Piercamillo Davigo

Perché l'erede italiano del modello Le Pen è il modello Davigo

Claudio Cerasa

Archiviate le elezioni francesi, l’attenzione degli osservatori internazionali è destinata a spostarsi sul nostro paese. E per capire dove può convergere l’Italia dello sfascio bisogna studiare quali sono gli elementi che tengono insieme il fronte nazionale all’amatriciana

Mettiamo da parte per un istante il risultato delle presidenziali francesi e proviamo a rispondere in modo non superficiale a una domanda importante che riguarda un tema con cui il nostro paese è destinato a fare i conti, da qui alle prossime elezioni. Il tema potrebbe essere sintetizzato con una domanda semplice: visto e considerato che il prossimo paese che in Europa dovrà cercare di fermare una sua Le Pen sarà il nostro, è possibile dire a quale volto italiano corrisponde oggi il profilo di Marine Le Pen? Se di fronte a questa domanda avete cominciato a passare in rassegna i nomi dei leader dei partiti anti sistema, beh, siete decisamente fuori strada e dovremmo ormai esserci abituati tutti a un fatto elementare. La presenza di un sistema elettorale (proporzionale) come quello che abbiamo in Italia non permetterà a nessuna lista (e a nessun partito) di essere autosufficiente per ottenere un premio di maggioranza (che alla Camera scatta solo se si arriva al 40 per cento). E per questo, chiunque avrà la fortuna di ottenere in Parlamento un seggio in più rispetto all’avversario dovrà rassegnarsi a mettere da parte i leader eccessivamente identitari (i capi partito) e dovrà cercare un punto di mediazione con i potenziali alleati.

 

La sintesi della assoluta subalternità della politica alla giustizia non porta a un rinnovamento della classe dirigente politica ma porta a qualcosa di diverso. Porta all’affermazione, inevitabile, di coloro che abbiamo scelto di trasformare nel simbolo (farlocco) dell’Italia dell’onestà

Immaginare un punto di mediazione tra centrodestra e centrosinistra non è difficile, e un profilo alla Paolo Gentiloni (nell’èra della mediazione che prende il posto dell’èra della rottamazione) si può adattare perfettamente a questo compito anche nella prossima legislatura. Immaginare un punto di mediazione tra i partiti anti sistema risulta invece più complicato e prima di arrivare all’identificazione di un possibile nome o di un possibile profilo vale la pena tracciare sul terreno di gioco quali sono i punti di contatto che esistono oggi tra i partiti dello sfascio – che in modi diversi e creativi da oggi in poi proveranno a giocare in Italia la stessa partita giocata in Francia dalla Le Pen. Lo scenario che stiamo provando a descrivere non è fantapolitico ma come abbiamo già raccontato la scorsa settimana è uno scenario che anche il Quirinale considera improbabile, non impossibile. E allora, via, proviamo a rispondere alla domanda di cui sopra: quali sono i principali ingredienti del minestrone populista? E, soprattutto, su quali temi sarà possibile costruire, un giorno, una convergenza politica tra Movimento 5 stelle, Lega Nord e Fratelli d’Italia che già oggi si muovono come se fossero tre correnti di un’unica grande lista elettorale? Il referendum sull’euro e la sostanziale chiusura delle frontiere sono i due punti di contatto tra i nostri goffi e comici lepenisti all’amatriciana. Ma per capire quale è destinato a essere il punto di contatto perfetto tra i nostri fronti nazionali è necessario mettere a fuoco bene lo slogan che verrà utilizzato come un manganello alle prossime elezioni per asfaltare quella strada che potrebbe portare il partito dello sfascio a un passo da Palazzo Chigi: l’Italia degli onesti.

