Quel tratto di carattere tutto italiano che è lamentarsi stando nella bambagia
L'esempio del miracolo urbanistico di Porto Azzurro, dove i vecchi isolani, comunque, sparlano di tutto: del governo, della classe politica, degli amministratori
Se andate a Porto Azzurro, Isola d’Elba, troverete un caso politico, amministrativo e culturale dell’Italia d’oggi. La cittadina è amministrata come un comune dei Grigioni. Tutto è perfettamente pianificato. Si tira al bello e al ricco nel design della piazza centrale antistante il porticciolo e delle passeggiate lungomare. Formidabili opere in ghisa per ogni dove: panchine molto belle vecchio stile marino, passamano e pilastri per ornare e definire il percorso delle stradine, statue di pellicani e dèi del mare ben disposte come in un museo marino, torri simmetricamente disposte a orlare la piazza rigurgitante di bambini di elbani e turisti, intorno cresce la vegetazione disposta in bell’ordine foglia a foglia, e un tripudio di fiori nelle aiole che ospitano o scandiscono il lento passo mediterraneo delle palme in buona salute, molto curate.
C’è una fontana di getti verticali, davanti alla vecchia pescheria con il suo anzianissimo gatto protettore, che è scattata secondo programma il giorno del solstizio d’estate, non prima, e ora sprizza acqua in bell’ordine senza che una sola goccia vada dispersa oltre il bordo della vasca contenitrice rasoterra. Regna sovrana dappertutto una pulizia bestiale. Cameriere moldave maliziose e gentili, con i loro seni adolescenti e i loro culetti ben fatti, occupano e illustrano le viuzze della piccola medina dietro la piazza piena di ristoranti e boutique, alcune di grido. Le facciate sono di un pastello che sa di nuovo e di ben fatto, le insegne delle gelaterie e dei bar coordinate. All’incrocio della via che circonda la piazza vigilesse altere sempre presenti da mane a sera dirigono il traffico, anche quello che non c’è, incongruamente, e danno il segno astratto dell’autorità operativa. La pulizia non trova ostacoli o contraddizioni nemmeno nelle cacche dei cani, non ne vedrete una che sia una nonostante si contino numerosi come gli elementi di un esercito. Ovunque contenitori (di ghisa, of course) e rivestimenti di plastica per i rifiuti perfettamente incollati al bordo. Si sente parlare quasi esclusivamente tedesco e schweizer Deutsch, pupi e pupe biondi si mescolano alla prole degli isolani tra passeggini tecnologici, bicicli, tricicli, giochi e gridolini che sembrano una colonna sonora organizzata dal Comune.
Il Municipio è infiorato come un Rathaus del Baden, con le porte degli uffici aperte e servizi efficienti. Chi arrivi in barca sarà servito come a Montecarlo da giovani in divisa bianca dai modi corretti. Per saldare il conto c’è o il Municipio o un’agenzia privata di gestione con vetrina fumè, climatizzazione perfetta, arredo alla scandinava, rapidità di esecuzione delle pratiche. I telefonini purtroppo la fanno da padroni, ma l’amministrazione deve aver provveduto anche a una certa cordialità interpersonale, tra un Negroni e l’Altro consumati al bar della piazza. Questo piccolo ma indicativo miracolo di urbanistica e organizzazione è stato realizzato nel corso di due mandati dal sindaco Papi. Non essendo immediatamente rieleggibile, il Papi ha scelto il suo Medvedev nell’assessore Simoni, che è diventato sindaco mentre il Papi gli ha fatto da assessore.
Alla fine, come in tutte le staffette che si rispettino, hanno rotto e il Papi è tornato sindaco appena rieletto. Un perfetto sistema Putin di uomo forte che realizza cose. Risultato: la piccola città ideale che funziona come un orologio a cucù dirada l’ombra di Longone e Portolongone, le vecchie denominazioni che sanno di penitenziario, sebbene i carcerati ci siano ancora e l’unica speranza è che qualcosa di questo razionalismo gentile, di questo mite Panopticum pefettamente trasparente e da ogni parte controllabile e controllato, si sia riflesso con umanità oltre le loro sbarre nella grande prigione che domina, un po’ nascosta, l’ingresso nel porto. Per tocco estremo di vippaggine, anche quella come prevista e incasellata nel girone paradisiaco orwelliano di Porto Azzurro, un bellissimo ketch saudita di trentasei metri, il Tamer III, usciva dal porto uno di questi giorni con il suo principe amatore che faceva yoga sul ponte, gesti e posture perfetti, naturalmente il “saluto al sole”. All’alba, nell’unico bar aperto di buonissimo mattino, si sentono i vecchi isolani che si lamentano di tutto, sparlano del governo della classe politica degli amministratori, a qualche ora dall’inizio di una nuova giornata di opulenza turistica e di urbanesimo quasi perfetto. Lamentarsi nella bambagia, un tratto di carattere molto italiano.