Proposta: andare al voto senza alleati. Renzi e il Cav. firmino un patto riformista
Le alleanze e le liste sono un suicidio politico per i partiti che sognano di rappresentare la maggioranza silenziosa del paese. Il maggioritario non c’è più ed è inutile scimmiottarlo. Idea per un vero modello tedesco
La canzone politica dell’estate, inevitabilmente scopiazzata da un mitico successo dei Ricchi e Poveri, è destinata a essere un ritornello che presto entrerà nelle nostre orecchie e che nei prossimi mesi suonerà più o meno così: che farà, che farà, che farà, che farà della sua vita chi lo sa… Il “che farà” è la domanda chiave per capire questa fase della nostra vita politica e in un quadro particolarmente confuso, caotico e non lineare può essere utile fare un po’ di ordine ed esercitarsi così, ma senza prenderci troppo sul serio, a prevedere quello che ci aspetta da qui ai prossimi mesi. Domanda numero uno: che farà il Parlamento con la legge elettorale? Nulla, nulla, nulla. Silvio Berlusconi, nelle prossime settimane, dopo i ballottaggi delle amministrative, tenterà di convincere Matteo Renzi e chiederà al Pd di votare insieme la legge elettorale proporzionale, sul modello tedesco, che a Forza Italia conviene perché Berlusconi non vuole andare alle elezioni alleato con la Lega Nord e a sua volta Matteo Salvini non vuole andare alle elezioni alleato con Forza Italia. Berlusconi ci proverà ma Matteo Renzi dirà di no perché il segretario del Pd è convinto che il suo partito non possa permettersi di approvare una legge elettorale senza il Movimento 5 stelle, sostenendo che fare una legge elettorale solo con Berlusconi (e Salvini) esporrebbe il Pd a essere cucinato a fuoco lento sulla griglia dell’inciucio. Dunque, che farà il Parlamento con la legge elettorale? Al 99 per cento nulla.
Una novità con la quale toccherà fare i conti fino in fondo prima di crearsi strane illusioni:
il prossimo presidente del Consiglio non verrà neppure indirettamente scelto dagli elettori, ma sarà scelto da coloro che andremo a eleggere in Parlamento, e sarà frutto di una serie di interminabili mediazioni tra i partiti che arriveranno nella prossima Camera e nel prossimo Senato.
Si voterà con questa legge elettorale disegnata dai giudici della Consulta (andare a votare con la legge voluta dai giudici è la giusta punizione divina per un paese che il 4 dicembre ha scelto di archiviare ogni possibilità di far prevalere il principio del primato della politica) che prevede un premio di maggioranza alla Camera per le liste che raggiungono il 40 per cento e la possibilità di formare alleanze anche al Senato dove per accedere alla ripartizione dei seggi la soglia minima da raggiungere su base regionale è dell’8 per cento per liste non coalizzate e del 3 per cento per le liste coalizzate, a condizione che la coalizione superi il 20 per cento.
Se queste sono le condizioni, allora, che faranno rispettivamente Matteo Renzi, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini, Giuliano Pisapia e mettiamoci dentro anche Romano Prodi? Tutto in queste ore appare confuso e indecifrabile ma in realtà un percorso di fronte a noi c’è ed è abbastanza chiaro. Che farà Matteo Renzi? Farà (purtroppo) quello che gli suggerisce da mesi Romano Prodi: una lista alla Camera capace di mettere insieme il campo progressista guidato da Giuliano Pisapia per superare così il perimetro del Pd e provare a fare quello che ha spiegato venerdì scorso al Teatro Parenti il ministro Graziano Delrio, durante un dibattito organizzato dal Foglio: smetterla di inseguire il mito dell’autosufficienza. Si dirà: è giusto o sbagliato che un partito come il Pd scelga di presentarsi alle elezioni con le stesse truppe (Bersani & co, azionisti di maggioranza del campo progressista di Giuliano Pisapia) che hanno provato a sabotare con successo il progetto del Pd renziano? È giusto o sbagliato che un partito come il Pd scelga di non sfruttare l’occasione storica di presentarsi alle elezioni libero dalle ganasce del vecchio conservatorismo progressista? È giusto o sbagliato che il Pd tenti di far rivivere attraverso delle similcoalizioni quello spirito maggioritario che non potrà mai rivivere in un mondo proporzionale come quello di oggi che è la conseguenza naturale del No grande come una casa arrivato sei mesi fa sul referendum costituzionale? È giusto o sbagliato, infine, che un leader come Matteo Renzi sottovaluti il fatto che l’unica rottamazione possibile per il Pd, oggi, sia quella di rivendicare con orgoglio la sua distanza da tutti coloro (Bersani & co) che hanno reso impossibile la vita al suo governo? Noi un’idea ce l’abbiamo, forse anche voi.
