in Italia contro l’Europa pensando così di rendere l’Europa più attenta agli interessi italiani. Sono due falsi, e non si può costruire una coalizione europeista coltivando con cinismo un atteggiamento che scarica proprio sull’Europa l’origine dei nostri problemi. Ci chiediamo se il populismo italiano subirà ripercussioni dal voto francese. Ma c’è forse un populismo, per così dire dall’alto, che è stato alimentato anche da questi atteggiamenti delle due principali parti politiche italiane. Macron, su questo, è stato molto diverso. Forse diventerà cinico in futuro, ma oggi non è falso né sull’Europa né sulle responsabilità della Francia”. Quel che l’Italia può imparare, al momento, è che dovrebbe scrivere “10-15 righe di una versione concordata su come sono andate le cose, e partire da lì. L’Europa ha limiti che vanno superati, un atteggiamento come quello indicato da Macron può dare fiducia anche ai nostri pallidi europeisti.