Il nonsense a 5 stelle spiegato con le interviste di Di Maio
Elezioni, economia, problemi di italiano. Il candidato premier del M5s raccontato con un po’ di didascalie alle sue parole
Poiché, si sa, la qualità delle parole è lo specchio delle idee che esse esprimono, si ritiene possa essere utile quanto segue, cioè un’agile raccolta chiosata, insomma una specie di “greatest hits” commentato, delle ultime interviste rilasciate da Luigi Di Maio, l’uomo che – pare – sarà candidato premier del M5s alle prossime elezioni. Da quanto segue ciascun lettore potrà ricavare qualcosa, forse anche la confutazione della diffusa e certamente sopravvalutata credenza secondo la quale la Ragione, la logica e persino la grammatica, abbiano un’importanza primaria nella diffusione di un pensiero, o nella persuasione.
Si sta per togliere la grisaglia?
“Che vuole dire?”.
(Corriere della Sera, 10 giugno 2017)
È l’incipit dell’intervista. Tutto un programma.
Non vi dice nulla il fatto che le forze antieuropee perdano dovunque? Non ha l’impressione che l’Europa si stia prendendo la rivincita sugli estremismi? Voi Cinque stelle sareste l’unica eccezione.
“Un’eccezione? Lo prendo come buon augurio. Però attenzione: noi non abbiamo fondato la nostra storia sull’antieuropeismo, ma sul reddito di cittadinanza. Abbiamo fatto bene a non sottometterci mai alla famiglia dei partiti antieuropei, che sembra nuova ma in realtà è malata di ideologia…”.
(Corriere della Sera, 10 giugno 2017)
Conviene forse ricordare che il Movimento Cinque Stelle, a Bruxelles, è iscritto al gruppo Efdd, gruppo politico che raccoglie i partiti della destra populista ed euroscettica. Il gruppo, come tutti sanno, è guidato da Nigel Farage, il famoso leader della Brexit. Quello stesso Farage che il 6 luglio del 2016 Di Maio definiva (c’è anche un impietoso video su YouTube) “leader lungimirante” e “futuro primo ministro dell’Inghilterra”. Per la cronaca il partito di Farage, in Inghilterra, alle ultime elezioni è “non pervenuto”.
Il mandato di Ignazio Visco scade a ottobre, voi al governo in autunno come vi regolate su questa nomina fondamentale per la vigilanza sui mercati? Avete qualche idea?
“Terremo conto del merito. Ma c’è una cosa da dire su Bankitalia, prima di tutto. Dobbiamo tirare fuori e mettere fuori da Bankitalia le banche private. Perché adesso il controllore è anche il controllato”.
(“Piazza Pulita”, 30 maggio 2017)
Far comprare allo stato un ente di diritto pubblico che è già sotto controllo dello stato! Un’idea brillante che costerebbe 7,5 miliardi di euro, il valore del capitale della Banca d’Italia. Le banche private sarebbero certamente d’accordo: soldi freschi in cambio di quote nominali. Un affare.
Da Genova a Palermo fino a Taranto, vi siete fatti del male da soli con candidati calati dall’alto e guerre interne. Come potete proporvi come forza di governo?
“Io ricordo che a Milano e Napoli prendemmo percentuali basse l’anno scorso. Andando da soli spesso si paga un prezzo, ma nel 2016 le vittorie a Roma e Torino non lo fecero notare”.
(Fatto quotidiano, 13 giugno 2017)
In sostanza Di Maio sta dicendo che loro non vincono mai. Mai, da nessuna parte. I casi di Roma e Torino, spiega il prossimo candidato premier, sono eventi eccezionali, e hanno purtroppo offuscato questo chiarissimo record fallimentare che la stampa di regime, lecchina e pennivendola, evidentemente vuole negare al M5s. D’altra parte Di Maio ha ragione. Dal 2012 a oggi, su 7.978 comuni in Italia, loro ne hanno vinti trentasette. Esattamente lo 0,46 per cento.
Di certo avete perso anche per le guerre tra i meet up e per candidati deboli. Prima o poi non dovrebbe affrontare il problema dei territori?
“Nell’ultimo anno i nostri gruppi sono stati assaltati da approfittatori che volevano usarci per entrare nelle istituzioni. Ci siamo dovuti difendere, e questo ha creato tensioni, facendoci perdere tempo ed energie”.
(Fatto quotidiano, 13 giugno 2017)
Qui s’introduce il topos – nota per Di Maio: topos vuol dire “argomento dialettico o retorico” – delle infiltrazioni nel M5s. E’ un tema cui Di Maio, e in generale anche Grillo e Casaleggio, sono piuttosto affezionati. Rivela quella strana sindrome, quella paranoia da accerchiamento settario che, a furia di non farsi “infiltrare”, ha comportato il non secondario effetto collaterale che alle primarie del M5s in media votino trenta persone. Qualche esempio a caso: il candidato sindaco di Piacenza è stato scelto con 59 voti, quello di Frosinone con 18, quello della Spezia con 29, quello dell’Aquila con 19…
A Genova pesa la vicenda di Marika Cassimatis, esclusa dal Movimento dopo aver vinto le primarie?
“Non ho sentito di pesi e feedback negativi. Ed è bene che quando ci sono rischi di infiltrazioni si reagisca subito”.
