Effetto Francia sul Corriere della Sera
Dopo Macron, caso Boschi. Chi spinge per degrilizzare il salotto buono
Roma. “Stiamo schisci”. La popolare espressione milanese che invita a tenere un basso profilo, viene subito in mente guardando come il Corriere della Sera ha trattato la rivelazione del bi-direttore Ferruccio de Bortoli. Nel suo libro “Poteri forti (o quasi)” scrive che Maria Elena Boschi ha chiesto a Federico Ghizzoni, gran capo di Unicredit, di salvare la Banca dell’Etruria nella quale era vicepresidente il padre del ministro. Il quotidiano di Via Solferino ha anticipato il libro nella edizione di martedì, ma pubblicando altri contenuti, già noti (come D’Alema che voleva Draghi a capo di Mediobanca) o di colore. Niente sul “Boschi-gate” lanciato invece da Huffington Post, il sito online diretto da Lucia Annunziata e diffuso attraverso la Repubblica. Ieri il Corsera non ha potuto fare a meno di parlarne, ma a pagina 10, senza nessuna enfasi, mentre il quotidiano di Carlo De Benedetti lo piazzava in prima. Stranezze giornalistiche, eppure non sembra credibile che Luciano Fontana, professionista di lungo corso arrivato a dirigere la voce della borghesia produttiva, abbia bucato la notizia. Forse sapeva che è solo un pettegolezzo? Ghizzoni, l’unico che possa smentirla, ha taciuto. E, secondo autorevoli fonti bancarie, la richiesta c’è stata davvero. I corrierologi che riempiono i giornali concorrenti, ma imperversano anche tra gli ex corrieristi, provano a spiegare la nonchalance di Via Solferino.
Forse è anch’essa un effetto collaterale della sonora scoppola subita dai populisti, quelli di destra, con la disfatta di Marine Le Pen e di tutto il suo clan, ma anche quelli di sinistra. Sarebbero arrivati, insomma, segnali che il primo giornale italiano non può stare sullo stesso piano del Fatto quotidiano e nemmeno de La7, con buona pace del suo patron il quale è uomo di mondo.
Il cammino è lungo, se si pensa alla operazione “Casta” lanciata da Paolo Mieli con l’intenzione di fare “un takeover della sinistra” o alla posizione sostanzialmente contraria alla riforma costituzionale. Già antirenziano con de Bortoli (non esclude ora una parte di colpa propria), da quando Urbano Cairo ha preso il comando il quotidiano ha cominciato a suonare una melodia che poi viene cantata, con qualche acuto in più, sulla rete televisiva. L’attenzione al M5s considerato dai sondaggi (per quel che valgono, non siamo mica in Francia) il primo o secondo partito italiano, è un dovere giornalistico. Ma tutt’altra cosa sarebbe ripetere lo schema con un takeover dei pentastellati.
Ha colpito molti osservatori l’atteggiamento tenuto verso le elezioni francesi. La reazione al trionfo di Macron ha avuto toni tra increduli e indispettiti. Si può immaginare che non abbia fatto piacere al secondo azionista di Rcs, cioè la Mediobanca che possiede quasi il 10 per cento di Rcs: sia pur sconfitta da Intesa Sanpaolo nella più recente battaglia di Via Solferino, sta sempre lì, insieme a Unipol e alla ex Pirelli (Diego Della Valle per il momento s’è allineato). In piazzetta Cuccia il primo socio si chiama Unicredit, il gruppo italo-tedesco guidato dal francese Jean Pierre Mustier; poi viene il bretone Vincent Bolloré, entrambi lontanissimi dalla Le Pen. “Basta con le paranoie sui francesi”, è sbottato recentemente Mustier, le stesse paranoie alimentate dai pentastellati e dalla destra. E Intesa come la pensa? La seconda banca italiana ha lanciato e sostenuto Cairo, gli ha concesso un fido di 140 milioni di euro per 60 mesi senza garanzie reali né coperture finanziarie. E a tutela del proprio impegno ha collocato alla vicepresidenza Gaetano Miccichè regista dell’intera operazione. Ebbene, quella cattedrale finanziaria edificata da Giovanni Bazoli con l’aiuto di Giuseppe Guzzetti (due uomini importanti dell’establishment democristiano), non può davvero diventare grillina, proprio adesso che l’onda sovversiva si è infranta contro la diga più alta. Calma e gesso, insomma, pure se De Bortoli ha ragione e la tempesta non finirà in un bicchier d’acqua? Mario Missiroli, un grande direttore del passato (anche del Corsera) quando non voleva piegarsi né opporsi alla propaganda fascista, suggeriva al suo editorialista di punta: “Fai un pezzo breve e confuso”.