La sinistra modello Monty Python che preferisce l'opposizione
Tomaso Montanari dà la linea, Pippo Civati fa il pontiere, Miguel Gotor fa il saggio, MAssimo D’Alema cerca un seggio. “Farà le primarie, come tutti”
Roma. La sinistra modello Monty Python (“Siete del fronte popolare giudeo?” “Vaffanculo! Siamo del fronte popolare di Giudea”) si scinde sulle scissioni, teorizza la purezza identitaria, non si mischia con quei puzzoni del Pd, e guarda con sospetto ideologico pure gli ex, Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani. E dire che il Conte Max sarebbe in piena sintonia con il manifesto proposto da Tomaso Montanari e Anna Falcone al lancio della (prendete fiato) “Alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza”.
L’antirenzismo è la linea di demarcazione, il vero discrimine, tutto il resto è intendenza con il nemico e collaborazionismo. Montanari, storico dell’arte e presidente di Libertà & Giustizia, lo dice chiaro: “Pensiamo che ormai il Pd faccia parte della destra. Una destra non sempre moderata e con cui ogni alleanza è impossibile, ogni listone è impossibile. Chi partecipa alla formazione di questa federazione di forze civiche e partiti di sinistra non avrà niente a che fare con il Pd”. Per Montanari “occorre rovesciare il tavolo della sinistra per ricominciare a vedere le cose dal punto di vista di chi sta a terra. Se la sinistra si fosse limitata a essere quella di Renzi, non avrei più votato”. L’unione insomma non è cosa per tutti, su Renzi quelli della sinistra-sinistra si sono già espressi, e pure D’Alema ha la sua storia, è ingombrante, Mdp, il suo partito, organizza manifestazioni con Giuliano Pisapia (primo luglio a Roma), che non rinuncia all’idea di un centrosinistra di governo che magari dialoga, o persino s’allea, con il Pd. D’Alema dice pure, e così aumenta l’ingombro, che si vuole ricandidare. Con chi? Tutti lo vogliono – l’ex presidente del Consiglio non si perde un’assemblea – ma nessuno poi se lo piglia. Anche tra quelli un po’ più a destra della sinistra-sinistra. “Possibile candida le persone di Possibile. D’Alema non è di Possibile. Non credo che Mdp possa rifiutargli la candidatura...”, dice Pippo Civati al Foglio. Miguel Gotor, senatore di Mdp, accolto non calorosamente all’assemblea del Brancaccio nel fine settimana, dice che il partito di Bersani sceglierà gli aspiranti parlamentari, essendoci le liste bloccate, attraverso le primarie. “Spero che utilizzeremo delle forme partecipate e non bloccate per scegliere le candidature. Vale per tutte, non solo per quella di D’Alema che si è limitato a dire questo” dice Gotor al Foglio. Ma più che D’Alema, naturalmente, poté Renzi. L’argine vero, su cui il sincero democratico non può transigere, è quello al renzismo. Da qui nascono le due idee di sinistra. Una iperidentitaria, l’altra “di governo” (sedicente, almeno).
“Ci sono due tendenze che vengono enfatizzate, ma secondo me sarebbe folle fare due Cose”, dice Civati al Foglio. “Se davvero a sinistra, da Mdp a Possibile a Sinistra Italiana, non si riesce a fare una lista sola, significa che c’è un problema gigantesco. Anche perché l’elettore, se si ritrova in cabina sulla tessera due simboli, uno di Civati e un altro di Bersani – prendo due nomi a caso – si chiede perché non abbiamo fatto una lista unica. Tra di noi ci saranno mille questioni, ma pure la stessa Rifondazione fece un governo con il centrosinistra, tutto intero. Insomma, sembriamo matti a non volerci provare. Quindi dobbiamo tenere aperta la discussione con tutti, da Giuliano Pisapia a Mdp. Anche perché, non so se li hanno informati, ma c’è il proporzionale anche con il Consultellum. Stiamo facendo un dibattito surreale: non c’è il maggioritario da quando abbiamo tirato via il Mattarellum. Io sto lavorando per l’unità, costruisco ponti, non muri”.
L’unità, dice Gotor, “è un percorso difficile ma è bene provarci. Certo, va ricercata ma non a tutti i costi”. Il senatore l’ha spiegato anche nel suo intervento, contestato, al Brancaccio: “L’unità – ha detto – è un percorso e un cammino che dobbiamo fare insieme – insieme è la parola chiave di questa stagione – e sbaglia chi pensa di sciogliere questo nodo partendo dall’alto, dalla leadership. Le leadership si formano nella lotta, non sono un ‘già dato’ costruito in laboratorio e troveremo le forme e i modi per sceglierle insieme. L’unità non è il prodotto di una somma di sigle che si mettono intorno a un tavolo, ma il prodotto necessario di un percorso partecipato, collettivo, dal basso che deve coinvolgere tutti. Per realizzarlo dobbiamo – tutti – fare il possibile per evitare atteggiamenti settari, puristi, frontisti, minoritari”. Gotor ha colto domenica, infatti, uno spirito “settario, per fortuna non maggioritario, e il settarismo – dice al Foglio – è una malattia di una certa sinistra, non solo italiana, da sempre. E’ l’idea di essere puri, autosufficienti, di chi aspira alla perfezione identitaria. Va combattuta. Considerare marchiato a fuoco chi ha votato Sì al referendum è un errore. Renzi ha perduto, tra le primarie del 2013 e quelle del 2017, 650 mila voti. Significa che i renziani della prima ora non l’hanno votato alla seconda ora. E’ un dato di fatto e con quelli ci dobbiamo parlare, dando vita a una proposta che possa convincerli. Dunque è sbagliata la demonizzazione verso chi ha votato Renzi e poi non l’ha più votato e verso chi ha votato Sì al referendum. E’ sbagliata l’idea della purezza, così come è sbagliata l’irritazione nei confronti di chi prova a fare un ragionamento. Se proponi un ragionamento vieni visto con sospetto, ‘chissà questo dove ci vuole portare’. Invece sono solo interessato a correggere alcune cose”. Per questo la contestazione ricevuta non gli dispiace. “Sapevo di essere in un luogo dove c’è conflitto. Ma per come sono fatto io, preferisco il dissenso al conformismo, la protesta al servilismo. E negli anni di Pd ho visto cose che voi umani…”. No al settarismo, dice Gotor, ma anche morire renziani, insomma, no grazie.
David Allegranti