(Corriere della Sera, 10 giugno 2017)
Ecco, appunto, la paranoia delle “infiltrazioni”, come sopra. Mettiamola così. Alle politiche del 2013, a Genova, il M5s prese 112.124 voti, pari al 32,2 per cento. Alle regionali del 2015, Alice Salvatore, sempre a Genova, prese il 29, 6 per cento, ovvero 72.310 voti. Domenica scorsa il candidato sindaco, Luca Pirondini, ha preso invece 41.347 voti. Quasi la metà. Di Maio non avrà avuto feedback negativi, ma in città, oltre alla Cassimatis (2.484 voti), correva un altro grillino espulso, Paolo Putti, che ha preso 11.153 voti. In matematica uno vale uno.
Mancano una classe dirigente e un filtro migliore per le candidature.
“È solo una questione di gruppi locali più o meno maturi. A Carrara ne abbiamo uno ottimo, e infatti siamo al ballottaggio. E Raggi e Appendino hanno vinto anche perché avevano alle spalle un mandato da consigliere comunali”.
(Fatto quotidiano, 13 giugno 2017)
Insomma, dice Di Maio, dipende dalla fortuna.
Lei è uno degli interlocutori più attivi del Vaticano. Quali garanzie sarebbe in grado di offrire?
“Saremo sempre leali. Quello che diremo, faremo. E su quello che non ci vede d’accordo, discuteremo. Saremo franchi e diretti, non ambigui”.
(Corriere della Sera, 10 giugno 2017)
Al netto della strana domanda sulla trattativa M5s-Chiesa (manca solo il Papello: “garanzie”), c’è una specie di legge implacabile. Quanto più Di Maio pretende di essere un costruttore di politica, quanto più accede o crede di accedere alla creatività, tanto più mette in opera un’agitazione di parole a macchina fotocopiatrice secondo posologia, con scappellamento a destra come fosse antani.
Lei dice che al governo voi evitereste l’aumento dell’Iva e la reintroduzione dell’Imu. Mi dice come fareste a trovare i 20 miliardi che mancano?
“Tagliando con un decreto i consigli d’amministrazione delle partecipate che costano 9 miliardi e recuperando 10 miliardi dalla lotta alla corruzione”.
(“Piazza Pulita”, 30 maggio 2017)
Intanto andrebbe detto che nel bilancio dello stato non c’è una voce “entrate da corruzione”, se non nella fantasia di Di Maio. L’evasione è una mancata entrata dello stato. Mentre la corruzione, come sa qualsiasi studente non fuori corso dell’università, è una transazione illegale tra privati. Inoltre appare quantomeno improbabile recuperare l’enormità di 9 miliardi tagliando i consigli di amministrazione. Come risulta infatti da tutti i rapporti sulla spending review, le trentasettemila cariche nei cda delle partecipate hanno un costo stimato in circa 450 milioni di euro.
Il consigliere comunale a Bologna Max Bugani solleva il tema del vincolo dei due mandati per gli eletti del M5s, che a suo dire “ha fatto da freno a molti”. Togliendolo non avreste finalmente candidati esperti?
“Uno dei motivi per cui la gente ci vota è proprio il vincolo dei due mandati. Max ha espresso una sua opinione, ma questa regola è un nostro punto di forza”.
(Fatto quotidiano, 13 giugno 2017)
E la regola dei due mandati può essere la ragione per cui qualcuno li vota, ma di sicuro è anche la ragione per la quale non hanno candidati. Ad esempio l’ex sindaco grillino di Mira, provincia di Venezia, non si è ricandidato perché non voleva incappare nella regola e perdere così la possibilità di essere eletto in Parlamento . In molti comuni, il Movimento ha avuto persino difficoltà a chiudere le liste. D’altra parte chi ha un po’ di consenso non vuole rischiare di fare con 200 voti il consigliere comunale di minoranza quando, con 189 clic, può fare – come Di Maio – il vicepresidente della Camera.
Intanto l’ala ortodossa del Movimento accusa lei per la sconfitta, come responsabile per gli enti locali.
(Sorride, ndr) “Io mi occupo dei Comuni che amministriamo, non delle liste elettorali”.
(Fatto quotidiano, 13 giugno 2017)
Lui si occupa dei comuni che amministrano. Vediamo un po’. A Parma domenica scorsa è arrivato al ballottaggio Pizzarotti, ma lui l’aveva cacciato dal M5s. A Comacchio ha vinto al primo turno Fabbri, ma lui l’aveva cacciato dal M5s. Prima della scadenza elettorale, vale forse la pena di ricordare che Di Maio aveva già cacciato anche il sindaco di Gela e quello di Quarto. Dulcis in fundo, a Roma, da gran sostenitore di Virginia Raggi, ancora prima d’essersi abbandonato a lodi sperticate nei confronti di Raffaele Marra (poi arrestato e mollato) era incappato nel caso della famosa email che “scusate, ho letto quella mail ma ho capito male”. C’è poco da sorridere.
Lei nega spaccature, ma proprio sulla legge elettorale vi siete spaccati, eccome. Tanto che il blog ha richiamato all’ordine i critici, e quando è saltato l’accordo sulla legge tanti suoi colleghi esultavano come per un gol.
“Esultavano solo perché era passato un nostro emendamento. Fatto che non accade mai”.
(Fatto quotidiano, 13 giugno 2017)
L’emendamento era di Michaela Biancofiore. Esultavano per un (auto)gol di Forza Italia.