 

L’Italia degli onesti è una particolare categoria politica, tipica del nostro paese, che coincide con un mix letale all’interno del quale si combinano una serie di elementi che meritano di essere messi a fuoco: la cultura del sospetto, il mercato della paura, l’amore per la gogna, la propensione all’allarmismo, la delegittimazione della politica, l’indole anti casta, l’odio per le istituzioni, la vocazione al complottismo, la passione per le intercettazioni, la pratica del giustizialismo, il culto del capro espiatorio, la familiarità con la post verità, la generica insofferenza per i meccanismi della democrazia rappresentativa. In questo mix letale – già denunciato anni fa da Benedetto Croce: “Un’altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa della onestà nella vita politica. L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese” – si mescolano tra loro ingredienti apparentemente in contraddizione l’uno con l’altro che trovano però una loro armonia naturale all’interno di una particolare concezione della vita pubblica del nostro paese: la repubblica fondata sull’avviso di garanzia.

 

Ci si può girare attorno quanto si vuole ma l’Italia dello sfascio anti politico (che non fa altro che spacciare per difesa dell’onestà la difesa del giustizialismo) è un’Italia che sta lentamente consegnando il paese a un governo dei magistrati. E il vero dramma italiano è che coloro che dovrebbero diffondere gli anticorpi (i vaccini?) per difenderci dall’affermazione di una repubblica giudiziaria non fanno altro che portare acqua al mulino del possibile e futuro (chiamiamo le cose per quello che sono) governo Davigo. L’Italia degli onesti fondata sull’avviso di garanzia è un’Italia che sposa il processo mediatico, è un’Italia che accetta l’esondazione dei magistrati, è un’Italia che trasforma in verità inattaccabili le veline delle procure, è un’Italia che legittima la distruzione del nemico per via giudiziaria, è un’Italia che rinuncia a denunciare la gravità di una magistratura che si occupa di fenomeni invece che occuparsi di reati, è un’Italia che insomma dopo aver distrutto la credibilità della politica è “costretta” a delegare alla magistratura il governo delle vite degli altri, senza rendersi conto che giocare con l’anti populismo, con la cultura del sospetto, con la pratica della gogna, non aiuterà la politica a innovarsi ma aiuterà la politica a fare piazza pulita di ogni principio democratico, distruggendo non solo la dignità delle persone ma anche la dignità di un paese. La sintesi della assoluta subalternità della politica alla giustizia – e di una furba utilizzazione della magistratura per attivare i conflitti interni al mondo politico – non porta a un rinnovamento della classe dirigente politica ma porta a qualcosa di diverso. Porta all’affermazione, inevitabile, di coloro che abbiamo scelto di trasformare nel simbolo (farlocco) dell’Italia dell’onestà: quei magistrati che non si accontentano nella loro vita di essere solo magistrati ma che tendono a essere gli interpreti più genuini “della petulante richiesta che si fa della onestà nella vita politica” (Croce). Se è vero che uno dei fili conduttori della campagna elettorale francese (oltre ai temi dell’Europa) ha coinciso con la capacità dei leader politici di mostrarsi non sottomessi all’islamicamente corretto, non c’è dubbio che nei prossimi mesi un grande tema della campagna elettorale, in Italia, coinciderà con la capacità che avranno i nostri leader politici di non mostrarsi sottomessi al giustizialismo collettivo.

 

In Francia il mix dello sfascismo ha (e avrà) il volto di una Marine Le Pen. In Italia il mix dello sfascismo ha (e avrà) il volto di un Piercamilo Davigo. E non ci sarà bisogno di vederlo impegnato, l’ex capo dell’Anm, in politica. Sarà sufficiente aspettare le prossime elezioni e capire se l’Italia dello sfascio avrà i numeri per tentare una mediazione di governo. Non succederà, ma se succederà il candidato naturale per guidare l’Italia degli onesti non potrà che avere il profilo di un magistrato che si è speso in prima persona per spiegare al paese (delineando un perfetto manifesto anti sistema) che in politica non esistono innocenti, esistono solo colpevoli non ancora scoperti. Non si sa che fine farà l’Italia populista, ma si sa che da oggi, fino alle prossime elezioni, un pezzo importante del nostro paese (e della nostra classe dirigente) lavorerà per portare al governo un suo Fronte Nazionale più sul modello Davigo che sul modello Le Pen. E per capire che l’alternativa all’Italia alla Macron è questa non c’è bisogno di guardare i sondaggi, è sufficiente passare una serata di fronte a un qualsiasi talk-show.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.