È tempo di rivedere i "Visitors", perfetta allegoria del grillismo
La fantascienza che aiuta a capire la politica
La grande anima di Diderot mi perdonerà se ripristino, per un giorno, l’usanza barbara delle vocazioni forzate; ma ho deciso di imporre i voti dell’Ordine dei frati weimariani a Federico Gnech – polemista arguto e un po’ malmostoso che scrive sulla rivista Gli Stati Generali – per via di un suo intervento del 10 maggio, “La svastica sul web”. Il titolo echeggia il romanzo ucronico di Philip K. Dick in cui nazisti e giapponesi vincono la guerra, “La svastica sul sole”. Ma farei un torto a frate Gnech a voler comprimere in poche frasi le sue tesi sul nuovo fascismo della Rete; mi limito a far mia la sua premessa maggiore: in tempi estremi, capita che l’immaginazione degli scrittori di fantascienza serva meglio della ragionevolezza degli analisti politici.
L’elezione di Trump ha spinto a rileggere due romanzi sull’avvento del fascismo negli Stati Uniti, “Il complotto contro l’America” di Philip Roth e il suo antenato del 1935, “Da noi non può succedere” di Sinclair Lewis. Ma lo scenario assai più cupo che incombe sull’Italia ancora attende di essere illuminato dalla fiaccola della fantascienza. Chi ha mani bucate come me si procuri un libro di Gavriel Rosenfeld, “The World Hitler Never Made” (Cambridge University Press), imponente catalogo di ucronie e distopie: lì troverà il necessario. Per parte mia, ho due stelle polari – una per il grillismo di lotta, l’altra per il grillismo di governo. La fase nascente del MoVimento si è svolta sotto l’insegna della saga “Io sono leggenda”, inaugurata nel 1954 da un romanzo di Richard Matheson e resa popolare da un film con Will Smith. Grillo si presentava allora come l’eroe Robert Neville, persuaso di essere l’unico sopravvissuto in un mondo dove un’epidemia ha trasformato tutti in zombie e vampiri: “Siamo vivi, non fatevi contaminare dai morti!”, aveva gridato nella “Woodstock Cinque Stelle” del 2010. Ora però il grillismo è entrato in una fase nuova, e serve un’altra distopia.
Un saggio pubblicato appena due mesi fa, “Fascist Lizards from the Outer Space” (McFarland), può forse aiutarci. Le “lucertole fasciste” di cui parla l’autore Dan Copp sono quelle della miniserie televisiva “V-Visitors”, del 1983. L’allegoria politica creata da Kenneth Johnson aveva come fonte il romanzo di Sinclair Lewis riletto in chiave di invasione aliena. I “visitatori” che atterrano sul pianeta sono rettiliani nascosti sotto sembianze umane, si nutrono di topi e progettano di divorare anche gli uomini. Ma adottano una strategia piuttosto insolita per gli extraterrestri: il paziente conseguimento dell’egemonia culturale. La ottengono per due vie. Da un lato alimentano un clima di avversione alla scienza e agli scienziati (che hanno i mezzi per sbugiardarli), presentandoli al popolo come cospiratori asserviti agli interessi economici.
Dall’altro puntano sui media, si scelgono cronisti di fiducia – come una specie di Lilli Gruber transgalattica – e invitano a linciare i giornalisti sgraditi. A ispirare la rivolta contro i nazisti rettiliani è un ebreo sopravvissuto alla Shoah, che fiuta una sinistra aria familiare – e che la fiuterebbe, non ne dubito, anche quando il nostro capocomico parla della Comunità ebraica come di una “lobby d’affari”. Non ho ancora visto Di Maio divorare un topo, anche se non escludo che Virginia Raggi sarà costretta a farlo. Ma è il tempo di rivedere “V-Visitors”. L’ironia vuole che il simbolo della resistenza alle lucertole fasciste sia una grande V rossa. V come vittoria, V come Visitors – ma anche V come Vaffanculo.