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Lo sciopero di oggi dimostra perché la politica deve scommettere sulla logica dell'efficienza

Claudio Cerasa

I sindacati non capiscono la globalizzazione, la politica valorizzi l’Italia che funziona, non le alleanze

Nel corso della giornata di oggi, migliaia di italiani tenteranno di spostarsi da una parte all’altra del nostro paese, o semplicemente da una parte all’altra di una nostra città, e trovandosi impossibilitati a prendere un aereo, a salire su un treno, a montare su un autobus, ad accomodarsi su una metropolitana con sguardo disorientato e rassegnato si chiederanno semplicemente una cosa: perché? Il “perché” che migliaia di italiani faranno rimbombare oggi nelle proprie teste è apparentemente senza risposte e senza soluzioni. Inutile chiedersi perché gli scioperi siano sempre di venerdì, dunque a cavallo del weekend, perché purtroppo la risposta è quella che vi sta passando per la testa e ha la forma di un ponte. Più utile, forse, chiedersi come sia possibile vivere sulla nostra pelle degli scioperi rispetto ai quali gli scioperanti neanche riescono più a spiegare per quali ragioni abbiano scelto la via dello sciopero. Più utile, forse, chiedersi come sia possibile giustificare l’assenza di una classe politica capace di intestarsi con credibilità una tosta battaglia in difesa dell’unico vero diritto per il quale i sindacati dovrebbero scioperare: il diritto ad avere un’azienda che basa le sue performance sul dovere dell’efficienza. Proviamo a passare in rassegna il primo perché.

 

Ma, esattamente, per cosa scioperano oggi Cub, Sgb, Cobas lavoro privato e Usb? La protesta, così recita il comunicato, è stata indetta a “difesa del diritto di sciopero e contro le privatizzazioni e liberalizzazioni del settore” e può stupire fino a un certo punto che non sia perfettamente chiaro che cosa significhi scioperare “a difesa del diritto di sciopero”.

 

Più interessante allora concentrarsi sulla seconda parte delle ragioni dello sciopero – contro le privatizzazioni e liberalizzazioni del settore – che ci permettono di capire bene perché gli unici sindacalisti che si possono permettere di scioperare contro le privatizzazioni e le liberalizzazioni sono quelli che vivono all’interno di una grande bolla chiamata rendita di posizione. Chi vive all’interno di una rendita di posizione sciopera sempre nel momento in cui la sua rendita viene messa in discussione e i sindacalisti che oggi proveranno a bloccare treni, aerei, autobus e metropolitane in fondo non stanno combattendo solo contro le privatizzazioni, ma stanno combattendo contro un’idea diversa: l’idea (e a volte basta solo l’idea) di dover accettare un’azienda orientata a costruire un futuro basandosi più sulla produttività e sulla lotta agli sprechi che sull’assistenzialismo e la difesa delle rendite. Marco Bentivogli, sindacalista della Fim-Cisl che andrebbe clonato, usa spesso una metafora molto efficace per descrivere la surreale paura del futuro mostrata spesso da alcuni suoi colleghi sindacalisti: “Se la sostenibilità la raggiungessimo fermando la tecnologia, allora dovremmo proporre di tornare all’aratro a trazione umana, perché quella animale cancellò tantissimi posti di lavoro. E così anche i bancomat, le pompe di benzina, i pc, perfino i rasoi elettrici e le lavatrici”. L’idea della guerra alla tecnologia è speculare all’idea scellerata di dover combattere contro la modernizzazione di un’azienda e da questo punto può sorprendere fino a un certo punto un altro paradosso di fronte al quale ci troveremo oggi tra uno sciopero e l’altro che coincide con un’altra domanda: come è possibile che in un’azienda sull’orlo del fallimento (Alitalia) siano presenti sindacalisti convinti che sia un bene dirottare passeggeri su altre compagnie più in salute della propria e scioperare nel momento stesso in cui vi è la propria azienda che lotta in modo disperato per la propria sopravvivenza?

La ragione di quello che potrebbe apparire solo un incomprensibile suicidio di massa è in realtà chiara ed è simile a quella che il 21 aprile 2017 ha portato migliaia di lavoratori di Alitalia a votare No al referendum per il salvataggio della compagnia: l’incapacità dei sindacati, come ha ricordato tempo fa Pietro Ichino su questo giornale, di mettere a fuoco l’effetto positivo che la globalizzazione può produrre per i lavoratori, se essi sanno sfruttarlo a dovere; la possibilità di ingaggiare chi, tra gli imprenditori più competenti e affidabili di tutto il mondo, meglio sa valorizzare il loro lavoro. In base a questa logica, in una fase di difficoltà, le aziende che hanno la possibilità di usufruire di un paracadute pubblico si ritrovano spesso di fronte al dramma di truppe di lavoratori che non sentono in alcun modo l’esigenza di adeguare il proprio comportamento a un mondo che sta cambiando e che per questo si fanno guidare dall’idea che sia più importante difendere il proprio posto di lavoro prima ancora del posto in cui si lavora. I risultati di questo approccio sono scioperi come quelli di oggi, che risultano incomprensibili non solo per le ragioni da cui nascono ma anche per gli effetti che producono. Se l’idea è quella di bloccare l’Italia per difendere il diritto di ciascun lavoratore a non dover fare i conti con il mercato, alla fine di uno sciopero senza senso come quello di oggi l’effetto sarà quello opposto e sarà quello di rafforzare l’idea che sia un diritto per tutti, per i lavoratori e soprattutto i consumatori, avere un’azienda che basa le sue performance sul dovere dell’efficienza. Valorizzare l’Italia dell’efficienza è la grande sfida dell’Italia sindacale di oggi ma in fondo è anche la grande sfida dell’Italia politica di domani. C’è un pezzo di paese probabilmente maggioritario che cerca disperatamente un leader che senza demagogia sappia combattere le rendite di posizione. La grande sfida del riformismo è questa e forse conta persino di più di un’alleanza con Giuliano Pisapia o di una coalizione con Giorgia Meloni.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.