Lo strano destino dell'onnipotente capo gabinetto di Appendino
Paolo Giordana, decisivo (e contestato) braccio destro della sindaca, che potrebbe pagare il disastro di Champions League
Torino. Dopo giorni di scaricabarile, finalmente Chiara Appendino ha dichiarato “sono pronta ad assumermi le responsabilità che saranno individuate in capo a me e alla mia amministrazione”. Chissà se nell’impegnativa frase è compresa la possibilità che si spezzi il sodalizio, fino ad ora inossidabile, fra lei e il suo capo gabinetto, Paolo Giordana: per tutti il sindaco ombra della giunta pentastellata. Come affermano da ieri voci insistenti sia nello staff del primo cittadino sia fra i banchi dell’opposizione del Pd. Anche perché molte delle 19 prescrizioni che erano arrivate dalla Prefettura sabato mattina all’amministrazione comunale non sono state rispettate. E per questo motivo, al di là dell’indagine della procura, il vicepresidente del Consiglio comunale, Enzo Lavolta, ha chiesto di aprire un’indagine interna che potrebbe cambiare il destino politico di Paolo Giordana. Quindi, se Chiara Appendino non dovesse reggere alle tensioni, allo stato d’assedio in cui si trova per gli oltre 1.500 feriti dovuti alle falle della sicurezza durante la proiezione della finale di Champions League, tutte le tensioni si potrebbero scaricare sul fidato collaboratore che, in assenza del sindaco, ha esercitato sia la delega per la sicurezza sia quella per i grandi eventi. E pare probabile che possa diventare il parafulmine degli errori della sindaca. Paolo Giordana, che ha riorganizzato la macchina comunale per accentrare gran parte del potere operativo nelle sue mani, è mal digerito da assessori, consiglieri e base del movimento. Sebbene abbia costruito con abilità l’ascesa di Appendino, è stato – e per ora continua ad esserlo, salvo colpi di scena – l’eminenza grigia della giunta. Giordana è un personaggio molto singolare, dal curriculum pieno di sorprese. Sul suo profilo facebook ha fra le immagini quella del controverso cardinale Mazzarino (che ne direbbe Rousseau?) e un anno fa, dopo l’insediamento del sindaco cinque stelle, aveva persino postato l’immagine di un burattinaio che muoveva i fili di una bambola. E’ uno che ama comandare, particolare sottolineato da tutti i suoi detrattori, fuori e dentro la giunta. E’ sempre stato, sin dall’inizio del suo mandato, molto ingombrante. L’uomo che segue tutti i dossier, vigila sull’operato dei consiglieri e assessori come il preside severo di un collegio, con atteggiamenti imperativi. In momenti più felici, agli esordi della prima giunta grillina in terra sabauda, davanti ai giornalisti che premevano nelle sale di Palazzo Civico si era definito con autoironia una sorta di Nosferatu, forse per il vezzo dell’iperbole, anche se fra i banchi dell’opposizione viene più spesso chiamato Rasputin. Ora rischia di pagare pegno per il suo maniacale controllo sull’operato della giunta, visto che fra l’altro è stato lui, con la delega ai grandi eventi, ad aver partecipato ad alcune riunioni tecniche per la manifestazione organizzata da Turismo Torino e che avrebbe dovuto concludersi solo con qualche lacrima per la Juventus.
Melomane, nutre una passione per la storia e le tradizioni sabaude. Ex seminarista convertito alla fede ortodossa, “il don” è un altro suo soprannome. Non solo per via del seminario, ma anche per aver provato a creare una sua chiesa ortodossa scismatica. “Il don” è in effetti (anche) un uomo in cerca di Dio. Dopo la cappella abbandonata in una Asl, che condivideva con un prete cattolico richiamato dai vertici della diocesi, aveva aderito all’ortodossia: la Chiesa autonoma del Patriarcato Autocefalo di Parigi. Per quattro anni, fino al 2014, Giordana era in effetti parroco della Chiesa Metropolita Ortodossa in corso Inghilterra, poi venduta per farci un sushi bar. Un altro suo idolo – tanto da avere il suo ritratto come screensaver del cellulare – è il Principe Eugenio di Savoia, stratega del XVIII secolo, liberatore di Torino dall’assedio dei francesi nel 1706. Tradizionalista, sebbene sia progressista in tema di unioni civili e omosessualità, ha una passione per la storia del regno sabaudo.
Il capo di gabinetto onnipresente è sempre stato considerato la stampella del sindaco, ma anche il suo tallone d’Achille. Sguardo ieratico, è avversato anche dalla base del movimento che non lo considera uno dei loro poiché Paolo Giordana non viene dal M5s, ma è politicamente fluido. Il suo profilo politico è del resto molto trasversale. Dall’esperienza giovanile come collaboratore di un esponente di Alleanza nazionale fino allo staff del Chiampa, come viene chiamato il governatore della Regione ed ex sindaco, con Paolo Peveraro, ex assessore al Bilancio e poi di Alessandro Altamura, ex assessore al Commercio del Pd. Il sodalizio di Giordana con Appendino, che non ha mai fatto un passo senza appoggiarsi al bastone dei suoi suggerimenti, nacque nella Sala Rossa, dove lei era consigliere comunale nella precedente amministrazione. Iniziò quando lui, – ci dicono perfidamente alcuni consiglieri del Pd – le passava informazioni su bandi e stranezze varie deliberate sui fondi alla cultura, di cui si è sempre occupato come dipendente comunale. Sodalizio trasformato in un’amicizia e anche in un libro-manifesto: “La città solidale, per una comunità urbana”. Giordana non è attivista, l’abbiamo detto. Ma ha sempre avuto un solo obiettivo politico: abbattere il “sistema Torino” incarnato da Fassino e dal suo entourage di lungo corso. Non a caso l’ex sindaco, dopo essere stato inopinatamente scalzato, di Giordana detto: “Gira per gli uffici del Comune con gli elenchi di dirigenti da promuovere ed estromettere”.
L’opposizione del Partito democratico lo considera con tale astio, sebbene lui abbia avuto un lungo passaggio di staffista nel partito, che in molti lo definiscono uno “strano” che voleva solo vendicarsi di una parte della ex classe dirigente che lo aveva snobbato. “Troppo innamorato di se stesso”, ribadiscono in continuazione i suoi detrattori. Quando era un tecnico che si occupava di cultura per l’ex assessore Alessandro Altamura nel suo ufficio aveva un quadro che ritraeva Napoleone da giovane, finito adesso nella sua postazione regale di capo di gabinetto. Ma ora potrebbe trasformarsi solo in un parafulmine, se dovesse essere lui a pagare il pegno di una tragedia che poteva e doveva essere evitata.
L'editoriale dell'elefantino