Elogio del compromesso contro la demenza ideologica italiana
Quelli che a ogni riforma si considerano perdenti, spacciano consenso disinformato e fanno lobby. Aspettando Grillo
La fobia del compromesso politico è una cosa strana, almeno in Italia. Siamo nati da un compromesso, quello tra la monarchia sabauda, i garibaldini che “obbedisco”, e il repubblicanesimo mazziniano. Siamo cresciuti nel compromesso trasformista dello stato liberale prefascista, tra socialismo, giolittismo e prima ancora sinistra e destra in alternanza di regime. Il fascismo è stato a suo modo un compromesso con esiti totalitari e catastrofici, ma un compromesso, almeno fino all’emanazione delle leggi razziali e all’entrata in guerra dalla parte sbagliata. La Repubblica nasce dal compromesso dei compromessi, quello costituzionale: Togliatti e De Gasperi, Moro e La Malfa, Dossetti e Valiani. Quello democratico cristiano è stato un felice regime di compromesso, e di notevole successo a partire dal boom e dalla sua gestione interclassista, al quale parteciparono a pieno titolo dall’opposizione i comunisti. Il compromesso e la sua arte riguardano tutti, anche i Craxi, i Berlusconi, i Renzi, con la differenza che i tentativi di aggiornamento istituzionale delle tecniche di compromesso, l’idea della grande riforma o le due riforme costituzionali sono state bocciate da una coalizione di elettori, burocrati, magistrati delle procure e dei Tar, costituzionalisti e intellettuali mandarini immobilisti. Ma il compromesso è il sale della nostra storia, è il disegno costituzionale della nostra Repubblica, è sempre stato tenuto più sacro ancora dell’amor di patria.
Ogni volta però il compromesso viene rimesso in discussione in modo demagogico. C’è un’ala che si considera perdente e che eccita gli animi, indementisce i cervelli, costringe gli italiani alla più tremenda delle sudditanze: la menzogna ideologica, come accade adesso con la spinta del più stupido e incostituzionale dei partiti-setta, quello dei cosiddetti grillini. Si fa il connubio, da sempre, e da sempre si finge la purezza irrealistica di una politica libera dai suoi impacci, che sono il sale della politica specie in una democrazia parlamentarista che ha rifiutato il maggioritario, l’uninominale, il presidenzialismo o semipresidenzialismo, le tecniche utili a fissare regole di compromesso che significano governo del paese e sua stabilità. Ci si rifugia nell’insulto, nell’insinuazione, nel dispregio personale e di gruppo. La nozione stessa di governo del paese non ci piace, la consideriamo un orpello inutile se non una minaccia al nostro spirito di insubordinazione conformista. I giornali e le televisioni sono in questo sempre all’avanguardia. I borghesi, come ha spiegato bene Angelo Panebianco, isola di intelligenza che galleggia nel mare del consenso disinformato, hanno paura di perdere terreno ogni volta che si cerca di stabilire un perimetro utile al governo del realismo e dei significati, la nebbia della guerra risale immantinente se qualcuno cerca una pacificazione intelligente.
Abbiamo, hanno, appena votato No al monocameralismo e all’abolizione di una quantità di intermediazioni dannose, ed è subito Tar. Ma ora ci prepariamo a boicottare il compromesso reso necessario dalla riabilitazione togata e popolare del proporzionale, in una forma o nell’altra. Abbiamo, hanno, derubricato a cazzeggio o a effimera stagione bulla l’anticipazione italiana del fenomeno più interessante, per quanto sia e possa risultare discutibile, della politica europea, che non è la Brexit impolverata ma l’elezione francese di Emmanuel Macron. O il quarto mandato di Angela Merkel. L’Italia pullula di trumpettari, putiniani, erdoganisti e non vede che perfino Syriza in Grecia ha praticato il compromesso utile. Non vede la necessità del realismo in politica. I notisti politici, squadra di diseducatori travestiti da osservatori, e i politici refoulé alla D’Alema, fanno a gara nel prospettare il nullismo delle loro previsioni. Tutti in coda ad aspettare il governo Di Maio che non ci sarà mai, il successo impossibile di un esercito di asini che ragliano. L’opportunismo cieco, che non conosce nemmeno sé stesso e le regole dell’opportunità politica, fa capolino da ogni dove. Una volta è per fottere Craxi, una volta è per fottere Berlusconi, una volta è per fottere Renzi. Sempre per promuovere piccoli interessi di Fondazione, di bottega, di lobby, e sempre per spacciare assurdità buone al cambio-merci.