En Marche! o in cammino, il problema è lo stesso: come governare?
Promosso Macron che ha vinto lo scontro televisivo con Le Pen e ora punta all'Eliseo; promosso Renzi perché pensa di dover tenere duro sull’impianto maggioritario della nuova legge elettorale. Il Pagellone della settimana politica
Stasera Emmanuel Macron sarà eletto alla presidenza della Repubblica francese. Renzi proprio stamattina è stato acclamato come nuovo vecchio (vecchio nuovo?) segretario del Pd. Da oggi “En marche” e “In cammino”, avranno un problema simile, trovare una maggioranza per governare. Macron non ha parlamentari, il movimento che ha fondato appena un anno fa non ha alcuna rappresentanza né nazionale né territoriale, Renzi guida da tempo una macchina rodata, con centinaia di deputati, senatori ed eletti locali.
Per Macron il problema è immediato, ha già in testa il nome del suo primo ministro, lo annuncerà fra sette giorni dopo il passaggio delle consegne con Hollande e poi gambe in spalla verso le elezioni politiche che sono a giugno, a ridosso e per questo dette anche il terzo turno delle presidenziali: poche settimane per trovare i cinquecento e passa candidati macronisti e fare eventualmente liste unitarie. Renzi invece ha ancora qualche mese per fare le sue mosse e preparare le truppe.
Paradossalmente il compito del francese è più facile. Lo aiuta un meccanismo istituzionale di ferro, il rapporto triangolare fra il presidente, il popolo e il parlamento agevola la formazione di maggioranze presidenziali: gli elettori, una volta che scelgono l’inquilino dell’Eliseo di solito gli danno anche i mezzi per governare. La sconfitta simultanea di gollisti e socialisti aumenterà le spinte disgregatrici e spingerà non pochi cacicchi a salire sul carro di Macron. Il panorama che era bipolare diventerà quasi più frammentato di quello italiano, i poli potrebbero essere quattro se non cinque: il Front national, la destra repubblicana classica, i macronisti e i loro alleati centristi (François Bayrou), i socialisti e la sinistra radicale di Mélenchon. Il doppio turno di collegio e le desistenze incrociate garantiranno una equa rappresentanza e, grazie ai poteri presidenziali, la formazione di una maggioranza di governo. In Francia sono le forze politiche che si adeguano alla legge elettorale e si mettono insieme o si spaccano per trarne vantaggi. In Italia invece è la legge elettorale che deve adeguarsi ai bisogni delle singole forze politiche: che si impuntano e spingono a tutti i costi perché si torni indietro a quel sistema proporzionale tristemente noto alle cronache.
TUTTI DAVANTI ALLA TV
La vittoria di Macron alla presidenziale si annuncia molto larga. Stasera alle 20 su tutti gli schermi televisivi appariranno le infografiche , gli istogrammi, tradizionalmente rosso e blu, con i volti dei candidati, la faccia belloccia del primo della classe sopravanzerà di molto quella tozza e popolana di Marine Le Pen.
La comunicazione del massimo evento politico del paese è ben oliata, di immediata comprensione, è seguita nel suo culmine da più di trenta milioni di spettatori, poi tutti a sciamare nelle strade. E’ così da quando la televisione la fa da padrona, la proiezione del voto avviene nell’istante in cui si chiudono i seggi, non sono mai stati commessi errori, nemmeno quando lo scarto era minimo, come nel 1974 quando Giscard vinse contro Mitterrand per 400.000 voti o nel 1981 quando fu Mitterrand a vincere con un margine poco più che doppio.
A questa tornata non si tratterà di scarto minimo. Marine Le Pen ha perso il duello televisivo con Macron, pur avendo messo a segno un paio di buoni colpi sotto la cintura, “lei ha un sorriso da passaporto”, “non faccia il maestrino con me”, che ricorda la replica con cui Mitterrand disarcionò Giscard nel 1981.
Non sarebbe cambiato gran ché, il duello televisivo sposta se va bene il voto di mezzo milione di indecisi e non sarebbero bastati a colmare il ritardo.
A ogni modo ha fatto una corsa più che onorevole: non è una fascista, non intende cancellare con la violenza né la democrazia né le libertà, non ha smanie di conquiste imperiali né intende fare la guerra ad alcuna nazione. E’ una fior di reazionaria passatista e un po’ ignorante che pensa che solo sulla base dei valori tradizionali si possa ricostruire l’identità nazionale. Con questa linea un po’ vaga e un po’ loffia è riuscita a impedire che si riformasse il fronte antifascista che fermò il padre nel 2002 e che alcuni cervelli malaticci della sinistra italiana avrebbero voluto riproporre: Marine Le Pen ha portato il Front alla soglia del 40 per cento, ne ha raddoppiato in quindici anni i voti. E’ in pole position per sfruttare l’eventuale fallimento di quest’ultima alleanza liberal-riformatrice.
RENZI L’HA CAPITO
Il neo segretario del Pd è fra i pochi che pensa di dover tenere duro sull’impianto maggioritario della nuova legge elettorale: parlare di larghe intese, in particolare con Forza Italia, prima delle elezioni è un suicidio bello e buono e un incredibile regalo al peggior populismo: lo scrisse già Angelo Panebianco (voto 10) sul Corriere qualche settimana fa, impossibile non essere d’accordo con lui.
Va dunque dritto, tiene il punto, sperando che si aprano crepe altrove oppure che gli elettori vengano messi di fronte all’evidenza dei fatti, tutto insomma pur di evitare l’incubo delle coalizioni da incentivare e premiare. E’ invece quello che vorrebbe Giuliano Pisapia con un neo ulivismo fuori dal mondo. L’ex sindaco di Milano parla di accordi di programma rigidi e dettagliati da condividere nel centro sinistra largo che immagina e coltiva. Ora s’è già dato.
Questa è compulsione detta sindrome 281, tante erano le pagine, indici compresi, del Programma per il bene dell’Italia dell’Unione prodiana del 2006. Per pura cattiveria, vogliamo ricordarne anche i punti cosiddetti qualificanti: sono 13, rivalorizzazione delle istituzioni della Repubblica, pubblica amministrazione di qualità, riforma della giustizia, sicurezza dei cittadini, politica estera solidale, una politica economica alternativa, valorizzare made in Italy e turismo, nuova politica agricola, riforma del welfare, superamento della legge 30, lotta al lavoro nero e riforma degli ammortizzatori, difesa del potere d’acquisto, lotta all’evasione fiscale, il mezzogiorno come risorsa, riforma della scuola e dell’università, nuove e più solidali politiche sull’immigrazione, la valorizzazione del ruolo della cultura e un’informazione più libera e pluralista.
Suggerisco per la versione del 2017 l’inserimento di fermi proponimenti su questioni di donne e genere sessuale ad opera della presidentessa Boldrini. Gentile Pisapia, (voto 5 a entrambi), forse è meglio lasciar perdere .