Idee per la destra: ecco la responsabilità delle classi dirigenti francesi
Macron e la prospettiva "allettante" di riforme condivise
Milano. Ieri l’homepage del Figaro apriva, con buona ragione, sulla denuncia di Marine Le Pen del “tradimento” di François Fillon. Il quale, sconfitto seppur di poco al primo turno, con piena e tradizionale responsabilità repubblicana aveva dichiarato: “Non c’è scelta che votare contro l’estrema destra quindi voterò per Macron. Credo sia mio dovere, ho cercato di riflettere su cosa è meglio, fatelo anche voi, per voi e vostri figli”. Sul quotidiano che è stato più vicino al candidato dei Republicains il dibattito, con qualche polemica come sempre dopo le sconfitte, è fitto. E non manca qualche stoccata contro il perdente. Il che non ha impedito, però, che il giorno dopo le elezioni un editoriale misurato lasciasse intendere tutti i dubbi del caso di un voto per Le Pen. E che ieri ce ne fosse un altro, dal titolo “A destra di Macron”, in cui si riprendeva la scelta dei gollisti di fare barriera contro il FN.
Sull’altro fronte Pierre Moscovici, nella sua veste di socialista francese prima che di commissario europeo, ha dichiarato senza indugio che il ballottaggio sarà “un referendum sull’Europa” e ha criticato apertamente il suo “vecchio amico” Jean-Luc Mélenchon per aver annunciato di non volersi schierare: “Non si può trattare allo stesso modo Le Pen e gli altri, va fatta una distinzione”. C’è una reazione d’establishment, in Francia, ma non sarebbe diversa in altri paesi, in base alla quale il bene comune – o il male minore – viene prima degli schieramenti. E soprattutto, nota il Figaro, se Macron, nel nome del superamento di destra e sinistra, vuole davvero tentare la grande “recomposition”, e realizzare le riforme essenziali alla Francia – “semplificazione delle leggi sul lavoro, soppressione delle 35 ore, i tagli alle tasse, la lotta all’insicurezza e l’immigrazione selvaggia” – allora la “prospettiva sarebbe allettante”.
Osservando da vicino, non si tratta soltanto del tradizionale spirito repubblicano delle classi dirigenti francesi. Anzi quello spirito, che è cosa diversa da ciò che di solito si intende per “bipartisan”, è oggi probabilmente meno saldo, lo dicono vari osservatori. Non è un caso se personalità come Henri Guaino, ex ghostwriter di Sarkozy, abbia detto “nessuno mai mi farà votare per Macron”. O se Christine Boutin, ex ministro (cattolica) di Sarkozy, abbia ribadito mai con Macron invitando a votare Le Pen. Anche l’elettorato di Fillon, al momento, presenta delle incognite.
Ma appunto non è solo spirito repubblicano, si tratta della capacità politica di capire dove sono i punti di vicinanza, e quali i programmi che possono essere realizzati in base a un accordo comune, magari limitato. In questo senso, la lezione che viene dalla destra gollista – e persino poco europeista, come quella di Fillon – è che c’è meno distanza con un tecnocrate post politico che con una populista la cui “demente politica economica condurrebbe la Francia al disastro”. Una destra realista può accordarsi, senza tradire le sue idee, con un avversario che però le è simile in una certa comprensione della realtà. Invece inseguire ciò che contraddice le proprie idee di fondo è innaturale.