Il Cav. e l'animale della democrazia
Il fiuto di Berlusconi per i “voti sentimentali”, senza Nazareno e Salvini
Il compianto Filippo Mancuso, ministro della Giustizia di Berlusconi dimissionato dai manettari, mi disse un giorno nella penombra signorile della sua casa romana che Berlusconi doveva “mangiare bistecche di leone”. Mancuso, per dire, era come molti siciliani un genio e un talento assoluto della lingua e dell’immaginazione. Fu lui a chiederci di non badare a “pupazzi ripieni di cenere e paglia”, e a definire Scalfaro e Dini, se ricordo bene, con una certa insolente irriverenza, “compagni di merende”. Per dire il tipo. Quando si batteva per sé e per la giustizia, non badava a spese e dissipava una sua geniale, reticente verbosità.
E’ un altro dei consigli aurei che Berlusconi non ha seguito: non mangia più nemmeno costolette d’agnello (per la disperazione di Camillo Langone e la delizia di Michela Vittoria Brambilla). Questa di Berlusconi che non segue i consigli non è come si potrebbe pensare la mia croce, è la sua gloria. Il Cav. è disponibile sempre, sa ascoltare anche quando lo fai sbadigliare, prende appunti, è umile, gentile, concavo con i convessi e convesso con i concavi, ma è his own man. Segue risentimenti teneri o affilati e affezioni non poi così bugiarde. E’ il modello buono del trumpismo impostore, lui che non dice mai bugie se non bianche, inutili, dialoganti e passabilmente verosimili come le sue immortali gaffe. La conversione all’animalismo politico, per quanto suggerita da una dolce grintosa signora e dai sondaggi, gli appartiene. Se i voti per un lungo periodo sono andati dove stava lui, il Cav. non si è mai fatto illusioni, vanitoso com’è ma non stupido, e ha sempre pensato che lui doveva andare dove stanno i voti. Dovere democratico. Opportunità di consenso e di potere. E adesso, a quanto pare, un bel mucchio di voti sentimentali sta dalle parti dei cani, dei gatti, dei maialini maltrattati, dei polli che soffrono in batteria, ed è perfino un discorso in parte sensato che riguarda la salute e l’alimentazione, la dietetica non proprio byroniana, come direbbe il mio amico Gabriel Matzneff, di un popolo invecchiato e un tantino istupidito ma pieno di cuore.
A ottant’anni, se non sei passato per la Prima, la Seconda, la Terza e la Quarta internazionale, ti può anche capitare di essere vivace. A lui capita. Oggi in politica e superpolitica ha tre mani: una è il solito Nazareno, la cosa seria; l’altra è la guida di un fronte di centrodestra con Salvini e Meloni, la cosa da ridere che però non si può mai escludere; la terza è la mano che allunga la ciotola nelle case di molti milioni di estimatori dell’eleganza dell’animale domestico, della sua silenziosa o chiassosa indispensabilità alla vita contemporanea, e alla solitudine delle grandi città come all’affollamento familiare delle aie di campagna, dove si fucila e sgozza il porco ma se necessario si mantiene a spese del nucleo il cinghialino battezzato, e altre meravigliose bellurie con cani gatti muli e cavalli. Senza tenere conto del fatto cruciale che l’animale di casa allea il vecchio e il bambino, e promuove la socializzazione. Parigi non mi fu mai così prodigiosamente amica come nei mesi recenti in cui ho passeggiato in lungo e in largo con le mie tre canuzze, che i piccoli chiamavano “chiens saucisse”.
Vedo già i manifesti che porteranno via un sacco di voti a quegli animalucci chiamati grillini: vota come lui, e la faccia del gatto o del cane, facce o più propriamente musi e musetti che determinano istantaneamente il successo di un reportage televisivo e di un sito internet, grinte che alludono a questioni pratiche, nel senso di morali, che hanno da sempre affollato la bella stampa inglese, dove non si parla d’altro o quasi. Tra un grillo o una ranocchia, magari con reddito di cittadinanza, e un candidato bassotto (o il più banale labrador), voi chi scegliereste?