Il Cav. e il trionfo del conflitto d'interessi
Elogio ragionato del realismo di Berlusconi. Altro che vulnus alla democrazia, gli interessi delle sue aziende lo hanno sempre tenuto lontano dalle sirene del populismo magico. E’ chi non ha nulla da perdere, che ha tutto da sfasciare
Era il simbolo di una patologia dell’assetto politico-economico, il frutto di uno stato di eccezione nato dopo il crollo dei partiti della Prima Repubblica, da un po’ di tempo è diventato un pilastro o quantomeno una gamba che tiene in piedi un paese politicamente fragile e logorato da anni di crisi economica. E’ il precario punto di equilibrio di un sistema impazzito, è il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi. Per anni si è detto che la commistione di potere politico e interessi economici del principale leader e imprenditore del paese fosse ciò che impediva all’Italia di diventare una nazione compiutamente moderna, adesso probabilmente è ciò che le permette di restare aggrappata al gruppo dei paesi civili. E’ ormai evidente a tutti, tranne a quelli che fanno finta di non vedere, che nonostante una legge elettorale proporzionale il sistema politico sia entrato, come nel resto d’Europa, in una fase di bipolarismo ideologico: fronte sovranista e populista contro forze riformiste e moderate, grillini e salviniani contro democratici e azzurri. Sicuramente la parabola imprenditoriale, politica e giudiziaria di Berlusconi durante questa ultra ventennale fase di transizione del sistema politico-istituzionale ha alimentato l’esplosione delle forze anti sistema. Ma è altrettanto vero che attualmente il Cav., con il suo partito e le sue aziende, è diventato un elemento di stabilizzazione per il paese. Anche perché, a prescindere dalla sua sensibilità politica, è proprio il conflitto d’interessi che obbliga Berlusconi alla moderazione: non può mandare a gambe all’aria il paese proprio perché in ballo ci sono le sue televisioni, i suoi interessi e la sua storia imprenditoriale.
E’ anche questo che tiene Berlusconi lontano da certi eccessi populisti. Tanto il suo moderatismo è legato anche ai suoi affari, tanto il fanatismo degli altri è legato al non avere alcunché da perdere. E chi non ha nulla da perdere ha tutto da guadagnare, anche dallo sfasciare i conti pubblici, dall’uscita avventata dall’Eurozona, dallo stravolgimento delle alleanze internazionali, dal ribaltamento della logica scientifica. Non è solo una questione di cinico e brutale tornaconto personale: nelle forze populiste c’è anche chi è mosso da nobili ideali e non da una deliberata volontà di sfasciare il paese. Ma c’è una differenza di attitudine. Possedere interessi materiali per un politico come Berlusconi vuol dire avere percezione della realtà, della complessità dei mercati finanziari, dei pericoli che derivano da soluzioni avventate. L’esatto opposto di tanti nuovi parlamentari, senza nulla da perdere, senza interessi da difendere, patrimoni da preservare. E che anche per questo non hanno percezione dei rischi né contezza di vivere in un mondo complesso, ma solo programmi utopici da affermare a ogni costo. E’ quello il loro unico asset. In fondo si tratta di persone che hanno di colpo decuplicato il reddito dimezzandosi lo stipendio da deputato.
Non vuol dire che Berlusconi sia estraneo alla retorica populista. Anzi, il suo programma è pieno di alchimia finanziaria e dadaismo fiscale. Si va dalla doppia circolazione di moneta “euro e lira” (adattamento light dell’uscita dall’euro di Lega e M5s) all’assistenza sanitaria gratuita per gli animali, dall’innalzamento delle pensioni a 1.000 euro mensili alle dentiere gratis, passando per l’abolizione delle tasse sulla prima casa e sulla prima auto. Ci sono poi la “flat tax” stile Salvini ma a un livello più abbordabile (23 per cento anziché 15) e il reddito di cittadinanza stile Grillo, ma chiamato “Imposta negativa sul reddito” in onore di Milton Friedman. Questo menù pieno di pasti gratis – che Friedman avrebbe bocciato – è una summa in versione soft del pensiero magico-economico di Grillo e Salvini: più spesa e meno tasse, tanto deficit e niente coperture. Un mix di politiche fiscali che metterebbe a dura prova il bilancio di un’economia forte, figurarsi l’Italia. Ma il Cav. non andrà fino in fondo proprio perché pure le sue aziende ne pagherebbero il prezzo. E’ questo che lo rende anche agli occhi di antichi nemici un interlocutore credibile. Nel momento critico della scalata ostile di Vivendi a Mediaset, per alcuni suoi oppositori il conflitto d’interessi del Cav. è addirittura arrivato a coincidere con l’interesse nazionale.
D’altronde Berlusconi in questi anni ha dato ampia dimostrazione di essere responsabile. Dopo la caduta del suo esecutivo nel 2011, ha appoggiato il governo Monti in tutte le scelte più dure, necessarie a evitare il default del paese. Ha iniziato con i suoi consiglieri a parlare di “colpo di stato” ai suoi danni quando il paese era al sicuro. Prima però aveva consentito la nascita del governo “golpista” di Monti con i suoi voti. Nel 2013 ha contribuito a risolvere la crisi politico-istituzionale causata dall’inadeguatezza del Pd: con un paese senza governo e senza capo dello stato il Cav. ha favorito la nascita del governo Letta e la rielezione di Giorgio Napolitano. Allo stesso modo, dopo il voto sulla decadenza, ha discusso di riforme istituzionali con il Pd di Matteo Renzi e più recentemente ha preso le distanze dagli eccessi lepenisti della Lega. Se Berlusconi avesse ceduto oltre al Milan anche Mediaset, Mediolanum, Mondadori, probabilmente il populismo programmatico avrebbe prevalso sul realismo politico. Può sembrare un paradosso, ma anche all’estero gli osservatori iniziano a capire che è anche il suo conflitto di interessi la garanzia che il Cav. non realizzerà un programma sfascista e che si impegnerà con tutte le sue forze per non farlo realizzare dal fronte populista.
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