Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

La goduria di un Cav. che sculaccia Salvini

Giuliano Ferrara

Quel fronte spettacolare contro i piccoli parassiti della malmostosità

La demagogia Berlusconi la riserva ai barboncini. Trova che sia normale parlare con i genitori, come pare abbia fatto la Boschi. E De Bortoli è sistemato, sebbene il suo caso sia quello di un ministro che parla con un banchiere. Ma fa lo stesso, non sottilizziamo, direbbe Totò, sempre di chiacchiere si tratta, e per il bene della causa del cittadino risparmiatore cosiddetto. L’esibizionismo mite non ha mai fatto male a nessuno. Il nuovo miracolo italiano e il milione di posti di lavoro, che poi come da contratto arrivarono quasi tutti secondo le stime dell’autorevole sociologo Luca Ricolfi, sono il contrario della ormai celebre sbruffoneria sull’America First e sui jobs, jobs, jobs. La demagogia carogna è altra cosa. Tende a scardinare e a distruggere con furia, mentre quella mite costruisce un rapporto di fiducia che regge nel tempo, come dimostra l’incredibile eppure accertata sopravvivenza del Cav. a tutte le speciali avverse occorrenze degli ultimi anni, oltre che la sua vitalità specialissima nella ragguardevole età raggiunta e coltivata non senza allegria, come hanno visto gli spettatori di Porta a Porta. Trump è ai minimi storici dell’approvazione popolare a pochi mesi da un’elezione tutt’altro che trionfale, assediato dal suo stesso narcisismo, mentre i miti un po’ favolosi di un domani che, se non canta, almeno non gracchia parole d’ordine di retroguardia, compiono vent’anni e superano le prove più dure.

 

L’alleanza di fatto, quasi un’unione civile, degli uomini di stato bonari, che non scambiano l’esercizio dell’autorità e della popolarità per una minaccia inciprignita da rivolgere a destra e a manca, è una buona notizia per la politica europea. I britannici si sono immalinconiti nell’ossessione isolazionista, e ne pagano le conseguenze, a parte le sventure e le violenze che li hanno tragicamente colpiti, con uno stato di cattivo umore, di “cupezza”, per dirla con Sua Maestà che ormai parla senza corona, con un semplice cappellino, e rinvia con la Brexit della povera May a un nuovo periodo di triste navigazione in alto mare, water water everywhere come dice il poeta. A Berlusconi infatti, e vedremo se la Merkel riesca a superare sé stessa dopo la grande prova del “ce la facciamo” opposta all’ombra impaurita della massiccia immigrazione siriana del 2015, va aggiunto il buon Macron. Dell’antidemagogia Macron ha fatto una filosofia di vita e di vittoria. Tutti lo aspettavano al varco difficile, critico, del primo verdetto elettorale importante dopo la Brexit e la vittoria di Trump, e a quel varco si è fatto trovare puntuale e solido, con idee e modi ribaditi nella intervista di ieri ad alcuni giornali internazionali. Parlare al popolo e per il popolo non è un malparlare, ha detto, ma l’importante è sforzarsi di dire la verità, portare progetti, innescare se non ottimismo, che è un po’ da sognatori, realismo e volontarismo.

 

Berlusconi manda a quel paese Salvini e il resto della combriccola perché gli conviene, e lui lo sa bene. Non sarà più l’aura della stagione nazarenica poi rinnegata in ossequio alle dure leggi dello scambio politico, quando i due fenomeni della scena italiana si misero insieme e trasmisero a tutti gli altri un messaggio chiaro: fottetevi con le vostre miserie, noi facciamo le riforme importanti, utili, e chi s’è visto s’è visto. Non sarà più quello, ma qualcosa che gli somiglia. E il punto di discrimine o opposizione con gli abusivi del populismo spicciolo è proprio lo stesso del macronismo: Europa e progetto positivo, cose ovviamente incompatibili con tutti questi attardati militanti del casino, questa torma di esageratori che speculano sul timore e sulla malmostosità di masse informi alle quali non vogliono, come predicano, dare un’identità, ma un rancido spirito di rancore e tristezza.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.