Ma proviamo a fare un passo in avanti e andare subito agli altri “che farà”. Sul che farà Matteo Renzi ci siamo, sul che farà Silvio Berlusconi ancora no. E dunque, che farà il Cav.? Berlusconi, come abbiamo detto, vuole andare da solo alle elezioni e con grande fiuto, al solito, ha capito che nel nostro paese esiste una maggioranza silenziosa desiderosa di essere rappresentata da un partito capace di mostrare equidistanza da tutti i conservatorismi populisti (da Grillo a Salvini). Se i risultati delle amministrative di domenica prossima – dove il centrodestra corre unito in quasi tutti i comuni al voto – dovessero essere però particolarmente lusinghieri, sarà inevitabile per Berlusconi presentarsi con una grande lista alla Camera e una grande lista al Senato per provare a vincere le elezioni.
Già, ma con quale candidato premier? Silvio Berlusconi vuole Paolo Del Debbio, Paolo Del Debbio non ci pensa nemmeno, Giovanni Toti vuole le primarie, Matteo Salvini vuole le primarie, Berlusconi non vuole le primarie e sul tema del candidato premier del centrodestra è impossibile fare pronostici, anche perché le prossime elezioni saranno caratterizzate da una novità con la quale toccherà fare i conti fino in fondo prima di crearsi strane illusioni: il prossimo presidente del Consiglio non verrà neppure indirettamente scelto dagli elettori (dunque in teoria si potrebbe anche evitare di presentare un candidato premier alle elezioni) ma sarà scelto da coloro che andremo a eleggere in Parlamento, e sarà frutto di una serie di interminabili mediazioni tra i partiti che arriveranno nella prossima Camera e nel prossimo Senato.
E sul resto, invece, che farà Matteo Salvini? Che farà Beppe Grillo? E che possibilità ci sono che nella prossima legislatura ci sia, di nuovo, una grande coalizione? Beppe Grillo eleggerà un fantoccio candidato premier dopo l’estate e al netto delle smentite sull’incontro tra Salvini e Casaleggio (chissenefrega, dell’incontro). Cercherà di portare avanti una campagna di accreditamento (via Luigi Di Maio) presso l’establishment italiano (straordinaria la pagina dedicata sabato scorso al Movimento 5 stelle e firmata da Massimo Franco sul pantheon dei Cinque stelle: “Accanto alla passione per Putin e i caudillos avanzano posizioni meno radicali sulla Ue. E si citano La Pira e Pertini”. Al Corriere ormai lo sdoganamento del grillismo si porta neanche fosse una maglietta di Belotti). E tenterà di individuare un volto (alla Davigo) che possa permettere al Movimento 5 stelle di raccogliere voti in Parlamento nel caso in cui i Cinque stelle dovessero riuscire a essere gli eredi naturali di La Pira e di Pertini posizionandosi come primo partito alle prossime elezioni (va avanti tu che).
Dall’altro lato Matteo Salvini sogna di andare alle elezioni da solo ma deve fare i conti su questo punto con una dissidenza interna al partito molto forte (Roberto Maroni in primis) che spingerà il segretario leghista ad accettare l’idea di dover fare una lista unica o una coalizione unica anche con Forza Italia. Ma anche se le cose dovessero andare nella direzione scellerata che abbiamo descritto – accozzaglie nel centrodestra, accozzaglie nel centrosinistra – c’è un non detto grande come una casa che riguarda il futuro della nostra politica e quel non detto oggi suona più o meno così: il ritorno della grande coalizione. Se nessuna delle coalizioni, delle liste e dei partiti avrà i numeri per governare dopo le prossime elezioni, un minuto dopo il voto le liste e le coalizioni esploderanno e faranno quello che avrebbero dovuto fare in campagna elettorale: dividersi e verificare in Parlamento i numeri per formare un governo. Vale per la lista di centrosinistra (se Renzi non avrà i numeri per governare con il centrosinistra si rivolgerà al centrodestra anche a costo di rompere la lista neo-prodiana). Vale per la lista di centrodestra (se Berlusconi non avrà i numeri per governare con la Lega si rivolgerà subito al Pd anche per tentare un governo). Vale per Berlusconi e Renzi ma vale anche per la Lega e non possono che far riflettere le parole consegnate al Foglio venerdì scorso da Roberto Maroni che ha ammesso non solo di aver incontrato in una cena privata Davide Casaleggio ma anche che su molti temi (immigrazione, referendum sull’euro) con il Movimento 5 stelle esistono punti di contatto veri.
Questo dunque in estrema sintesi lo spartito della canzone politica dell’estate. Spartito al quale ci permettiamo di aggiungere una postilla che riguarda l’unico vero grande accordo di sistema che Renzi, Berlusconi, Salvini e Grillo dovrebbero fare prima di andare alle elezioni. Un accordo per non allearsi con nessuno, prima del voto, di pesarsi alle urne in modo autonomo, di evitare di far crescere come un palloncino la bolla dell’astensionismo e di fare l’unica cosa da fare in un sistema in cui il maggioritario non esiste più: andare alle elezioni da soli, tutti, e far decidere al prossimo Parlamento quale sarà la maggioranza che governerà il paese. Il modello tedesco, se vogliamo dirla tutta, volendo si può replicare partendo da qui.