Il proporzionale spiegato a Renzi
Inutile far finta che si vada a elezioni per insignorire leader soli al comando, si vota per Camere in cui una classe dirigente recupera il suo ruolo di prima della rivoluzione giustizialista. In altre parole, si torna alla Vecchia politica
Ero per la Repubblica presidenziale immaginata vanamente da Craxi, ho sostenuto come potevo e sapevo il maggioritario come religione e l’alternanza di Berlusconi, anche questo vanamente, fino al momento topico in cui la quota proporzionale dell’uninominale a un turno solo era messa ai voti per la sua sparizione definitiva in un referendum pannelliano e il Cav. disse agli elettori di andare al mare, e sono stato un tifoso dell’Italicum con ballottaggio e dell’uomo solo al comando nazarenico per le riforme: dunque mi fanno scompisciare dalle risate quelli che adesso, dopo avermi fatto fuori malamente e con il consenso disinformato e cinico dei compatrioti tutte le leadership di riferimento del maggioritario, si preoccupano pensosi di una legge elettorale proporzionale corretta come quella in discussione alle Camere.
Vada per la proporzionale corretta, e speriamo che non facciano scherzi da prete nelle urne all’ultimo momento i soliti noti del burlesque all’italiana. Ma oltre alla prospettiva, caldeggiata industriosamente da questo giornale, di una legislatura che, considerandosi pienamente e proporzionalmente rappresentativa, possa attuare riforme di tipo costituente, una visione futuribile evanescente ma l’unica seria a disposizione, bisogna che tutti riflettano sul rapporto tra la legge elettorale e la questione del ritorno al sistema dei partiti. E’ una cosa seria. Abbiamo cambiato Repubblica dal fatale 1994, dopo l’orgia giustizialista e l’ingresso in politica del Cav., e i partiti finirono in galera e alla gogna. Brutta storia finita maluccio, di cui paghiamo oggi il prezzo, e l’unico riscatto possibile era il compimento di una cosa diversa. Una cosa basata su movimenti personali, sul televisionaggio della politica, su simboli e programmi nuovi, su un linguaggio che non aveva più niente a che fare con la vecchia pratica degli apparati robusti, delle mediazioni tra gruppi dirigenti, della vita interna democratica (più o meno) delle formazioni nate con la nuova Costituzione più bella del mondo del 1948, niente a che fare con il voto di preferenza, con il clientelismo armato e quello gentile e generoso a nord e a sud, con le correnti di pensiero e molto anche di azione che si riunivano e combinavano e scombinavano piani, con anticaglie come il dialogo tra laici e cattolici, con la delimitazione di un arco costituzionale anticomunista che preservasse la partecipazione al sistema del Partito comunista senza autorizzazione a governare, aree e gruppi affamati di potere e di gestione che lottizzavano spazi di ogni genere, condividevano posti e segreti, facevano stupendo e immortale il debito pubblico, agitavano testi di riferimento e manifesti colti e spendaccioni in economia e finanza e industria, e lavoravano circondati da cappellani, intellettuali di servizio e persone libere, e molti iscritti e militanti in tante sedi e nei luoghi di lavoro legittimanti il tutto.
Vorrei tutti fossero avvertiti del fatto che, con qualche ovvia differenza dovuta al trascorrere degli anni, e quanti, è lì che bisogna ritornare. A una strutturazione responsabile della politica, senza le ideologie di riferimento d’un tempo e le divisioni della Guerra fredda, ma con tutto l’armamentario della politica di partito che scomparve come d’incanto sotto l’incalzante offensiva dei magistrati codini del pool di Milano e del pool di Palermo, in un momento in cui sembrava che non fossimo più in grado di pagarci il buon welfare. La proporzionale corretta che nasce da un accordo importante e stramaggioritario, posto che ci si arrivi davvero, ha un senso solo in questo nuovo-vecchio contesto. Non tornerà Palmiro Togliatti che cita Cavalcanti a tipi come Di Battista, Vittorio Gorresio che fa le cronache sottili sulla Stampa invece delle noticine ribalde dei servitorelli di ogni potere, non torneranno le assemblee di fabbrica, le adunate di sezione, le manifestazioni di forza e compostezza nel segno dell’autorità del partito, e magari radiazioni ed espulsioni, o emarginazioni e clamorose cadute da alti piedistalli, e non torneranno l’epica scespiriana dell’assassinio del povero Moro e della sua scorta e di centinaia di altri per mano terrorista rossa, né i falstaffismi lucidi e ubriachi di un grande della Repubblica come Cossiga, non tornerà il sacrale rispetto dell’indipendenza dei deputati dalle indagini giudiziarie ficcanaso ex articolo 68 della Costituzione, non risusciteranno i centri studi e i convegni che producevano cultura, sociologia, politologia del laboratorio istituzionale lessicalmente più complicato del mondo, forse il solo Mattarella riuscirà a replicare il famoso gesto einaudiano della mela a mezzi sgranocchiata al Quirinale per risparmiare. Ma in mezzo non si può stare, inutile far finta che si vada a elezioni per insignorire leader soli al comando, si vota per Camere in cui una classe dirigente che recupera il suo ruolo di prima della rivoluzione giustizialista dovrà fare i conti con la sua legittimazione trovando soluzioni, architettando governi che durino il giusto, dando stabilità a un sistema per sua natura instabile con i magheggi della vecchia politica. Ecco, l’ho detto. La proporzionale corretta implica e impone il ritorno alla Vecchia politica esorcizzata in questi anni, il seminuovo è una pia illusione. E la Vecchia politica bisogna saperla fare, come dimostra la storia del cosiddetto sistema tedesco al quale adesso, dopo l’ubriacatura westminsteriana e l’elezione diretta del premier, vorremmo tanto assomigliare. A quanto pare.