Così si può battere il "maoismo digitale" del M5s. La ricetta di Da Empoli
Un'anteprima del nuovo libro dello scrittore vicino a Renzi
Roma. Tra i milioni di voti del M5s, ci sono elettori delusi da riconquistare, populisti riluttanti – come il fondamentalista del libro di Moshin Hamid – da recuperare. Elettori che pure hanno le loro ragioni, finiti nelle maglie di un movimento “tecnicamente totalitario”, scrive Giuliano da Empoli nel suo nuovo libro sul grillismo, un pamphlet, in libreria da domani con il titolo “La rabbia e l’algoritmo” (Marsilio, 92 pagine, 12 euro). Ed è totalitario per vocazione, “nel senso che ambisce a rappresentare non una parte, ma la totalità del ‘popolo’”. Lo scrittore, creatore del think tank Volta, suggerisce una strategia teorica per fronteggiare il partito di Grillo, nato in un paese, l’Italia, che “è la Silicon Valley del populismo globale”.
Finora, ci sono stati tre tentativi di risposta al grillismo. “La tentazione giacobina”; “la tentazione elitaria”; “la tentazione dorotea”. La prima consiste nell’inseguire i grillini sul loro terreno, diventando più populisti, più antipolitici e più giacobini di loro, adottando un frame che quindi darà solo vantaggi agli inseguiti e non agli inseguitori. La seconda consiste nell’attribuire il successo del M5s all’ignoranza e alla manipolazione, come se il Movimento prendesse milioni di voti per qualche centinaio di troll su Twitter e Facebook. La terza consiste “nell’asserragliarsi nel bunker del sistema, in un grande revival nostalgico della Prima Repubblica”. Le tre tentazioni, portate alle estreme conseguenze, dice da Empoli, sono destinate a fallire. Così come è destinata a fallire la sola opera di denuncia costante delle contraddizioni, degli abusi e delle violazioni dei principi democratici del M5s. All’origine del successo del populismo grillino c’è una formidabile capacità di attrazione della rabbia che un tempo, come ha rilevato il filosofo Peter Sloterdijk, era propria dei partiti di sinistra, che “sono stati per tutto il Novecento i collettori privilegiati della rabbia popolare”. Recentemente, il Pd aveva recuperato quella capacità, dice da Empoli. “Nei suoi momenti migliori – le primarie del 2012 e poi soprattutto i primi mesi del governo Renzi e le elezioni europee del 2014 – il Pd ha saputo intercettare la rabbia degli scontenti, che è all’origine del successo di Grillo e degli altri trumpisti”. Renzi ha adottato, fin dall’inizio, “alcuni atteggiamenti tipici dello stile populista”, restando però “l’unico leader moderato a essere riuscito – almeno per una fase – a intercettare l’energia della rabbia popolare per portarla nella direzione di un programma di riforme e di apertura… Certo, col passare del tempo la capacità del governo Renzi di dare uno sbocco politico alla rabbia è andata riducendosi, fino alla pesante sconfitta del referendum”.
Resta dunque tuttora intatto problema di come superare il “maoismo digitale”, come definisce da Empoli l’ideologia grillina riprendendo le idee del tecnologo Jaron Lanier. La prima operazione che le élite devono compiere è “prendere sul serio il populismo”, il che “non significa prendere sul serio i leader populisti, che sono quasi tutti pagliacci. Vuol dire prendere sul serio gli elettori populisti e le ragioni della loro rabbia”. Quegli elettori sono il soggetto ideale dell’egemonia grillina; non il militante convinto che ripete a pappagallo le teorie di Casaleggio, ma “il cittadino X che non crede più a nulla, perché tutti mentono e non ci si può fidare di nessuno”. E per quanto demenziali siano le ricette che propongono, “l’intuizione dei nuovi populisti non è priva di senso”. Fino a quando “i fautori dell’apertura non riusciranno a dimostrare che i diritti del singolo, anziché essere più compressi com’è accaduto negli ultimi anni, possono svilupparsi anche in un contesto aperto, sarà difficile riconciliare una quota crescente dell’opinione pubblica con qualsiasi tipo di integrazione sovranazionale”. Nessun progetto politico può prescindere oggi “dall’esigenza di restituire ai cittadini un certo grado di controllo sulla direzione della loro vita”. I populisti hanno reso esplicite domande e dubbi su alcuni processi che le élite giudicavano ineluttabili e che invece Brexit e vittoria di Trump hanno reso possibili: l’integrazione europea, la globalizzazione. Ma “se vogliono riconquistare il rispetto delle persone, le élite devono smetterla di produrre sempre e solo incertezza e tornare a proporre un certo grado di stabilità. La celebrazione acritica del cambiamento in quanto tale finisce con generare la reazione opposta”.