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Che ci fa Di Maio con De Gennaro, Boschi, Letta, Lupi e Pitruzzella? Niente

Marianna Rizzini

Prove di approccio non ideologico presentando un libro

Roma. Sprazzi di futuro e squarci sul passato: questo in molti pensano e questo in molti sperano (wishful thinking) nel pomeriggio in cui (ieri), al Centro Studi Americani, si presenta il libro “Sviluppo e innovazione-idee, esperienze e policy per la competitività del paese”. Autore: Vito Cozzoli, già capo di Gabinetto al Mise in anni renziani (2014-2016) e ora capo del Servizio Sicurezza della Camera dei deputati. Sprazzi di futuro e squarci sul passato, dunque, per le “idee ed esperienze” contenute nel libro, sì, ma ancora prima di cominciare per il resto: il parterre dei discussant, come li definisce la giornalista Maria Latella, moderatrice del dibattito.

 

E che parterre: c’è Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera a Cinque stelle, accanto a Maria Elena Boschi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio pd, accanto a Gianni Letta, ex plenipotenziario di Silvio Berlusconi, accanto a Gianni De Gennaro, prefetto di ferro, uomo della lotta a Cosa Nostra ed ex capo della Polizia nell’anno del G8 di Genova, accanto a Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust, accanto a Maurizio Lupi, capogruppo alla Camera di Area popolare.

E se la foto di gruppo fa subito scatenare la voce collettiva di Twitter – con profezia del genere “ma che Di Maio diventerà come Tsipras in mano alla troika?” – chi ha un ruolo defilato oggi mostra in controluce quel che era ieri. Vedi Gianni De Gennaro, presidente di Leonardo e del Centro studi Americano, ma soprattutto arcinoto suddetto prefetto nonché sottosegretario nel governo Monti. E vedi anche Gianni Letta, che quando parla del libro teme che “la Silicon Valley sia molto lontana da noi”, ma che resta, pure sul palco del centro studi, l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, l’uomo che quando vede Maria Elena Boschi, attuale sottosegretario del governo Gentiloni, può concedersi la battuta sul vestito violaceo-rosato di lei (non sarà per caso un’allusione al Rosatellum?, idea di legge elettorale già in parte superata dai fatti). E Boschi risponde dopo aver parlato di innovazione, come chiede Latella che pure all’inizio domanda, una volta per tutte e per tutti i giornalisti presenti, se qualcuno in quel parterre può dire se si voterà nel 2017 o nel 2018 e se ci si metterà d’accordo sulla legge elettorale.

 

E tutti vedono quel che c’è e pure quello che non c’è, discutendo di innovazione, e anche quel che ci sarà – ma quando? E anche quel che dividerà, forse, e anche la prova generale della pace o dell’accordo obtorto collo, ma con polemica sottesa (tanto più che Boschi alla fine dice a Letta qualcosa che suona come rammarico rimproverante: avremmo fatto di più, se avessimo fatto la legge elettorale insieme). E tutti ascoltano Di Maio come il Di Maio di oggi – quello che si vuole accreditare come istituzionale (e qui vagamente trasversale), ma il Di Maio di ieri esce fuori suo malgrado, modestia a parte (“penso che la mia presenza abbia contribuito a portare qui tutte queste telecamere”, dice a un certo punto, ma non con l’aria ingenua del Pinocchio nel paese dei Balocchi). Non risponde Di Maio e non risponde Boschi, alla domanda di Latella. E non risponde Letta alla domanda “l’accordo sulla legge elettorale tra Berlusconi e Renzi si farà o no?”. “Mi spiace deluderla”, dice Letta, e Boschi e Di Maio girano attorno alle parole (Il Pd ha parlato con gli atti parlamentari, dice lei; massima apertura a partire dalla legge uscita dalla Consulta, dice lui, prima di rimembrare il convegno-studio-ricerca sul “Lavoro 2025”, organizzato mesi fa dai Cinque stelle con il sociologo Domenico De Masi). Spariranno professioni, dice Di Maio, ma non con il tono apocalittico da video di Casaleggio senior (è pur sempre una prova generale di discussione bi e tripartisan, questa). E se Lupi, da rappresentante di un gruppo parlamentare, può dire “ben venga il dialogo ritrovato” con FI, Boschi e Di Maio devono, vista la settimana appena iniziata (con legge elettorale pendente), aggrapparsi al libro di Cozzoli in nome della nuova divinità forse già caduta dall’Olimpo: l’approccio “non ideologico”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.