Non solo Etruria. È davvero scandaloso che la politica si interessi di affari?
Tra interesse generale e interesse personale. Parla Paolo Cirino Pomicino
Roma. Il libro di Ferruccio de Bortoli sui “Poteri forti (o quasi)”, il caso Boschi. Ma anche i segnali di un generale affievolimento della vis anticasta. E, al di là del caso Boschi in sé, il tema dei rapporti tra politica e finanza resta in campo con tutte le sfumature, specie presso il trasversale “partito del buonsenso” (dove spuntano ora quelli che, vista anche la sconfitta dei populismi in Francia, spingono per la realpolitik di “ragionamento”). Ma il dubbio è sempre lo stesso: è davvero e sempre scandaloso che la politica si occupi degli affari, quando gli affari rivestono un “interesse generale”? E fino a che punto la compresenza di un interesse particolare inficia l’obiettivo generale? Chi ha vissuto altre stagioni politiche (Prima repubblica), come Paolo Cirino Pomicino, già ministro dc del Bilancio e della Funzione pubblica a fine Anni Ottanta e Novanta, con Giulio Andreotti e Ciriaco De Mita premier, e poi a lungo parlamentare, dice che se Boschi e il governo Renzi volevano davvero favorire Banca Etruria e le altre tre banche nelle stesse condizioni dovevano intervenire prima che scattasse il divieto del bail-in poi approvato dal Consiglio dei ministri nell’aprile 2014.
Ma il caso Boschi, dice Pomicino, “pone il vero tema e cioè se la politica può interessarsi delle sorti di una banca. A mio giudizio deve assolutamente interessarsene in casi in cui si rischia il fallimento dopo le devastante disciplina del bail-in e mettere in atto all’occorrenza un’offensiva di persuasione verso il sistema per verificare se esistano soluzioni. Ovviamente se c’è un interesse generale, e nel caso di Banca Etruria l’interesse generale c’era eccome, ed era quello dei risparmiatori, degli obbligazionisti e dei dipendenti. Se poi, accanto all’interesse generale, esiste anche un interesse personale legittimo, dico che l’interesse particolare viene per così dire ‘mondato’ da quello generale”.
Paolo Cirino Pomicino (foto LaPresse)
Pomicino fa un esempio, riferendosi alla sua esperienza di ministro del Bilancio (nel 1989): “Quando il Nuovo Banco Ambrosiano stava per essere scalato da Gemina, allora controllata da Fiat, d’intesa con la Banca commerciale, di fronte al rischio di una eccessiva concentrazione di potere (la Fiat allora aveva anche il Corriere della Sera e la Stampa), da ministro finanziario avvertii l’amministratore della Banca commerciale che il governo era del parere che bisognava lasciare che la guida del nuovo banco ambrosiano facesse in autonomia il percorso prescelto senza blitz di alcune cordate finanziarie ed industriali. Ricordo che Romiti disse che avevo commissariato il ministro del Tesoro dimenticando che il ministro del Bilancio d’intesa con il premier poteva benissimo esprimere un parere politico lasciando agli operatori poi la libertà di iniziativa”. Oggi a Pomicino pare “che sia la finanza a condizionare la politica e non viceversa. E questo è un errore grave e incide sulla qualità della nostra democrazia. I politici sono in Parlamento, sono visibili, sanzionabili e li puoi rivotare o no. La finanza è senza volto e non si lascia mai votare. Inoltre la politica dovrebbe tutelare l’interesse generale rispondendone poi al paese e non può lasciare ad altri questo ruolo. Deve insomma mantenere il suo primato. Non per niente feci una critica feroce alla sinistra politica quando prese le distanze da Unipol che tentava di acquistare la BNL perché preoccupata di essere accusata di eccessiva ingerenza, con il risultato che Bnl è andata ai francesi. E’ questa la politica che altri paesi fanno? Purtroppo da noi la politica sembra quasi doversi scusare se governa,decide e all’occorrenza bacchetta”.
Giorgio La Malfa, che pure ha vissuto in prima linea altre stagioni politiche, distingue tra caso Boschi (“se c’è un interesse personale un ministro non si deve interessare della questione”) e rapporto politica-finanza in generale: “Che i ministri si occupino di fatti che riguardano per esempio una grande banca non lo trovo scandaloso. E’ nelle cose. Ma deve esserci un interesse generale. Non si può agire per poi dire ‘abbiamo una banca’. Il problema in questo tipo di vicende è la misura, sono gli strumenti che il governo usa. La materia è sfuggente e il confine tra lecito e illecito scivoloso. Anche il non intervento può creare danni. Ma se si interviene quali argomenti si devono e possono usare?”. Poi ci sono quelli che, a sinistra, nei ranghi dell’ex Pci-Pds-Ds ora Pd, dicono che sì, “se ci sono situazioni di crisi bisogna intervenire per i risparmiatori, ma se ai vertici della Banca siede un parente allora bisogna dirlo subito: sì, mi sono interessato della Banca dove lavora il mio parente, ma il caso riguarda la collettività”.